Gore Vidal secondo Christopher Hitchens

Due anni fa Hitchens aveva spiegato come uno degli esponenti «più sovversivi» della letteratura americana dopo l'11 settembre avesse ceduto alla «pazzia»

LOS ANGELES, CA - APRIL 28: Author Gore Vidal appears in conversation with writer Jon Wiener at the 12th Annual L.A. Times Festival of Books in Royce Hall on the U.C.L.A. campus on April 28, 2007 in Los Angeles, California. (Photo by Charley Gallay/Getty Images)
LOS ANGELES, CA - APRIL 28: Author Gore Vidal appears in conversation with writer Jon Wiener at the 12th Annual L.A. Times Festival of Books in Royce Hall on the U.C.L.A. campus on April 28, 2007 in Los Angeles, California. (Photo by Charley Gallay/Getty Images)

Ieri, in seguito alle complicazioni di una polmonite, è morto a 86 anni Gore Vidal. Era un popolare e stimato intellettuale statunitense, e tra le molte altre cose fu lo scrittore che ebbe il coraggio, nell’America conformista del 1948, di affrontare apertamente il tema dell’omosessualità (con il suo romanzo «La statua di sale»).

Quando gli chiedevano se qualche letterato l’avesse influenzato, rispondeva citando Napoleone di non essere «un discendente» ma un «antenato». Era amico di Italo Calvino, dichiarava apertamente le sue idee politiche, nel 1960 si candidò al Congresso per il Partito Democratico nello Stato di New York (perdendo) e recitò in molti film hollywoodiani (a partire da Bob Roberts di Tim Robbins).

Due anni fa su Vanity Fair il giornalista inglese Christopher Hitchens – che Gore Vidal considerava il suo erede, definizione che a Hitchens non piaceva molto – scrisse un articolo molto critico spiegando come Vidal, definito uno degli esponenti “più sovversivi” della letteratura americana del ventesimo secolo, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 avesse iniziato a scrivere analisi poco lucide e prendere posizioni visionarie.

Christopher Hitchens, che è morto di cancro lo scorso dicembre, racconta come all’inizio Gore Vidal fosse per lui paragonabile a Oscar Wilde, per il “raro dono di essere divertente mentre parlava di cose serie e di prendere sul serio le cose divertenti”. “Combinava opinioni politiche radicali con uno stile di vita tutt’altro che solenne”, prosegue Hitchens, dicendo di aver conosciuto Vidal dieci anni prima, alla fine degli anni novanta.

“I colloqui privati con lui erano scioccanti”, scriveva Hitchens. Stare con lui significava infatti venire a conoscenza anche dei “tratti meno adorabili” del suo carattere, eccentricità che sembravano però essere “sotto controllo”: tra queste, “un’occasionale tendenza a tirare in ballo a sproposito la questione ebraica” e un’ammirazione segreta per Charles Lindbergh, celebre aviatore e leader della destra isolazionista americana nel 1930.

Dopo l’11 settembre per Gore Vidal le cose cambiarono. “Se è vero che tutti in qualche modo siamo stati trasformati dall’11 settembre 2001”, scrive Hitchens, “questo è forse ancor più vero per Vidal”. Quell’evento accentuò “una vena di pazzia” che in lui era già presente e che “gradualmente si affermò come dominante”. Christopher Hitchens, nel suo articolo, fa riferimento a un saggio di Gore Vidal intitolato Dreaming War and Perpetual War for Perpetual Peace, pubblicato in italiano nella raccolta La fine della libertàVerso un nuovo totalitarismo? (Fazi, Roma 2001) nel quale si ritroverebbero “le nozioni più grossolane di Michael Moore o di Oliver Stone”. Secondo Gore Vidal gli attentati dell’11 settembre erano stati previsti dai servizi di intelligence americana allo scopo di giustificare i progetti di invasione americana dell’Afghanistan. Lo scrittore statunitense sosteneva che l’amministrazione Bush – da sempre obiettivo delle sue critiche – avesse permesso quegli attentati per scatenare una guerra e poter controllare i pozzi petroliferi in Asia.

Secondo Hitchens è in un’intervista fatta da Johann Hari e pubblicata sull’‘Independent nell’ottobre del 2009 che Gore Vidal “toccò il fondo” della sua rabbia verso gli Stati Uniti e i suoi leader. Vidal descrive “l’intero esperimento americano” come “un fallimento”, dicendo che presto il paese sarà classificato “da qualche parte tra il Brasile e l’Argentina” e che l’impero crollerà sia militarmente che sotto la minaccia economica della Cina.

Alle fine del suo articolo, Christopher Hitchens dice che durante un dibattito pubblico al giornalista che chiedeva quali fossero le differenze tra lui e Hitchens, Gore Vidal avesse risposto: «Sai, lui stesso si è definito per molti anni come il mio erede. Purtroppo per lui io non sono ancora morto». Hitchens racconta come in quella risposta la verità fosse stata rovesciata – fu Gore Vidal a definirlo come «il suo successore» – e come i loro rapporti, dopo l’11 settembre, si interruppero: “Non voglio commettere un parricidio letterario, né uccidere la figura di Gore Vidal. Anche perché è una figura che si è suicidata”. E conclude: “Oscar Wilde non è mai stato un uomo meschino”.

(Nella foto, Gore Vidal il 28 aprile 2007 in un dibattito a Los Angeles – Charley Gallay/Getty Images)