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  • Lunedì 18 agosto 2014

L’incidente all’elicottero di Alissa Rubin

Raccontato dalla stessa Alissa Rubin, inviata del New York Times con una spedizione di aiuti agli yazidi in Iraq

SHALAMCHEH, IRAQ - FEBRUARY 06: A Lynx helicopter lands at FOB Minden at forward operating base close to the Shalamcheh land border crossing at the Iraq-Iran border on February 6, 2009 in Iraq. British troops led by the Queen's Royal Hussars and based FOB Minden, have been recently assisting with border security and mentoring the Iraqi Directorate of Border Enforcement (DBE) and the Iraqi Police. The border crossing point, which was closed during the recent elections, has been reopened and is often used in large numbers by Iranian Shia Muslim pilgrims travelling to the holy sites in Karbala and Najaf in Iraq. (Photo by Matt Cardy/Getty Images)
SHALAMCHEH, IRAQ - FEBRUARY 06: A Lynx helicopter lands at FOB Minden at forward operating base close to the Shalamcheh land border crossing at the Iraq-Iran border on February 6, 2009 in Iraq. British troops led by the Queen's Royal Hussars and based FOB Minden, have been recently assisting with border security and mentoring the Iraqi Directorate of Border Enforcement (DBE) and the Iraqi Police. The border crossing point, which was closed during the recent elections, has been reopened and is often used in large numbers by Iranian Shia Muslim pilgrims travelling to the holy sites in Karbala and Najaf in Iraq. (Photo by Matt Cardy/Getty Images)

Sabato 16 agosto il New York Times ha pubblicato un lungo articolo di Alissa Johannsen Rubin, esperta inviata in Medio Oriente, che ha raccontato l’incidente avvenuto quattro giorni prima nel nord dell’Iraq a un elicottero militare curdo su cui si trovava la stessa Rubin. L’elicottero è precipitato per cause ancora non chiare mentre decollava dopo aver portato aiuti umanitari agli yazidi sul monte Sinjar, dove decine di migliaia di persone erano rimaste intrappolate a causa dell’arrivo dei miliziani dello Stato Islamico nei loro villaggi: una persona è morta, altre sono rimaste ferite, e Rubin è stata portata in ospedale a Istanbul in seguito alle fratture. Ha dettato l’articolo al New York Times perché non riesce ancora a scrivere.

Rubin inizia il suo articolo immaginando cosa avrebbe scritto nel caso non fosse accaduto l’incidente in elicottero: avrebbe parlato del Sinjar, la montagna sacra dove si sono rifugiati gli yazidi – «più una catena montuosa che una singola montagna» – e avrebbe raccontato la storia del pilota dell’elicottero, Ahmed Saadi Majid, un generale dell’esercito iracheno intenzionato ad aiutare gli yazidi dopo 35 anni di carriera nell’esercito e un posto da capo addestratore dei piloti dell’aviazione. Uno che le ha detto che aiutare gli yazidi era la cosa più importante mai fatta nella sua vita, la più significativa.

Il giorno dell’incidente, Rubin si trovava in una base curda a Fishkhabour, un villaggio nel nord dell’Iraq: stava aspettando da tutto il giorno un passaggio in elicottero per andare sul monte Sinjar assieme ad Adam Ferguson, un fotografo freelance che collabora col New York Times, e Vian Dakhil, la deputata yazida del parlamento iracheno che giorni prima si era commossa, durante un discorso mentre descriveva gli attacchi subiti dai suoi correligionari. Rubin descrive Dakhil come una donna «molto solida e organizzata, sebbene inspiegabilmente portasse delle scarpe col tacco alto».

Quando finalmente siamo riusciti a prendere un elicottero, erano le quattro meno un quarto del pomeriggio: non rimanevano molte ore di luce. Mi sono seduta su un carico di pane, dietro uno degli addetti alle armi. Non c’erano sedili, non c’erano cinture di sicurezza: era un tipo di elicottero a cui l’esercito statunitense non avrebbe mai permesso di volare. Dentro era pieno di pane, e probabilmente di proiettili. Il pane era per gli yazidi, i proiettili per la base dei peshmerga curdi in cima alla montagna.

