I sindaci senatori salvati dalla Lega

Grazia Longo racconta sulla Stampa la decisione dei senatori leghisti di esprimersi contro l'incompatibilità del doppio incarico, insieme con il PdL

A fine ottobre, la Corte Costituzionale stabilì l’incompatibilità tra l’incarico di parlamentare e di sindaco per i comuni con più di 20mila abitanti. La decisione avrebbe dovuto aver valore per tutti i parlamentari diventati sindaci di grandi città e che avrebbero quindi dovuto scegliere quale dei due incarichi mantenere, ma come spiega Grazia Longo sulla Stampa di oggi le cose sono andate diversamente. Popolo della Libertà e Lega Nord hanno votato insieme nella Giunta per le elezioni del Senato esprimendosi contro l’incompatibilità tra la carica di senatore e di sindaco per due parlamentari di centrodestra sindaci di Molfetta e Afragola.

Altro che guerra ai privilegi della casta, ancor più se da «Roma ladrona» in giù. La Lega nord non solo si ricompatta con il Pdl, ma salva pure la poltrona a due sindaci meridionali. Quella dei senatori Marco Azzolini e Vincenzo Nespoli, rispettivamente primi cittadini del centro-destra a Molfetta e Afragola.

Lega e Pdl, avversari in Aula sulla manovra finanziaria, si sono nuovamente alleati nella Giunta per le elezioni del Senato pur di difendere il cumulo degli incarichi e hanno votato contro l’incompatibilità tra la carica di senatore e quella di sindaco di Comuni con più di 20 mila abitanti, stabilita invece dalla Corte costituzionale ad ottobre.

E al di là del dietrofront che suona anche come uno schiaffo istituzionale nei confronti della Consulta -, il Carroccio brilla per atteggiamento quanto meno contraddittorio. Il 14 dicembre la Giunta per le elezioni della Camera aveva infatti deciso l’incompatibilità tra la fascia tricolore ed il seggio a Montecitorio. Tant’è che ieri, mentre al Senato il Carroccio sosteneva la tesi della compatibilità, alla Camera approvava le dimissioni del deputato leghista Luciano Dussin, che ha preferito mantenere solo l’incarico di sindaco di Castelfranco Veneto. Anche in questo caso, peraltro, la lotta ai vantaggi della classe politica è solo propaganda poiché, se non si fosse dimesso subito, Dussin avrebbe dovuto attendere sette anni per il vitalizio. Al Senato, intanto, il voto compatto dei fedelissimi di Berlusconi e Bossi ha scatenato la reazione indignata dell’opposizione. Pd e Idv hanno abbandonato l’aula, compreso il presidente della Giunta, Marco Follini che ha indetto il voto ma è poi uscito. «La vecchia maggioranza Pdl-Lega ha preso una decisione da ancien régime – stigmatizza Follini -. Mi sorprende, inoltre, vedere la Lega attestata come un sol uomo a difesa della trincea dei sindaci di Afragola e Molfetta».

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