Un americano in Mongolia
Si chiama James Passin, fa l'investitore e ci vive da quasi 10 anni: ha visto il boom del paese e la frenata di questi ultimi mesi (ma ci crede ancora)
James Passin è un investitore americano che ha lavorato in quasi tutti i mercati emergenti del mondo. Da quasi 10 anni si è trasferito in Mongolia. «Resterò qui fino a che non sarò morto o finché non sarò più interessato a investire in niente», ha detto a Businessweek, che ha raccontato la sua storia. Passin ha attraversato tutta la storia recente della Mongolia: il sonnolento inizio a metà degli anni 2000, il boom dei minerali degli ultimi anni e la brusca frenata nei primi mesi di quest’anno, una parabola tipica di molte economie in via di sviluppo. Ma Passin, a differenza di molti altri investitori, crede ancora in questo paese.
La Mongolia è un paese di 3 milioni di abitanti grande più o meno quanto Italia, Francia, Spagna e Germania messe insieme. Fino agli Anni ’90 è stato un paese comunista e un satellite dell’Unione Sovietica. Il suo sottosuolo è uno dei più ricchi di minerali al mondo ed è pieno di rame, carbone, oro, ferro e terre rare. Secondo alcune stime tutte le riserve valgono agli attuali valori di mercato più di 3 mila miliardi di dollari e negli ultimi anni il boom minerario ha attirato investitori da tutto il mondo. Nel 2011 l’economia della Mongolia è cresciuta del 17 per cento e quest’anno si prevede un tasso di crescita del 13 per cento, il secondo al mondo.
Nel 2012 il governo mongolo ha deciso di stringere la regolazione sulle concessioni minerarie. Oggi qualunque transazione che valga più di 75 milioni di dollari e che coinvolga un’entità straniera, deve essere approvata dal governo. Un’ulteriore tornata di regolamenti è stata presentata al parlamento a dicembre e deve ancora essere approvata. Se dovessero passare queste nuove leggi l’attività mineraria sarà pesantemente regolata, le tasse aumentate e il governo otterrà azioni in molte compagnie minerarie. Queste nuove norme, e in particolare il nuovo pacchetto di leggi presentato dal governo, hanno causato una brusca frenata nell’arrivo di capitali stranieri in Mongolia e molti investitori hanno deciso di abbandonare il paese.
Passin è uno di quelli che hanno deciso di rimanere. È arrivato in Mongolia nel 2005, invitato da un suo amico campione di Sumo – un sport in cui i mongoli sono piuttosto bravi. «All’epoca era un posto sonnolento – racconta – ma capii che il cambiamento stava per arrivare». La borsa di Ulan Bator all’epoca era un luogo senza legge dove a volte per giorni interi non si faceva nemmeno una transazione. Passin cominciò a comportarsi in modo molto aggressivo, gestendo tre fondi del suo datore di lavoro, la Firebird Management, una società specializzata in mercati emergenti.
Sfruttando l’assenza dei regolatori della borsa, Passin e le società della Firebird cominciarono a fare incetta di azioni di varie compagnie, spesso conquistandone il controllo. «Il nostro era un approccio classico: compra una quota di controllo, caccia il management, inietta capitale». Prendendo a bersaglio società sottovalutate che avevano solo bisogno di una guida solida e di capitali per tornare a produrre utili, Passin mise a segno diversi colpi importanti. Come ad esempio l’acquisto della Sharyn Gol, una miniera di carbone a cielo aperto. Al momento dell’acquisto valeva 8 milioni dollari, un anno dopo ne valeva 280.
Passin fu uno dei primi ad arrivare in Mongolia, ma non fu il solo. Molte società, come la Rio Tinto, la seconda società mineraria al mondo, sono arrivate in Mongolia negli ultimi anni. Ma i nuovi regolamenti voluti dal governo hanno fermato la seconda ondata di investitori. Rio Tinto ad esempio ha investito 6,6 miliardi di dollari in una gigantesca miniera di rame a cielo aperto. L’estrazione sarebbe dovuta cominciare quest’anno, ma il progetto è ancora fermo. In molti sono dubbiosi riguardo la strada che intende seguire il governo mongolo e hanno preferito ritirarsi dal paese.
Ma ci sono anche altri motivi che spaventano gli investitori. Il mercato del carbone, la seconda risorsa più diffusa nel sottosuolo mongolo, è in grave crisi mentre il rallentamento della crescita economica cinese, il principale partner della Mongolia, ha eroso il portafoglio di Passin. Dal record di 280 milioni di dollari, oggi la miniera di Sharyn Gol è scesa a 60 milioni. Nell’ultimo anno la borsa di Ulan Bator ha perso quasi il 50 per cento del suo valore. Anche gli investimenti diretti esteri nei primi mesi del 2013 sono calati del 50 per cento.
Passin non nega che la situazione sia difficile, ma resta ottimista. Il governo si è reso conto dell’inversione di tendenza e sta cercando di rimediare. Una legge per rimuovere l’obbligo per le compagnie straniere di ottenere un permesso governativo per fare investimenti dovrebbe essere presentata al parlamento nei prossimi mesi. In molti ritengono improbabile che venga approvato il pacchetto di norme proposto dal governo a dicembre, che ha spaventato gli investitori.
Secondo Passin gran parte della ricchezza del sottosuolo mongolo deve ancora essere scoperta. Si paragona a Gengis Khan, che, dice Passin, conquistò senza imporre la sua cultura. «Quello che faccio, l’abilità di far aumentare rapidamente il prezzo di qualcosa, è fondamentalmente mongolo e nomadico. Non credo che ci sia un posto migliore della Mongolia per farlo».