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  • Lunedì 4 giugno 2012

Il calcioscommesse degli anni Ottanta

La storia del primo scandalo di partite truccate del calcio italiano, quando la giustizia ordinaria e quella sportiva arrivarono a conclusioni opposte

In questi giorni, viste le inchieste sulle scommesse e le presunte partite di calcio truccate, si è citato più volte un episodio analogo avvenuto nel 1980, il primo grande scandalo di partite truccate e scommesse clandestine in Italia. All’epoca venne chiamato “totonero”, in riferimento al Totocalcio, il concorso a premi sui risultati delle partite organizzato Monopoli di Stato. Un evento di una simile portata si sarebbe ripetuto nel 1986, quando ci fu un altro scandalo per scommesse, e poi nel 2011, le cui indagini e processi sportivi sono ancora in corso.

Gli arresti spettacolari
Lo scandalo del 1980 cominciò in modo piuttosto spettacolare. Il 23 marzo 1980, mentre si giocava la 24esima giornata di Serie A e 27esima di Serie B, la polizia fece irruzione su alcuni campi da gioco dove erano in corso partite di squadre e calciatori sospettati dai magistrati di attività illecite. Le immagini degli arresti e delle operazioni della polizia vennero persino trasmesse in diretta dalla celebre trasmissione sportiva della RAI “90° minuto”.

Quel 23 marzo e nei giorni successivi vennero arrestati 13 calciatori di serie A e B, alcuni anche molto famosi: Stefano Pellegrini (Avellino), Sergio Girardi (Genoa), Massimo Cacciatori, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Giuseppe Wilson (Lazio), Claudio Merlo (Lecce), Enrico Albertosi e Giorgio Morini (Milan), Guido Magherini (Palermo), Mauro Della Martira, Luciano Zecchini e Gianfranco Casarsa (Perugia). Tutti venero trasferiti a Roma per essere interrogati: l’accusa contro di loro era truffa aggravata e continuata. A Paolo Rossi (Perugia), Fernando Viola e Renzo Garlaschelli (Lazio), invece, vennero notificati tre ordini di comparizione per concorso in truffa. Vennero arrestati anche il presidente del Milan, Felice Colombo, e quello della Lazio, Umberto Lenzini, che ebbe un malore. Complessivamente oltre 50 giocatori risultavano indagati dalla magistratura.

L’antefatto
Gli arresti vennero decisi dopo che l’1 marzo 1980 era accaduto un fatto decisivo per l’intera vicenda. Quel giorno il ristoratore Alvaro Trinca e il fruttivendolo Massimo Cruciani fecero una denuncia alla Procura di Roma: i due sostenevano di esser stati truffati da 27 calciatori (22 di serie A, 5 di B) che dopo aver ricevuto da loro molto denaro per falsare i risultati di alcune partite non avrebbero rispettato i patti. A causa del loro comportamento, Trinca e Cruciani avevano contratto notevoli debiti con gli allibratori delle scommesse clandestine (il “Totonero”, appunto). Tutto era cominciato addirittura nel 1974, come poi avrebbe spiegato lo stesso Trinca:

La mia storia disgraziata comincia sei anni fa, nel 1974, quando in una stessa settimana venni avvicinato a più riprese da alcuni scommettitori clandestini: una volta vennero al mio ristorante “La Lampara”, un’altra mi diedero appuntamento in un bar sotto casa, una terza c’incontrammo a via Veneto. lo sapevo già da allora che intorno al calcio si muoveva un vorticoso giro di miliardi legato alle scommesse clandestine. Loro sapevano che ero amico di tanti calciatori, che Antognoni della Fiorentina, Giordano e Manfredonia della Lazio, Capello del Milan e altri ancora mi avevano invitato al loro matrimonio. Sapevano molte cose su di me e così non mi stupii quando questi signori, mostrandomi la loro schedina e le loro quote, mi invitarono a scommettere su una partita del campionato di calcio.

