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  • Giovedì 3 luglio 2014

Quelli che scappano dall’Iraq

Un bravo e premiato fotografo statunitense ha viaggiato con le più di 300 mila persone che sono scappate dalle zone conquistate dall'ISIS, tra lunghe code e tempeste di sabbia

Due bambine irachene in una tenda nel campo profughi di Khazair, 26 giuno 2014. 
(Spencer Platt/Getty Images)
Due bambine irachene in una tenda nel campo profughi di Khazair, 26 giuno 2014. (Spencer Platt/Getty Images)

Dall’inizio di giugno i militanti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) – uno dei gruppi islamici sunniti più estremisti in circolazione – stanno combattendo contro l’esercito iracheno e sono riusciti a conquistare circa un terzo del paese, tra cui molte città e regioni rilevanti, per ricostruirvi il califfato. Il paese – a maggioranza sciita – è praticamente diviso in tre zone: la capitale Baghdad e il sud sotto il controllo del governo, il Kurdistan e Kirkuk sotto il controllo dei curdi, diverse province a nord-ovest e nord-est controllate dall’ISIS. A causa dei continui combattimenti, moltissime persone sono fuggite per cercare di mettersi in salvo, dirigendosi soprattutto nella zona amministrata dai curdi.

Mosul, nel nord del paese, è una delle prime città conquistate dall’ISIS, e migliaia di abitanti sono scappati dirigendosi soprattutto nelle zone curde, considerate tra le più sicure e controllate. Sabato scorso i peshmerga – i combattenti indipendentisti curdi – hanno chiuso le frontiere impedendo l’entrata ai rifugiati, ma il giorno successivo le hanno riaperte, permettendo alle famiglie di entrare dopo accuratissimi controlli. Alcune sono state accolte nelle moschee, nelle chiese, negli hotel, nelle scuole e negli edifici pubblici, ma moltissime vivono nelle tende e nei campi appositamente allestiti dalle organizzazioni internazionali, dove bisogna aspettare ore in fila per registrarsi ed essere accolti, e poi per l’acqua, il cibo, e i beni di prima necessità.

Secondo la Mezzaluna Rossa, il corrispettivo islamico della Croce Rossa, dopo l’attacco dell’ISIS, 300 mila persone hanno lasciato le loro case e sono arrivate nelle zone curde in soli tre giorni, e più di 32 mila provenienti da Mosul hanno dormito all’aperto, non trovando nessuna struttura ad accoglierle. I profughi interni si aggiungono così agli oltre 250 mila siriani fuggiti dalla guerra civile negli ultimi anni.

Il fotografo statunitense Spencer Platt ha raccontato per l’agenzia fotografica Getty Images la vita dei profughi iracheni negli accampamenti e negli altri centri di accoglienza curdi: bambini che dormono a terra, donne in fila per avere il pane, tempeste di sabbia, iracheni cristiani con la crocifissione di Cristo tatuata sulla schiena, e ragazzini che giocano a calcio, in cerca di un po’ di normalità. Platt è specializzato in reportage in posti di guerra e negli anni scorsi ha lavorato soprattutto in Liberia, in Iraq e in Libano. Nel 2006 ha vinto il premio “World Press Photo” con una fotografia molto discussa, scattata a Beirut: mostrava alcuni ricchi libanesi che da una macchina di lusso scattavano foto fra le macerie di un quartiere di Beirut, dopo un bombardamento aereo. Sul Post abbiamo pubblicato, tra le altre cose, un suo reportage sui siriani rifugiati in Libano, l’Egitto ai tempi della deposizione di Mohamed Morsi, le persone in autobus a Simferopoli, in Crimea, all’inizio della tensione con la Russia, e – per chi ha bisogno di un po’ di leggerezza – le immagini di un pianoforte abbandonato sulla spiaggia, a New York.