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  • Martedì 2 luglio 2013

La “battaglia del pastificio”, vent’anni fa

Il 2 luglio 1993 i militari italiani furono coinvolti in un duro e imprevisto scontro a Mogadiscio, in Somalia: andò avanti diverse ore e morirono decine di persone

MOGADISHU, SOMALIA: An U.N. soldier runs towards a U.N. checkpoint 08 July 1993, near "villa Somalia," the residence of ex-Somali dictator Syad Barre. A U.N. spokesman denied reports 08 July that 2,00 extra U.S. troops had been deployed in Somalia. (Photo credit should read ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)
MOGADISHU, SOMALIA: An U.N. soldier runs towards a U.N. checkpoint 08 July 1993, near "villa Somalia," the residence of ex-Somali dictator Syad Barre. A U.N. spokesman denied reports 08 July that 2,00 extra U.S. troops had been deployed in Somalia. (Photo credit should read ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)

Sono passati vent’anni oggi dalla cosiddetta “battaglia del pastificio”, a Mogadiscio: un lungo e imprevisto scontro violento tra soldati italiani e somali che il 2 luglio del 1993 provocò la morte e il ferimento di diverse persone. Fu lo scontro più violento di tutta la missione italiana in Somalia: fu anche quello più discusso, e le cui cause rimangono poco chiare anche oggi.

Quel giorno, alle 5 di mattina, due colonne di mezzi militari italiani entrarono nel quartiere Haliwaa di Mogadiscio, la capitale della Somalia: la prima si chiamava “Alpha”, e proveniva dalla zona del Porto Vecchio, la seconda si chiamava “Bravo” ed era partita dalla città vicina di Balad, lontana circa 20 chilometri da Mogadiscio. Le due colonne facevano parte del contingente militare italiano della missione umanitaria ONU in Somalia e stavano per iniziare un’operazione di “rastrellamento”: la ricerca, casa per casa, di depositi di armi appartenenti ai miliziani di Mohamed Farrah Aidid, un potente “signore della guerra” che all’epoca si contendeva il controllo della città con altri guerriglieri locali.

Il rastrellamento, che veniva fatto regolarmente e che non aveva creato grossi problemi alla missione italiana fino a quel momento, finì per trasformarsi in uno scontro molto violento – e del tutto improvviso – tra soldati italiani e somali: le due fazioni si scontrarono vicino al “checkpoint Pasta”, chiamato così perché costruito nei pressi di un vecchio pastificio abbandonato di Mogadiscio, nel quartiere Haliwaa: per questo la battaglia che ne seguì, che provocò morti e feriti anche italiani, fu rinominata “battaglia del pastificio”, o “battaglia del checkpoint Pasta”.

Una documentario su quanto avvenne quel 2 luglio 1993 fu realizzato nel 2007 da Andrea Bettinetti: si chiama “Checkpoint Pasta”, raccolse molte testimonianze di soldati presenti quel giorno e fu prodotto da Quattroterzi in collaborazione con History Channel Italia.

Verso le 6.30 del mattino di quel 2 luglio, dopo avere iniziato l’operazione di rastrellamento, i militari italiani entrarono in uno dei casolari diroccati del quartiere. L’atmosfera all’inizio era tranquilla, come raccontarono anni dopo i militari che parteciparono all’operazione: i rastrellamenti venivano effettuati con poliziotti somali, gli anziani del quartiere erano persuasi a collaborare, e lo stesso contingente italiano era quello che aveva stabilito un rapporto migliore con gli abitanti locali. Come raccontò a Giovanni Bocco, unico giornalista allora presente alla “battaglia del pastificio”, a un certo punto la situazione cambiò improvvisamente. Bocco disse che i militari scoprirono un grosso deposito di armi. I poliziotti somali sparirono d’un tratto. «Iniziò a crescere, a montare una tensione nell’aria, e si sentiva ogni tanto uno sparo secco. Noi non capivamo da dove venisse questo sparo».

Gli abitanti del quartiere si radunarono per le strade, circondando e insultando i soldati italiani: furono costruite le prime barricate, iniziò una specie di sassaiola e cominciarono a sentirsi degli spari disordinati. Il generale Bruno Loi, che era capo del contingente italiano, ordinò il ripiegamento dei soldati: ma poco dopo la situazione precipitò. La coda della colonna “Alpha” rimase bloccata da altre barricate e i militari italiani si ritrovarono nel mezzo del fuoco incrociato dei miliziani, che nel frattempo erano nascosti ovunque, anche grazie al sostegno degli abitanti del quartiere. Il sergente maggiore Stefano Paolicchi, colpito da una raffica di mitragliatrice, fu ucciso dai miliziani. Il generale Loi ordinò al raggruppamento “Bravo”, che aveva quasi raggiunto Balad, di tornare a Mogadiscio, per fornire supporto militare ai mezzi rimasti bloccati vicino al checkpoint Pasta.

Da quel momento gli scontri aumentarono di intensità e divennero sempre più violenti. Un carro blindato italiano venne fatto saltare in aria, e il caporale Pasquale Baccaro rimase ucciso. Diversi altri militari rimasero sotto il fuoco incrociato dei miliziani, senza che gli elicotteri italiani riuscissero ad atterrare per portare via i feriti. Dopo avere chiesto l’intervento alla “Quick Reaction Force” degli Stati Uniti, il comandò decise di aggirare i miliziani: una piccola colonna di blindati, tuttavia, fu sorpresa da un’imboscata in una piccola strada vicino al checkpoint. Dagli scontri che ne seguirono rimase ucciso anche il sottotenente Andrea Millevoi. Quello fu uno degli ultimi momenti della battaglia, prima che Loi ordinasse lo sganciamento – se ne andarono, insomma – e lo smantellamento di tutti i checkpoint di Mogadiscio.

L’Italia partecipò alla missione dell’ONU in Somalia con il secondo contingente militare più numeroso, dopo quello degli Stati Uniti, schierando i suoi migliori reparti delle forze armate: la missione si chiamava UNOSOM II, e fu la seconda fase dell’intervento ONU in Somalia, che durò dal 1993 al 1995. Quella stessa missione divenne molto conosciuta in tutto il mondo per la “battaglia di Mogadiscio”, durante la quale, il 3 e il 4 ottobre del 1993, vennero abbattuti due elicotteri statunitensi Black Hawk – l’episodio fu raccontato dal film “Black Hawk Down“, girato da Ridley Scott e uscito nel 2001.

Negli scontri del 2 luglio 1993 morirono 3 soldati italiani e 22 rimasero feriti. Le fonti ufficiali riguardo i somali coinvolti parlarono di 67 morti e 103 feriti, anche se alcuni sostennero che furono di più. Sui motivi che indussero gli abitanti del quartiere Haliwaa a ribellarsi agli italiani non si fece mai chiarezza: qualcuno ipotizzò che i soldati italiani scoprirono un deposito di armi a cui Aidid teneva molto, mentre un miliziano di Aidid, la cui testimonianza fu riportata da Bettinetti nel documentario “Checkpoint Pasta”, sostenne che quella mattina insieme agli italiani c’erano 400 uomini del principale rivale di Aidid: quello, disse il miliziano, era un affronto che il quartiere non poteva lasciar passare. Il 9 luglio, comunque, i soldati italiani riconquistarono il checkpoint Pasta.

foto: Un militare italiano in Somalia nel 1993 (ERIC CABANIS/AFP/Getty Images)