La storia del Totocalcio

La Lettura racconta l'invenzione di un gioco che ci siamo quasi dimenticati: era il 1946 e per vincere bisognava fare 12

Francesco Cevasco, in un articolo pubblicato sulla Lettura del Corriere della Sera, racconta la nascita della schedina del Totocalcio, che avvenne il 5 maggio 1946. L’idea fu di “un giornalista ebreo e sveglio”, Massimo Della Pergola, che con due soci e 400 mila lire di capitale (meno della prima vincita) creò la società che poi diventerà il Totocalcio. All’inizio si giocava per fare 12, il punteggio con il quale si vinceva, poi lo Stato, “più autoritario di quello fascista che lo aveva obbligato a scappare”, come racconta Cevasco, gli scippò “il bel giocattolo che aveva inventato”.

Cinque maggio 1946. Nasce il sogno. Il sogno del povero italiano figlio di una guerra che gli ha lasciato soltanto un sogno: far qualche soldo per mantenere moglie e figli e poi, se va bene, comprare una Topolino Fiat, e se va molto bene una 500 Balestra Lunga, e se va benissimo una 1.500 Berlina. Da un mese hanno brevettato la Vespa, lo scooter che metterà le signore con le gambe accavallate sul sedile posteriore e farà impazzire i passanti che guarderanno le gonne sollevate da quel vento artificiale. Ma il sogno è un altro: la Schedina del Totocalcio. Cinque maggio 1946: su una carta sbiadita sono impilate 12 (non 13, 13 diventeranno dopo) partite di calcio. Indovinate il risultato, lo sappiamo tutti: 1 vince chi gioca in casa, 2 vince chi gioca in trasferta, X finisce pari. Costo: 30 lire, come dice la timida pubblicità, l’equivalente di un vermuth. Che era già un lusso. Un milanese originario di Roma, Emilio Biasotti, beccò il 12 e si mise in tasca 496.826 lire. Aveva intuito che l’Internazionale avrebbe battuto la Juventus, che il Torino avrebbe battuto il Milan, che la Sampierdarenese (la Sampdoria sarebbe arrivata da lì a poco) avrebbe pareggiato con la Sestrese, che il Genoa non sarebbe andato oltre il pari a Como, che il glorioso Novara avrebbe vinto a Legnano eccetera. Adesso ci sembra strano, in fondo non è passato molto tempo, ma allora il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi se voleva andare a Parigi per la Conferenza dei Grandi e non fare la figura dello straccione italiano doveva farsi prestare il cappotto dal più ricco ministro Piccioni che ne aveva uno «buono». È l’anno in cui c’è il Referendum istituzionale, e finalmente votano anche le donne, in cui Gino Bartali vince il suo terzo Giro d’Italia, in cui nasce Mediobanca ed esce il primo numero di «Grand Hotel». Ma che ce ne importa a noi, giochiamoci la fortuna: oltretutto noi italiani siamo tutti allenatori di calcio, sappiamo come e quando e perché una squadra (magari più debole) può vincere con un’altra (magari più forte).

Tutto questo ambaradan se l’è inventato un giornalista ebreo e sveglio (come son tutti gli ebrei). Si chiamava Massimo Della Pergola. Con due soci e 400 mila lire di capitale (meno della prima vincita) crea la società che sarà la mamma del Totocalcio. Quando, negli anni del fascismo, sente puzza di pericolo, imbraca moglie e figlio piccino, paga uno spallone che lo «transita» in Svizzera dove la notte di Natale del 1943 è tutto contento di finire in un campo di prigionia e di lavoro. Ma, almeno, essendo espatriato clandestino, non lo rispediscono a casa, cioè in un lager. Sulla giacca di lana grezza che gli hanno messo addosso guarda il numero che corrisponde al suo nome: 21915. Ma lui pensa ad altri numeri: «Quando tornerò in Italia farò i numeri dei soldi, un po’ per me, ma soprattutto per finanziare lo sport». E l’ha fatto davvero: finisce la guerra, torna in Italia, va al Coni (Comitato olimpico nazionale italiano) e propone la sua idea: «Costo zero, i soldi che s’incassano sono quelli che la gente paga per la schedina al posto del vermuth, con quelli facciamo gli stadi, le piste d’atletica, le scuole di sport per i ragazzi, le palestre». I burocrati lo prendevano in giro: «È arrivato Babbo Natale, quello che porta regali da milioni e milioni». E intanto i bar si riempivano di quelle schedine dalla carta strana che quando avanzavano non si buttavano via ma venivano riciclate ai barbieri che ci pulivano la schiuma appiccicata ai rasoi accompagnate da frasi tipo: «La vede questa? Non vale più niente, ma se alla Juve ci mettevo 2 anziché 1 che non serve a una minchia col 12 mi ci pagavo le ferie!».

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