La sobrietà di stato in Cina
Almeno nelle tv e radio pubbliche, dove sono stati vietati gli spot dei prodotti di lusso in vista del capodanno cinese
Questa settimana, l’agenzia di stampa ufficiale del governo cinese ha comunicato che l’autorità per le telecomunicazioni cinesi ha vietato sulle tv e radio statali ogni pubblicità di beni di lusso e – più in generale – ha richiesto di eliminare gli spot che suggeriscono di spendere denaro per fare regali. Il momento non è scelto a caso, considerato che manca poco al capodanno cinese, una festa che dura parecchi giorni e in cui è molto diffusa la tradizione di scambiarsi regali o denaro.
In seguito alla diffusione della notizia, le principali marche di prodotti di lusso, come Burberry, LVMH e Richemont, hanno tutte avuto cali in borsa. Da anni la Cina ha superato il Giappone come il più grande mercato dei beni di lusso al mondo, responsabile da sola per un quinto di tutti gli acquisti. La decisione, secondo il comunicato dell’agenzia, è motivata dalla scelta di portare avanti, su radio e televisione, gli autentici e buoni valori tradizionali cinesi che – anche se nel comunicato non viene detto esplicitamente – non hanno a che fare con spendere grosse somme per donare gioielli o profumi costosi.
Si tratta dell’ultima mossa di una lunga serie cominciata qualche mese fa e portata avanti dalla nuova leadership cinese, guidata da Xi Jinping – eletto a novembre segretario del partito comunista cinese e destinato a marzo a diventare presidente della Cina. L’obbiettivo è dare ai nuovi leader della Cina e a tutta la struttura del partito comunista una nuova immagine: più vicini alla gente, moralmente corretti e meno indulgenti con i ricchi – che siano privati o funzionari del governo.
A novembre scorso, Xi ha dichiarato che se non si fosse combattuta con forza la corruzione dei funzionari, il partito avrebbe subito un duro colpo. Poche settimane dopo, il partito pubblicò una severa guida per limitare il lusso e le sfarzose cerimonie di partito. Fiori e folle di bambini festosi da allora sono vietati, così come lo sono gli alcolici alle cene ufficiali, i banchetti dei militari e le visite all’estero di delegazioni con un alto numero di funzionari.
Ma questo nuovo corso ha anche qualche coloritura che sembra richiamare il vecchio Mao Tse Tung, prima guida della rivoluzione cinese e da alcuni ricordato come il padre della rivoluzione “tradita” dagli attuali leader che hanno aperto il paese al libero mercato. In occasione delle feste di capodanno, sia Xi che il suo vice Li Keqiang hanno viaggiato in numerosi villaggi in alcune delle aree più povere del paese, facendosi filmare e fotografare mentre portavano doni ai contadini e parlavano con loro dei problemi che devono affrontare ogni giorno.
La preoccupazione principale dei leader cinesi sembra al momento quella di combattere la percezione della diseguaglianza in Cina – se non proprio le sue cause. Dopo quasi vent’anni di crescita economica moltissimi cinesi si sono emancipati da una vita agricola, in cui la sopravvivenza di una famiglia dipendeva dal raccolto. Milioni di persone si sono trasferite nei grandi centri industriali e, in cambio spesso di orari massacranti con poche o nessuna tutela, hanno potuto almeno avere un incremento di salario e migliorare i loro standard di vita e quelli delle loro famiglie.
Ma per un numero molto minore di persone – spesso legate al partito o all’alta burocrazia – la crescita economica ha significato semplicemente diventare estremamente ricchi. La differenza tra ricchi e poveri è aumentata moltissimo negli ultimi anni. Secondo l’ufficio statistico nazionale, il coefficiente di Gini che misura la diseguaglianza nel reddito (0 è nessuna diseguaglianza, 1 è la massima disuguaglianza) è 0.47. Secondo una ricerca indipendente di un’università cinese è invece 0.61. In Italia è 0.36.
I nuovi leader cinesi sembrano molto preoccupati da questi dati e la scelta che finora hanno compiuto per affrontarli è stata quella di adottare politiche di sobrietà. Una scelta che hanno fatto anche perché la Cina è un paese molto più turbolento di quanto siamo portati a pensare. Recentemente ci sono stati scontri e altri tumulti a Foxconn, la gigantesca industria dove vengono prodotti molti dispositivi elettronici utilizzati in occidente, come smartphone e tablet. Ma le proteste in molte aree del paese sono ormai una costante e si calcola che in Cina ci siano circa 500 manifestazioni al giorno. Tra le causa potrebbe esserci l’eccesso di diseguaglianza e la corruzione dei funzionari pubblici, come sembrano pensare gli attuali leader cinesi. Ma è probabile anche che le condizioni di vita nei giganteschi e congestionati centri industriali della costa e le scarsissime tutele del lavoro siano una causa importante in questa insoddisfazione.