Che cosa succede nel PD

Il punto su che cosa è successo e che cosa succederà nei prossimi giorni, tra alleanze, consultazioni e congressi

di Francesco Marinelli – @frankmarinelli

Sabato 20 aprile Giorgio Napolitano è stato eletto Presidente della Repubblica per un secondo mandato, con 738 voti: si è trattato di una larghissima maggioranza sostenuta dal PD, PdL, Lega Nord e Scelta Civica. Una maggioranza cercata per giorni dai partiti, soprattutto con le iniziative del Partito Democratico, ma trovata soltanto dopo sei scrutini e un incontro con Giorgio Napolitano a cui è stata chiesta la disponibilità per un secondo mandato.

Per arrivare (o tornare) all’elezione di Giorgio Napolitano si è cercato prima di trovare altri possibili candidati che mettessero d’accordo PD-SEL-PdL, bocciati però via via dai 1.007 grandi elettori nelle votazioni di questi giorni. Si è trattato di nomi proposti dal Partito Democratico, in quanto partito di maggioranza relativa in Parlamento.

Questi nomi sono stati però il motivo di discussioni e divisioni all’interno del PD, con scelte di alcuni esponenti del partito, al momento delle votazioni, diverse da quelle stabilite in assemblea. Il PD si è diviso prima sulla candidatura di Franco Marini, poi su quella (decisiva, in negativo) di Romano Prodi che ha portato infine alle dimissioni di Pier Luigi Bersani, di Rosy Bindi e dell’intera segreteria del PD. È cominciata la crisi politica peggiore della breve storia – iniziata nel 2007 – del maggior partito di centrosinistra italiano.

Lo psicodramma Marini
Franco Marini è stato il primo nome proposto da Bersani al partito di Silvio Berlusconi per cercare un accordo, anche in funzione di un futuro lasciapassare per il nuovo governo. Poco dopo l’ufficialità della scelta però, molti elettori del centrosinistra hanno iniziato a manifestare su Internet il proprio dissenso, accusando Bersani di voler eleggere un uomo troppo associato alla “vecchia” politica: Franco Marini, 80 anni, è un ex sindacalista, ex democristiano, ex leader del Partito Popolare, ex presidente del Senato. Inoltre, c’è stata l’esplicita e forte opposizione di Matteo Renzi. Anche tra altri esponenti del partito, soprattutto i nuovi parlamentari e i più giovani, c’era stato un chiaro dissenso sulla candidatura di Marini, compresi alcuni esponenti della corrente cosiddetta dei “Giovani Turchi” e parte degli alleati di SEL.

Il risultato inatteso di Prodi
Dopo il fallimento della candidatura di Franco Marini, a partire dalla quarta votazione, il PD ha scelto di candidare Romano Prodi, tornando indietro sul progetto di un accordo con il PdL e cercando, in contemporanea, di recuperare quello di SEL. Prodi era stato scelto dai parlamentari del PD all’unanimità, ma non è riuscito a ottenere neanche 400 voti, mostrando così che moltissimi grandi elettori del PD non erano d’accordo. Questo ha dato il colpo definitivo alla leadership di Bersani e di tutto il gruppo dirigente. Va ricordato inoltre, che la candidatura di Prodi era stata appoggiata anche da Renzi, che aveva deciso di seguire la linea del partito.

Le dimissioni del gruppo dirigente
La prima conseguenza del fallimento della candidatura di Romano Prodi sono state le dimissioni di Rosy Bindi dalla presidenza dell’Assemblea nazionale del Partito Democratico. Bindi ha spiegato in un comunicato: «Non sono stata direttamente coinvolta nelle scelte degli ultimi mesi né consultata sulla gestione della fase post elettorale e non intendo perciò portare la responsabilità della cattiva prova offerta dal Pd in questi giorni».

Poi è stato il turno di Pier Luigi Bersani, che il 19 aprile, all’assemblea dei grandi elettori del PD, ha annunciato le dimissioni da segretario: «Abbiamo prodotto una vicenda di una gravità assoluta, sono saltati meccanismi di responsabilità e solidarietà». Le sue dimissioni sono diventate effettive dopo l’elezione di Giorgio Napolitano. Una volta che si è dimesso il segretario, automaticamente, si è dimessa l’intera segreteria nazionale del partito da lui nominata.

