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  • Domenica 16 novembre 2014

L’uccisione di Peter Kassig

Lo Stato Islamico ha diffuso un video in cui annuncia la decapitazione di un cittadino statunitense rapito in Siria il primo ottobre 2013

FILE - In this undated file photo provided by his family, Peter Kassig stands in front of a truck filled with supplies for Syrian refugees. The Indianapolis, Indiana, aid worker being held by the Islamic State group told family and teachers that he’d found his calling in 2012 when he decided to stay in the Middle East instead of returning to college, according to an email released Tuesday, Oct. 14, 2014 by his family. (AP Photo/Courtesy Kassig Family, File)
FILE - In this undated file photo provided by his family, Peter Kassig stands in front of a truck filled with supplies for Syrian refugees. The Indianapolis, Indiana, aid worker being held by the Islamic State group told family and teachers that he’d found his calling in 2012 when he decided to stay in the Middle East instead of returning to college, according to an email released Tuesday, Oct. 14, 2014 by his family. (AP Photo/Courtesy Kassig Family, File)

Lo Stato Islamico, il gruppo estremista sunnita che occupa un ampio territorio tra Iraq e Siria, ha pubblicato un video in cui dice di aver ucciso il cittadino statunitense Peter Kassig. Kassig, 26 anni, era stato rapito in Siria nell’ottobre del 2013 mentre stava svolgendo alcune attività legate al suo lavoro di cooperante. L’amministrazione americana ha dichiarato che gli esperti stanno ancora lavorando per determinare se il video è autentico. Lo Stato Islamico aveva minacciato l’uccisione di Kassig in un precedente video diffuso lo scorso ottobre che mostrava la decapitazione di un altro ostaggio, il britannico Alan Henning. Dall’estate del 2014 lo Stato Islamico ha diffuso i video della decapitazione di cinque ostaggi occidentali (il primo fu quello che mostrava l’uccisione del giornalista americano James Foley): quello di Kassig, se verrà confermata la sua autenticità, diventerà il sesto.

Il video diffuso questa mattina dallo Stato Islamico è diverso dai precedenti: Kassig, per esempio, non viene mostrato inginocchiato mentre indossa una tuta arancione, come quella dei detenuti di Guantanamo. Il video è anche molto più lungo, poco più di 15 minuti: mostra diverse cose, tra cui scontri e parate dei miliziani dello Stato Islamico, minacce agli Stati Uniti e al presidente Barack Obama e molte scene di violenza. Secondo alcuni giornalisti, a differenza dei precedenti il video mostrerebbe anche il luogo in cui sarebbe avvenuta l’esecuzione: il villaggio di Dabiq, a nord di Aleppo, in Siria.

Dabiq è un luogo piuttosto importante nella religione islamica ed è considerato da alcuni il luogo dove si combatterà una battaglia tra gli eserciti dei “romani” e quelli dei musulmani in quella che viene definita “l’ora finale della storia”. Dabiq è anche il nome che lo Stato Islamico ha scelto per il suo giornale (che è anche un esempio dell’abilità del gruppo di usare i media per la propaganda).

Kassig è un ex militare che ha passato quattro mesi in Iraq con i Ranger dell’esercito americano tra il 2006 e il 2007. Dal 2012 lavorava in Siria con un’organizzazione non governativa da lui fondata per fornire alla popolazione siriana assistenza medica e aiuti umanitari. Kassig si convertì all’Islam durante la sua prigionia: per un periodo è stato nella stessa cella di un giornalista francese, Nicolas Henin, successivamente liberato). Oggi si crede che gli occidentali ancora ostaggio dello Stato Islamico siano due – una donna non identificata e John Cantlie, in giornalista britannico protagonista di alcuni video di propaganda diffusi dall’IS.

La famiglia di Kassig ha dichiarato di essere in attesa di conferme sull’autenticità del video e ha diffuso un comunicato in cui dichiara: «Preferiamo che nostro figlio sia ricordato per il suo lavoro e per l’amore che aveva per i suoi amici e per la sua famiglia, piuttosto che per il modo con cui i suoi rapitori hanno utilizzato la sua morte per manipolare l’opinione pubblica americana e favorire la loro causa».