Estate vintage

Foto d'archivio e storia di un'invenzione relativamente recente (e inglese): le vacanze al mare, come le conosciamo

di Arianna Cavallo – @ariannacavallo

1928: Hundreds of cars parked on the roadside, with their passengers enjoying the summer sun on San Francisco's huge beach. (Photo by General Photographic Agency/Getty Images)
1928: Hundreds of cars parked on the roadside, with their passengers enjoying the summer sun on San Francisco's huge beach. (Photo by General Photographic Agency/Getty Images)

È iniziata l’estate, la stagione che forse più di tutte è codificata nell’immaginario delle persone: afa, spiagge, mare, gelati, soprattutto vacanze. L’estate e l’idea che ne abbiamo sono però una creazione recente, che si è sviluppata negli ultimi due secoli. Prima le persone comuni non andavano in vacanza: lavoravano tutto l’anno, non avevano diritto alle ferie, non avevano soldi per spostarsi e viaggiavano pochissimo, spesso soltanto per motivi religiosi. Le uniche famiglie che si spostavano erano quelle nobili o molto ricche, che però preferivano le grandi capitali europee e le terme: il mare e le spiagge erano deserte, frequentate quasi soltanto da marinai e contrabbandieri.

Nell’epoca moderna, l’idea di vacanza al mare come la intendiamo adesso si è sviluppata sostanzialmente nell’Ottocento, nell’Inghilterra vittoriana. Le prime stazioni balneari, le cabine da spiaggia mobili e in generale l’interesse per il mare erano nati un secolo prima, quando i medici iniziarono a prescrivere i bagni marini come “un rimedio a tutti i mali”, consigliando alle persone deboli e malate di immergersi nell’acqua del mare come se fossero acque termali. Le cabine da spiaggia mobili, utilizzate fino all’inizio del Novecento, erano cabine di legno con le ruote che si trovavano sulla spiaggia: il malato poteva cambiarsi lì dentro mentre veniva trasportato dai cavalli oltre la riva del mare. A quel punto il malato poteva immergersi e poi risalire in cabina, dove poteva asciugarsi e cambiarsi nuovamente.

Già verso il 1720 a Whitby e Scarborough, nel North Yorkshire, i bagni marini – finora fatti soltanto dalla gente del posto – erano un’abitudine raffinata, destinata alle classi alte, soprattutto ai ricchi provenienti da Londra. A sud-est si erano sviluppati i centri di Margate, Brighton e Weymouth, dove erano stati ricreati i divertimenti, i costumi e il lusso delle stazioni termali. Nel frattempo la letteratura e la cultura Romantica contribuirono a costruire un’idea affascinante – e stereotipata – del mare, che in breve tempo attirò ancora più persone.

Nell’Ottocento il turismo balneare divenne sempre più un fenomeno di massa, soprattutto grazie alla crescente industrializzazione e alle conseguenze che ne derivavano. Lo sviluppo delle ferrovie rese gli spostamenti più economici, permettendo anche alla media borghesia di passare qualche giorno al mare, dove nascevano sempre più stazioni balneari: ai primi dei Novecento lungo le coste inglesi e gallesi ce n’erano più di cento, e la più grande poteva ospitare fino a 50 mila persone. L’arrivo in spiaggia della classe media spinse i ricchi a cercare nuove mete: nacque il turismo nelle coste mediterranee – tra cui quelle italiane – e nella Riviera francese. Le famiglie più ricche iniziarono a passare sempre l’estate al fresco, al mare o in campagna, per fuggire dal caldo delle città, portando così alla nascita delle vacanze estive nelle scuole.

Dalla seconda metà del secolo anche gli operai iniziarono ad andare al mare, grazie ai costi sempre più accessibili dei trasporti e delle strutture e al miglioramento delle loro condizioni economiche. Dapprima soltanto con brevi gite durante il weekend, poi riuscirono a risparmiare abbastanza per potersi fermare al mare durante le cosiddette “Wakes holiday”, che dalla fine del secolo si tennero sempre in estate: si trattava di un periodo – di solito una settimana – in cui le fabbriche e i mulini chiudevano per manutenzione. Per gli operai erano giorni di ferie che potevano trascorrere in vacanza, solitamente tutti nello stesso periodo: non erano ferie pagate, lo furono soltanto dai primi del Novecento in poi. Alla fine dell’Ottocento, quindi, i centri balneari erano frequentati da uno strano miscuglio di borghesi, famiglie della classe media e operai, spesso giovani desiderosi di spendere i soldi risparmiati per divertirsi. In quel periodo Blackpool – seguita da Southend – divenne la prima stazione balneare di massa.

Le spiagge divennero luoghi di divertimento: a Blackpool e Southend vennero costruite giostre simili al luna park di Coney Island a Brooklyn – il primo nel suo genere – mentre un po’ ovunque si poteva ascoltare musica, andare a ballare, a teatro, allo zoo. Nelle spiagge vittoriane si inventarono molte cose che sono ancora comuni nelle spiagge moderne, come fare i castelli di sabbia, giocare con secchiello e formine, fare una passeggiata sul lungomare. Cambiò anche il modo di mangiare: i pranzi a tavola vennero comunemente sostituiti da cibi adatti a essere trasportati in borse e panieri o mangiati andando in giro: si diffusero i gelati, pesce e patatine al cartoccio (il cosiddetto “fish and chips”) e lo zucchero filato. Altre cose invece si sono perse, come le passeggiate sugli asini in spiaggia e le separazioni tra uomini e donne; i costumi da bagno hanno sostituito gonne lunghe, camicette e tutine mentre le persone cercano di abbronzarsi il più possibile anziché ripararsi dal sole per mantenere la carnagione bianca.

Nel Novecento la spiaggia di massa nata in Inghilterra si diffuse anche nel resto d’Europa, favorita anche dalle leggi che dagli anni Trenta in poi garantirono ai lavoratori le ferie pagate. Dagli anni Sessanta le vacanze al mare diventarono comuni e alla portata di quasi tutti.