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  • Martedì 4 febbraio 2014

Il naufrago di El Salvador

La storia dell'uomo che ha raccontato di aver navigato alla deriva per un anno: i parenti lo hanno riconosciuto, ma alcuni dettagli della sua storia non sono ancora chiari

A Mexican castaway who identified himself as Jose Ivan and later told that his full name is Jose Salvador Alvarenga walks with the help of a Majuro Hospital nurse in Majuro after a 22-hour boat ride from isolated Ebon Atoll on February 3, 2014. Jose was washed up on Ebon Atoll on January 30, 2014, and told his rescuers he set sail from Mexico for El Salvador in September 2012 and has been floating on the ocean ever since. AFP PHOTO / Hilary Hosia (Photo credit should read HILARY HOSIA/AFP/Getty Images)
A Mexican castaway who identified himself as Jose Ivan and later told that his full name is Jose Salvador Alvarenga walks with the help of a Majuro Hospital nurse in Majuro after a 22-hour boat ride from isolated Ebon Atoll on February 3, 2014. Jose was washed up on Ebon Atoll on January 30, 2014, and told his rescuers he set sail from Mexico for El Salvador in September 2012 and has been floating on the ocean ever since. AFP PHOTO / Hilary Hosia (Photo credit should read HILARY HOSIA/AFP/Getty Images)

Un uomo di circa quarant’anni è stato ritrovato giovedì 30 gennaio sulla spiaggia di Ebon, un atollo delle Isole Marshall, circa 3800 chilometri a ovest delle Hawaii. L’uomo ha raccontato di chiamarsi José Salvador Alvarenga e di avere navigato alla deriva per circa un anno prima di approdare a Ebon, su una barca lunga sette metri; ha aggiunto di essere sopravvissuto mangiando tartarughe, piccoli uccelli e squali, e bevendo acqua piovana e la propria urina. La storia è stata ripresa lunedì dai media internazionali e martedì è arrivata su gran parte delle testate italiane.

Molti dettagli della ricostruzione dell’uomo rimangono però poco chiari, e le informazioni che riportano i media sono di conseguenza piuttosto contraddittorie: secondo NBC News al momento l’uomo non ricorda la propria data di nascita, il cognome del suo datore di lavoro né il giorno esatto in cui salpò con la propria barca (ricorda che fu di sabato, ma le date che ha fornito – 21 dicembre o 21 settembre del 2012 – sono entrambi dei venerdì; e altri ancora sostengono sia scomparso a novembre). Le difficoltà possono essere dipese dal fatto che secondo i media internazionali l’uomo parla solo lo spagnolo. Al momento del ritrovamento è comunque apparso in condizioni di salute dignitose: Jack Niedenthal, un regista che vive nelle Isole Marshall e che l’ha visto di persona, ha raccontato a Reuters che Alvarenga «aveva gambe molto sottili e faceva fatica a camminare». Il governo messicano, con un comunicato, ha comunque confermato la sua identità. I suoi parenti lo hanno riconosciuto.

Dall’inizio
Alvarenga ha raccontato di essere originario di El Salvador, una nazione centroamericana che confina con Guatemala, Nicaragua e Honduras, e di essere immigrato in Messico 15 anni fa per lavorare come pescatore di squali e gamberi. Il 21 settembre o il 21 dicembre 2012 (molti media propendono per la seconda ipotesi) salpò con la sua barca da Costa Azul, in Messico, insieme con un ragazzo di 15 anni di nome Ezequiel, per una battuta di pesca di squali.

La barca finì però in mezzo a una tempesta, che la mandò fuori rotta e danneggiò il motore, costringendo Alvarenga ed Ezequiel alla deriva: iniziarono a nutrirsi di carne cruda di animali e pesci (il Telegraph dice che Alvarenga aveva un coltello, sebbene NBC News aggiunga che a bordo della barca non c’era attrezzatura da pesca). Il ragazzo però, secondo il racconto di Alvarenga, si sarebbe in seguito rifiutato di mangiare carne cruda e sarebbe morto dopo circa quattro mesi (ma altre versioni, come quella fornita da una fonte del ministero degli Esteri delle Isole Marshall, parlano di quattro settimane). Nessun corpo è comunque stato ritrovato a bordo: Alvarenga ha detto di averlo gettato in mare.

In un’intervista al Telegraph, Alvarenga ha ricostruito i fatti accaduti dopo la morte del ragazzo: «per quattro giorni ho pensato di uccidermi. Ma non riuscivo a desiderare di farlo, non volevo provare dolore. Non sarei riuscito a farlo». Otto mesi dopo, ha proseguito, «avevo appena ucciso e mangiato un uccello quando vidi alcuni alberi. Urlai “mio dio!”, arrivai a terra e rimasi a dormire per un mucchio di tempo. Alla mattina mi svegliai e sentii il verso di un tacchino, vidi alcuni polli e una piccola casa. Due donne del posto mi hanno visto e hanno cominciato a urlare: non avevo addosso vestiti, avevo solo delle mutande a brandelli». Era sulla spiaggia di Ebon.

L’unico collegamento fra Ebon e Majuro, la principale delle isole Marshall, è una linea telefonica (senza Internet) e un servizio aereo che però non è stato possibile utilizzare; il governo delle isole Marshall ha quindi utilizzato una propria imbarcazione e ha trasportato Alvarenga a Majuro, dove è arrivato lunedì 3 febbraio. È ancora ricoverato nell’ospedale locale. Le persone che hanno visto la barca di Alvarenga hanno detto che era in pessime condizioni e coperta di piccoli crostacei, e che sul ponte c’erano molti gusci vuoti di tartaruga.

CNN ha contattato i parenti dell’uomo a El Salvador, che lo hanno riconosciuto ma hanno ammesso di aver pensato che fosse morto, poiché da alcuni anni non avevano sue notizie. CNN ha anche aggiunto che Alvarenga ha una figlia di 12 anni (14, secondo un giornale di El Salvador che l’ha intervistata), che vive con i suoi parenti e che non ha alcun ricordo di suo padre. Il Telegraph ha aggiunto di aver contattato alcuni suoi parenti statunitensi, che hanno ricordato che Alvarenga avesse un tatuaggio a forma di filo spinato, come l’uomo ritrovato nelle Marshall. Non è chiaro per quale motivo Alvarenga avesse interrotto i rapporti con i propri genitori, che hanno inoltre detto di «avere in precedenza sentito che fosse scomparso in mare». El Salvador ha avviato le pratiche per chiedere il rimpatrio di Alvarenga.