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  • Lunedì 22 settembre 2014

È il turno della Catalogna?

Il Parlamento locale ha approvato una legge sulle "consultazioni popolari", aggirando la Costituzione spagnola, e intende organizzare davvero il referendum del 9 novembre

People wave “estelada” flags, that symbolize Catalonia's independence, during a demonstration calling for the independence of Catalonia outside of the Parliament of Barcelona, Spain, Friday, Sept. 19, 2014. A day after Scotland rejected breaking away from Britain, the regional parliament in Spain's Catalonia is expected to grant its leader the power to call a secession referendum that the central government in Madrid says would be illegal. Banner reads, 'On 9 Nov, we will vote.' (AP Photo/Manu Fernandez)
People wave “estelada” flags, that symbolize Catalonia's independence, during a demonstration calling for the independence of Catalonia outside of the Parliament of Barcelona, Spain, Friday, Sept. 19, 2014. A day after Scotland rejected breaking away from Britain, the regional parliament in Spain's Catalonia is expected to grant its leader the power to call a secession referendum that the central government in Madrid says would be illegal. Banner reads, 'On 9 Nov, we will vote.' (AP Photo/Manu Fernandez)

Venerdì 19 settembre, il giorno in cui sono arrivati i risultati del referendum fallito sull’indipendenza della Scozia, il parlamento della Catalogna in una sessione straordinaria ha approvato a grande maggioranza una legge «sulle con­sul­ta­zioni popo­lari non refe­ren­da­rie e sulla par­te­ci­pa­zione dei cittadini». Le legge di fatto inserisce in un quadro giuridico la convocazione di un referendum indipendentista in Catalogna che si dovrebbe svolgere il prossimo 9 novembre e che è stato ribattezzato 9-N dalla stampa spagnola. I citta­dini dovreb­bero rispon­dere a due domande: “Volete che la Cata­lo­gna sia uno stato?” e “Se sì, volete che sia indipendente?”.

La legge, utilizzando la parola “consultazione”, ha aggirato la Costituzione spagnola che all’articolo 22 non permette che si tengano referendum se non includono tutti i cittadini del paese: attribuisce cioè allo stato la competenza esclusiva di indire un referendum e impedisce che una sola comunità possa convocarne uno sull’autodeterminazione. La Catalogna è una regione nordorientale della Spagna di quasi otto milioni di abitanti (circa il 19 per cento della popolazione del paese, che produce il 19 per cento del suo PIL): ha come capitale Barcellona e possiede una propria fortissima identità culturale e storica, a cominciare dalla lingua. La Catalogna ha un proprio parlamento nell’ambito di un complesso di autonomie, che sta lavorando da tempo allo svolgimento di un referendum consultivo sull’indipendenza. Il percorso verso il referendum è stato e continua ad essere però piuttosto complicato: il parlamento catalano aveva annunciato il referendum alla fine del 2013 basandolo su una dichiarazione di sovranità approvata un anno prima, che però la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima nel 2013.

Il testo approvato lo scorso venerdì dal parlamento catalano è passato con 106 voti a favore e 28 contrari. Hanno votato a favore i partiti della coalizione di centrodestra Convergencia i Unio (CIU) del presidente Mas, gli indipendentisti di sinistra di Esquerra Republicana di Catalunya (ERC) e la sinistra più radicale di Candidatura d’Unitat Popular (CUP), gli ecologisti di Iniciativa Catalunya Verds (ICV) e i socialisti del PSC. Hanno votato contro i deputati del Partido Popular (PPC) e del partito Ciutadans. Nel testo della legge approvata c’è scritto che potranno votare i maggiori di 16 anni che risiedono nella regione o i residenti all’estero iscritti al registro creato dal governo della Catalogna, e che avranno diritto di voto anche i cittadini comunitari e gli extracomunitari (con almeno un anno di residenza i primi, con tre anni i secondi). Si legge anche che i risultati della consultazione non avranno carattere vincolante, ma che le autorità che l’hanno convocata si dovranno pronunciare sulle sue conseguenze entro due mesi. Si tratterebbe dunque di un atto di grande valore simbolico: ma un atto che avrebbe comunque conseguenze politiche di cui il governo di Madrid dovrà necessariamente occuparsi.

«Se qualcuno pensava che il “no” scozzese potesse oscurare il processo catalano, si sbagliava. Al contrario, gli scozzesi escono rafforzati da questa lezione di democrazia», ha dichiarato dopo l’esito del voto in Scozia il presidente della regione Artur Mas, sostenitore dell’indipendenza catalana. Il governo spagnolo guidato dal premier conservatore Mariano Rajoy (forte oppositore del referendum) ha reagito dicendo che avrebbe bloc­cato sia la legge che il decreto refe­ren­da­rio con un nuovo ricorso alla Corte costituzionale. Rajoy ha anche annun­ciato che è pronto a con­vo­care un Con­si­glio dei mini­strii straor­di­na­rio per impu­gnare la norma, che va considerata illegittima e priva di effetti giuridici.

La nuova legge votata dal parlamento catalano entrerà in vigore dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, poi il presidente Mas firmerà il decreto di convocazione della consultazione. La pubblicazione non è ancora avvenuta (in teoria ci sono 15 giorni di tempo dalla sua approvazione) e Mas avrebbe poi un mese di tempo per firmare il decreto e indire la votazione. Si arriverebbe così al 9 ottobre, giusto un mese prima della data del voto. Secondo diversi analisti i tempi di questi passaggi saranno rimandati il più possibile, per dare minor tempo al governo di Rajoy di fare ricorso.