Negli anni Settanta, dunque, Trinca cominciò a scommettere clandestinamente (all’epoca in Italia non era possibile scommettere legalmente sulle partite di calcio). Dopo un po’ Trinca coinvolse anche il suo amico Cruciani, ma presto i due cominciarono a perdere molto denaro. Allora, come ha dichiarato lo stesso Trinca nell’aprile del 1980:

Il giro delle scommesse grosse, almeno per noi, comincia nel ’79. Eravamo in perdita, così quando sapemmo che saremmo potuti rientrare coi soldi truccando il risultato di qualche partita, ci mettemmo all’opera. Per cominciare ci dividemmo i compiti: io facevo le scommesse, Massimo teneva i rapporti con i calciatori. La prima occasione favorevole ci giunse per telefono. Tramite il capitano della Lazio, Pino Wilson, mi misi in contatto con il giocatore del Palermo Guido Magherini, che io conoscevo dal ’70, epoca in cui giocava nella Lazio. Un martedì dell’ottobre scorso, il giorno prima della partita amichevole Palermo-Lazio, Magherini – che fin da ora posso indicare come il cervello di tutta questa storia, un personaggio che deve aver incassato centinaia e centinaia di milioni – ci disse che molte partite di serie A e B potevano essere truccate, e che si sarebbe potuto “combinare” anche il risultato di quell’amichevole puntando una forte cifra sul pareggio in quanto il risultato era assicurato. Questo ce lo confermò anche Wilson: “Tanto è una partita di cui non ci frega niente”. Così scommisi sul pareggio tre milioni per noi, e un milione a testa per Wilson e Magherini; purtroppo, siccome l’arbitro non arrivò in tempo e la partita venne diretta dall’allenatore del Palermo, i bookmaker la considerarono non regolare e non convalidarono il pareggio. “Peccato, ce la faremo un’altra volta”, mi disse, salutandomi, Magherini.

Le indagini
Il caso scoppiò a pochi mesi dall’inizio degli Europei di calcio del 1980 che quell’anno si sarebbero svolti proprio in Italia. Poche settimane dopo gli arresti del 23 marzo, il presidente della FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio) Artemio Franchi decise di dimettersi.

Gli inquirenti, sia della giustizia ordinaria che di quella sportiva, si concentrarono sui fatti legati ad alcune partite del campionato 1979-80 di Serie A, e cioè in particolare Milan-Lazio (finita 2-1), Avellino-Perugia (2-2), Bologna-Juventus (1-1), Lazio-Avellino (1-1), Bologna-Avellino (1-0), Milan-Napoli (1-2) e Pescara-Fiorentina (1-2). Il 14 maggio iniziò il processo sportivo. Il 13 giugno, invece, con gli Europei in corso, quello penale.

Dalle testimonianze di Trinca e Cruciani gli inquirenti dissero di essere risaliti a un giro di miliardi di lire che coinvolgeva diverse squadre e che era legato alle scommesse clandestine. Il fenomeno sembrava piuttosto radicato, in quanto avvicinare calciatori e dirigenti sembrava cosa piuttosto facile per due personaggi fuori dal calcio come Trinca e Cruciani. Inoltre, da quello che è venuto fuori dalle indagini, spesso le presunte combine non riuscivano per varie cause, tra cui disaccordi tra i calciatori, complotti e coincidenze sfortunate. Esemplare, per esempio, è il racconto di Trinca su alcune scommesse andate molto male e sul perché poi lui e Cruciani decisero di denunciare tutto, nonostante il presunto tentativo del presidente del Milan Felice Colombo di farli tacere con decine di milioni.

