Gli arresti dei giornalisti in Turchia

Oltre 100 giornalisti turchi sono in carcere con l'accusa di far parte di un'organizzazione golpista: Nicola Mirenzi racconta la storia su Europa

Negli ultimi giorni in Turchia le forze dell’ordine sono tornate ad arrestare dei giornalisti sospettati di far parte di un’organizzazione, Ergenekon, sospettata di lavorare a un colpo di stato anti-Erdogan e filo curdo. Già a febbraio altri giornalisti erano stati fermati e incarcerati con la stessa accusa. Oggi i giornalisti detenuti in Turchia sono oltre 100. Nicola Mirenzi su Europa fa il punto della situazione sul rapporto complicato tra il governo turco e la stampa.

Ahmet Sik stava completando il suo libro-inchiesta sulla polizia turca quando venne arrestato con l’accusa di «propaganda per conto di un’organizzazione illegale», il 3 marzo di quest’anno. Il libro che stava scrivendo doveva essere pubblicato con il titolo L’esercito dell’imam e raccontava il modo in cui – secondo l’autore – la polizia era stata lentamente infiltrata ed egemonizzata da un gruppo islamista che fa capo a Fetullah Gülen: personaggio molto discusso in Turchia, considerato da alcuni il successore della tradizione colta e moderna dell’islam anatolico, da altri la mente di una lenta e costante re-islamizzazione del paese, di cui il partito attualmente al governo sarebbe soltanto l’esecutore materiale.

L’organizzazione di cui è accusato di far parte Sik si chiama Ergenekon. Secondo la magistratura, è una struttura che cospira per rovesciare il governo democraticamente eletto di Recep Tayyip Erdogan, con mezzi legali e illegali. Ne farebbero parte giudici, ufficiali dell’esercito, professori universitari, giornalisti. Ossia il cuore sociale della vecchia élite nazionalista e laicista che si ispira ai pensieri e alle opere di Kemal Atatürk, fondatore della repubblica turca e fervente occidentalista.

«Arrestateci tutti»
Il libro di Sik – l’arma del delitto – è stato sequestrato dalla magistratura venti giorni dopo il suo arresto, per impedire la diffusione tramite esso di idee considerate eversive. Una settimana dopo, però, il volume di Sik era completamente online e disponibile per essere scaricato, letto e diffuso dagli utenti turchi. Prima di finire in manette, infatti, il giornalista aveva spedito le bozze del volume a colleghi e scrittori, i quali, le hanno prima pubblicate online anonimamente, poi le hanno usate per far uscire, a inizio dicembre, il libro interdetto dalla magistratura. Firmando collettivamente il testo (più di cento persone) e sfidando così le autorità turche: come a dire, adesso arrestateci tutti.

Ahmet Sik è diventato il simbolo di una battaglia che le associazioni per i diritti umani stanno combattendo contro gli arresti disposti ai danni dei giornalisti: attualmente ce ne sono in galera quasi centoventi, e gli ultimi trentotto sono stati arrestati soltanto martedì. Sik comparirà davanti alla corte penale entro la fine del mese e le organizzazioni umanitarie hanno elevato il suo caso a emblema di una libertà d’espressione violata, sostenendo che un paese che aspira a diventare membro dell’Unione europea non può permettersi di tappare la bocca ai giornalisti. Né tantomeno può usare la repressione della magistratura per limitare la libertà d’opinione e di parola.

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