Il ruolo di Enrico Letta
Dal 20 aprile, giorno in cui si è dimessa la segreteria del PD, la guida del partito è diventata di fatto del vicesegretario Enrico Letta. La segreteria nominata da Bersani non ha più le sue funzioni, ma questo non si ripercuote sul suo vice che – come stabilito dallo Statuto del PD, all’articolo 6 – non perde le sue funzioni da vicesegretario, perché è stato eletto direttamente dall’Assemblea nazionale su proposta del segretario. Sarà quindi lui, probabilmente, a guidare il partito fino al congresso: già in questi giorni potrebbe essere formato una specie di “direttorio” che lo supporti nelle scelte politiche più importanti, mentre un comitato apposito dovrebbe dedicarsi al congresso.

I tempi del congresso
In un’intervista al Tg3 di ieri, dopo la rielezione di Napolitano, Enrico Letta ha detto che il congresso del partito ci sarà nel «più breve tempo possibile», parlando tra l’altro della necessità di «fare pulizia». Prima di questa serie di dimissioni, il mandato di Bersani sarebbe scaduto il 25 ottobre 2013: il presidente dell’Assemblea nazionale, Rosy Bindi, avrebbe dovuto indire l’elezione della nuova assemblea e del segretario entro sei mesi prima della scadenza, ovvero entro il 24 aprile 2013.

I tempi del congresso saranno anche condizionati da diversi fattori: la procedura di tesseramento, la presentazione delle candidature e un periodo dedicato al dibattito interno. In queste ore si parla di nuove primarie per il segretario che potrebbero svolgersi tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. Nei prossimi giorni, comunque, dovrebbe esserci una direzione nazionale per discutere su questi temi: anche se non potrà essere Rosy Bindi a convocarla, lo potranno fare un quinto dei componenti, magari per discutere della possibilità di nominare un segretario “reggente”, come fu Dario Franceschini dopo le dimissioni di Walter Veltroni nel 2009.

Le consultazioni al Quirinale
Un’altra questione rimasta al momento sospesa è quella della delegazione che andrà dal Presidente della Repubblica, in rappresentanza del partito, per le consultazioni che ci saranno per la formazione di un nuovo governo. Al momento, i dirigenti del partito hanno detto che al Quirinale potrebbero andare soltanto i capigruppo di Camera e Senato, Luigi Zanda e Roberto Speranza. Ma anche su questo ci sono nel partito delle posizioni diverse: Matteo Orfini ha criticato per esempio questa ipotesi, spiegando che «alle consultazioni non ci possono andare Enrico Letta, Speranza e Zanda perché non mi rappresentano», come riporta oggi il Corriere della Sera.

L’alleanza con SEL
L’alleanza con il partito guidato da Nichi Vendola ha vissuto in questi giorni delle fasi alterne: prima i contrasti sulla candidatura di Franco Marini, poi l’accordo per votare Romano Prodi e infine il dissenso sul secondo mandato di Giorgio Napolitano: alla sesta votazione SEL ha votato per Stefano Rodotà, come il Movimento 5 Stelle. Questo potrebbe significare la fine dell’alleanza di coalizione, che si è presentata alle elezioni del 24 e 25 febbraio. Vendola ha detto di non essere d’accordo con un governo, cosiddetto delle “larghe intese”, cioè che includesse il PdL e Scelta Civica.

Ieri, dopo la rielezione di Giorgio Napolitano, Vendola ha spiegato che il suo partito si impegnerà «a ricostruire dalle fondamenta una sinistra di governo. L’8 maggio a Roma convocheremo la prima assemblea di popolo per lanciare questo nuovo progetto», aperto a tutti quelli che saranno interessati, «dopo lo schianto del PD».

Il ruolo di Fabrizio Barca
Poco dopo la diffusione della notizia dell’accettazione da parte di Napolitano alla richiesta dei partiti per un suo secondo mandato alla presidenza della repubblica, Fabrizio Barca – ministro per la Coesione territoriale e neotesserato del PD – ha scritto sul proprio account Twitter:

Si è trattato in sostanza di un messaggio contro la possibilità di una rielezione di Napolitano, contro la scelta fatta dai partiti compreso il PD, e molto simile invece a quella di SEL. Fabrizio Barca aveva detto nelle scorse settimane di aspirare a diventare un dirigente del PD, pubblicando anche un documento che era apparso a metà tra un saggio accademico e un programma politico. Sui giornali si è iniziato a parlare così di una possibile alleanza politica tra Barca e Vendola, anche in vista dell’assemblea dell’8 maggio. Oggi, in un’intervista all’Unità, Fabrizio Barca, parlando del futuro del PD ha detto: «Una separazione sarebbe insensata, una iattura».

Foto: Roberto Monaldo/LaPresse