Quella domenica del 13 gennaio doveva essere il giorno del nostro riscatto. Con Cruciani infatti avevamo deciso di giocare una martingala su quattro partite, tre delle quali sapevamo combinate: la vittoria della Lazio sull’Avellino e i pareggi della Juventus col Bologna e del Genoa col Palermo; la quarta partita, Pescara-Inter, era l’unica pulita, e noi puntammo sulla vittoria dell’Inter. Per Bologna-Juve, Massimo mi aveva riferito che il risultato era stato già pattuito dal presidente della Juve Boniperti e da quello del Bologna Fabretti; era una partita talmente sicura che a Cruciani telefonarono Carlo Petrini e Giuseppe Savoldi del Bologna chiedendogli di puntare a loro nome e di altri compagni 50 milioni sul pareggio. Io e Cruciani scommettemmo sulle quattro partite 177 milioni. E facemmo altre puntate a nome di altri giocatori di cui per ora non faccio il nome. Se tutto filava liscio avremmo vinto un miliardo e 350 milioni e pagato tutti i debiti che avevamo con i bookmaker. Purtroppo ci fregò la Lazio, che invece di vincere come d’accordo la partita con l’Avellino la pareggiò, cosi saltò la nostra martingala sulle quattro partite. Quanto ai 50 milioni che avevo sborsato per conto di Cordova, costui non me li ha più restituiti. Sono convinto che, nonostante mi avesse promesso la vittoria della Lazio, abbia fatto invece di tutto per il pareggio. Non so, probabilmente avrà giocato centinaia di milioni su questo risultato…

L’ultima partita su cui scommettemmo fu Bologna-Avellino. Durante la settimana prendemmo contatti con Stefano Pellegrini e altri giocatori dell’Avellino. Loro dissero: “Non c’è bisogno di accordi né di soldi: pareggiare a Bologna ci sta bene”. Per il Bologna ci accordammo con Petrini, Savoldi, Paris, Zinetti, Dossena e Colomba… La partita non rispettò le promesse: il Bologna vinse 1 a 0, noi perdemmo tutti i soldi, e a quel punto eravamo completamente rovinati. Avevamo un debito con gli allibratori clandestini di ben 950 milioni. Soldi che, in gran parte, ci erano stati truffati dai calciatori. Non ci restava che una cosa da fare: l’esposto alla magistratura.

Il processo penale e quello sportivo
Il processo penale si risolse in nulla: il 23 dicembre 1980 i giudici della quinta sezione penale del tribunale di Roma assolsero tutti i calciatori rinviati a giudizio dal reato di truffa aggravata e concorso in truffa perché il fatto non sussisteva. La giustizia sportiva, invece, fu molto più severa e condannò squadre e calciatori a lunghe squalifiche e anche radiazioni per illecito sportivo. Alla fine, nel luglio del 1980, le sentenze definitive, per quanto riguarda la serie A, furono queste:

Squadre
Lazio: retrocessione in Serie B.
Milan: retrocessione in Serie B (la prima della sua storia).
Avellino: 5 punti di penalizzazione nel Campionato 1980-1981.
Bologna: 5 punti di penalizzazione nel Campionato 1980-1981.
Perugia: 5 punti di penalizzazione nel Campionato 1980-1981.

Dirigenti
Felice Colombo (presidente Milan): radiazione.
Tommaso Fabbretti (presidente Bologna): 1 anno di squalifica.

Calciatori
Stefano Pellegrini (Avellino): 6 anni di squalifica.
Massimo Cacciatori (Lazio): 5 anni.
Mauro Della Martira (Perugia): 5 anni.
Enrico Albertosi (Milan): 4 anni.
Bruno Giordano (Lazio): 3 anni e 6 mesi.
Lionello Manfredonia (Lazio): 3 anni e 6 mesi.
Carlo Petrini (Bologna): 3 anni e 6 mesi.
Giuseppe Savoldi (Bologna): 3 anni e 6 mesi.
Giuseppe Wilson (Lazio): 3 anni.
Luciano Zecchini (Perugia): 3 anni.
Paolo Rossi (Perugia): 2 anni.
Franco Cordova (Avellino): 1 anno e 2 mesi.
Giorgio Morini (Milan): 10 mesi.
Stefano Chiodi (Milan): 6 mesi.
Piergiorgio Negrisolo (Pescara): 5 mesi.
Maurizio Montesi (Lazio): 4 mesi.
Franco Colomba (Bologna): 3 mesi.
Oscar Damiani (Napoli): 3 mesi.

