Ritratti di detenuti politici

James MacKay fotografa attivisti, studenti, giornalisti e avvocati usciti dalle prigioni della Birmania, in una posizione particolare

© James Mackay, Abhaya: Burma's Fearlessness, Enigma images

Negli ultimi mesi il governo della Birmania, guidato dal presidente Thein Sein, ha concesso l’amnistia a migliaia di persone detenute, e tra queste molte erano rinchiuse per motivi politici. Queste decisioni, parte di un grande e sorprendente processo di trasformazione della Birmania, stanno portando alla luce le storie di numerosi ex prigionieri politici, tra cui monaci, studenti, giornalisti, avvocati, membri del parlamento e del partito di opposizione guidato da Aung San Suu Kyi, la Lega nazionale per la democrazia.

Il fotografo britannico James MacKay, che vive tra la Birmania e il Regno Unito, dal 2009 racconta le storie di queste persone attraverso dei particolari ritratti fotografici. Il progetto si chiama Abhaya: Burma’s Fearlessness e l’idea è che i soggetti diventino fisicamente portatori di un messaggio di pace e resistenza: sono rivolti verso la macchina fotografica e sulla loro mano è scritto il nome di un altro detenuto politico, in nome della solidarietà che li unisce. Il gesto – la mano con il palmo steso e rivolto verso l’obiettivo – viene chiamato Mudrā e in varie religioni viene usato per ottenere benefici sul piano fisico, energetico e spirituale. In questo caso la posa della mano rappresenta la posizione Abhaya, che significa coraggio.

James MacKay lavora come fotografo soprattutto nel sud est asiatico. Sul suo sito si possono vedere molti suoi reportage. Negli anni ha pubblicato le sue foto su diversi giornali e magazine come TIME, Newsweek, New York Times, Independent, Le Monde, Guardian, The Bangkok Post, The Irrawaddy, VOGUE Japan, VOGUE UK e Dazed & Confused. Le sue foto sono state pubblicate anche nei materiali di Human Rights Watch e Amnesty International. Il progetto Abhaya: Burma’s Fearlessness nel 2011 è diventato un libro che raccoglie le fotografie migliori e che contiene una prefazione scritta da Aung San Suu Kyi.