Ferrara contro i “partiti morti”

Giuliano Ferrara registra il fallimento del progetto bipolarista e le colpe dei partiti italiani nell'attirarsi il disprezzo generale: meglio ricostruire altri modi di fare politica, "chi fa tessere e congressi è destinato a perdere ancora e ancora e ancora"

Nella sua rubrica domenicale sul Giornale, Giuliano Ferrara oggi cerca una via d’uscita alla spirale di autodistruzione dei partiti italiani, riproponendo – piuttosto che vetusti e falliti meccanismi di tessere e congressi – qualcosa che somiglia alla calpestata idea del “partito leggero”.

C’è un severo e rigoroso bisogno di cambiamento. Quando sento parlare di congressi, di tessere, di imbrogli radicati sul territorio, metto mano alla pistola.Non ce n’è alcun bisogno. C’è bisogno di raccogliere fondi, altro che rimborsi, e di raccogliere consenso (nei paesi politicamente e costituzionalmente evoluti il fund raising e il consenso sono la stessa cosa). C’è bisogno di programmi a breve e medio termine nella contesa per un governo eletto, a partire dal 2013, non di carte dei valori a cui nessuno piega la benché minima attenzione, non di trombonate e retoricume. La cattiva reputazione dei partiti nasce da molti equivoci, d’accordo. Da una campagna di delegittimazione che dura da vent’anni. Male argomentata, per di più, vagamente e genericamente moralistica. Ma è la sopravvivenza di partiti morti che rende vivace la protesta e legittima l’insopportazione per la politica come oggi appare, che porta al fenomeno delle primarie sempre e regolarmente vinte dagli outsider , basta che siano candidati antipartito.

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