Nonostante siano molto sgangherati, quel tipo di voli – racconta Rubin – ha avuto comunque una grande importanza: hanno permesso di consegnare cibo e acqua in posti completamente isolati, senza possibilità di altri rifornimenti. Rubin ricorda di aver visto da lontano che molti yazidi si erano radunati nel posto dove sarebbe atterrato l’elicottero: racconta di aver visto una madre che teneva la mano ai suoi due figli, un bambino e una bambina, mentre cercava di stare in piedi in mezzo alla corrente creata dall’elicottero per avere la possibilità di salire a bordo. «Un’altra immagine mi è rimasta in testa: quella di una donna più anziana, il viso molto segnato e tremendamente triste». Prosegue Rubin:

Siamo rimasti a terra solo dieci minuti. Gli yazidi erano sofferenti. Alcuni anziani erano scalzi e avevano le gambe gonfie per aver camminato troppo; altre persone erano completamente disidratate, i bambini erano scottati dal sole. Molti piangevano, impauriti e confusi, mentre altri rimanevano in silenzio, semplicemente spaventati. L’atterraggio è stato pauroso, a causa della gran quantità di gente che si era ammassata per avvicinarsi all’elicottero. Tutti volevano salire a bordo e scappare da quel posto. Sono certa che molti di loro non avevano mai visto un elicottero così da vicino.

Al momento di ripartire, l’elicottero non riusciva a sollevarsi in volo per via delle troppe persone che aveva imbarcato, spiega Rubin: la rampa di carico non si chiudeva e troppe persone la bloccavano. Ci fu un momento molto triste quando costrinsero una donna a scendere, assieme a due suoi figli. Poi l’elicottero partì, ma con la punta anteriore rivolta verso il terreno.

È successa una cosa triste: hanno fatto scendere una donna e i suoi due bambini, che piangevano. La donna era magrissima. Il pilota era commosso e avrebbe voluto aiutarli. Poi ha decollato, ma ho sentito che l’elicottero aveva colpito qualcosa; dopo qualcuno ha detto che era una roccia. Ho pensato che il pilota ce la facesse, ma il terreno è finito in alto nel mio campo visivo. Non sapevo cosa stesse succedendo, ma era grave. Ho pensato: ok, siamo su una montagna, rotoleremo per molto tempo prima di fermarci. Mi è caduto qualcosa addosso; non ho capito se cose o persone. Poi Dakhil è finita sopra di me.

Attorno a me, tutti si lamentavano. Nessuno gridava, solo lamenti. Adam è stato grande: dato che non potevo camminare, mi ha trascinato fuori dall’elicottero. Mi ha avvolto la testa in una sciarpa perché smettesse di sanguinare. Un soldato peshmerga si è tolto la sua kefiah per fasciarmi assieme le braccia, che non sbattessero in giro. Pensai a una premura, ma poi ho capito che mi aveva immobilizzato perché entrambi i miei polsi si erano spezzati.

Poco prima che facesse buio è arrivato un altro elicottero a salvarci. Alcune persone mi hanno preso in braccio e mi hanno trasportato in modo molto maldestro; è stato doloroso. Mi sentivo lamentarmi come tutti gli altri. In quel momento, non sentivo altro che il dolore. Ma poi ho realizzato: è una cosa buona, almeno sono viva.

Scommetto che molti altri non lo sono. Come sta il pilota? Ce l’ha fatta? Voleva solo aiutare.

Il racconto di Rubin si conclude con una nota del giornale che riporta che sull’elicottero – un Mi-17 di fabbricazione russa addetto al trasporto di persone – erano presenti 25 yazidi, cinque membri dell’equipaggio, cinque politici curdi e quattro giornalisti occidentali. Quasi tutti sono rimasti feriti, sebbene nessuno seriamente come Rubin. Dakhil, la parlamentare irachena, si è rotta entrambe le gambe e diverse costole.

L’unica persona a morire nell’incidente è stato il pilota, il generale maggiore Majid.

nella foto, un elicottero atterra vicino a una base britannica in Iraq, nel 2009 (Matt Cardy/Getty Images)