Nonostante la giustizia sportiva avesse invocato e applicato condanne esemplari, a meno di tre settimane dalla vittoria dei Mondiali del 1982 da parte dell’Italia il Consiglio Federale italiano avrebbe poi deciso un’amnistia per Enrico Albertosi, Giuseppe Savoldi, Carlo Petrini, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Guido Magherini, Lionello Massimelli, Pino Wilson, Luciano Zecchini, che quindi tornarono subito a giocare.

L’assoluzione su Bologna-Juventus
Un caso particolare fu quello di Bologna-Juventus. I giudici federali sentenziarono che la partita non fu truccata, anche se all’epoca la loro decisione lasciò molti dubbi. La partita era finita 1-1, dopo due reti abbastanza curiose (quella della Juve su errore del portiere avversario, il pareggio del Bologna su autogol). L’ex giocatore del Bologna Carlo Petrini, recentemente scomparso, nel suo libro Nel fango del dio pallone (ed. Kaos) ha raccontato la sua versione dei fatti, e cioè che le due società si erano accordate per ottenere un pareggio. Petrini, inoltre, ha raccontato che le due squadre erano state assolte nella circostanza perché l’ex presidente bianconero Giampiero Boniperti avrebbe convinto Cruciani a non presentarsi in aula (Petrini dice probabilmente dietro un cospicuo pagamento).

Il caso Paolo Rossi
Paolo Rossi, che era già stato escluso dall’Europeo del 1980 per via dell’inchiesta, era stato accusato di aver concordato il pareggio di Avellino-Perugia della stagione 1979-80. Rossi alla fine venne squalificato per due anni (erano 3 in primo grado) ma si è sempre detto innocente e ha più volte ricordato che si è trattato di un equivoco.

Nonostante la squalifica, la Juventus acquistò lo stesso Paolo Rossi, che a questo punto sarebbe tornato in campo a fine aprile 1982, in tempo per un’eventuale convocazione per i Mondiali di Spagna. Ma il 15 maggio 1981, Rossi si prese un altro mese di squalifica per aver definito il processo sportivo che l’aveva giudicato “una buffonata”:

Ma questo dico: dovesse capitare di nuovo, non mi ripresenterei davanti ai giudici sportivi. Il primo processo è stato una buffonata. È terribile essere giudicati da gente simile, essere accusati di reati mai commessi, essere condannati senza la minima prova. E questa macchia, adesso, chi me la cancella?

La Commissione d’appello federale accolse il ricorso di Rossi e lo fece tornare in campo a fine stagione 1981-1982 per disputare le ultime partite di campionato con la Juventus.

Nella sua prima partita dopo la squalifica, Rossi segnò subito contro l’Udinese. Rossi giocherà solo tre partite quell’anno, dopo due stagioni di inattività, ma il commissario tecnico della Nazionale italiana Enzo Bearzot decise comunque di convocarlo per i Mondiali del 1982, lasciando fuori giocatori apparentemente molto più in forma come Roberto Pruzzo della Roma, che quell’anno aveva segnato 15 gol. Bearzot si attirò così molte critiche, che aumentarono quando Rossi giocò malissimo le prime tre partite. Nella seconda fase del torneo, nella partita contro il Brasile, Rossi segnò addirittura una tripletta. Da quel momento, incredibilmente e inaspettamente, Rossi trascinò l’Italia verso la conquista della Coppa del Mondo, diventando anche capocannoniere del Mondiale.

Nella foto: la prima pagina della Stampa il 24 marzo 1982