Il rapporto complicato tra élite e politica

Ne scrive Danilo Taino sul Corriere, chiedendosi quanti consensi avrebbe raccolto l'oggi apprezzatissimo Monti se si fosse candidato alle elezioni

Danilo Taino nella pagina delle opinioni del Corriere della Sera di oggi fa una riflessione sul rapporto tra le élite e la politica, tema molto discusso e sviscerato (il peraltro direttore se n’è molto occupato in un libro). Per élite si intendono sinteticamente “i più bravi”, quelli che – in teoria, sarebbe bello – in ragione dei loro talenti e per le loro competenze dovrebbero occuparsi dei compiti sociali più complicati e impegnativi, tra i quali certamente la politica.

Mario Monti e il suo governo raccolgono consensi senza precedenti. Se però si fossero presentati alle elezioni qualche mese fa, probabilmente ne avrebbero ricevuti molti meno. È che, alle elezioni, i tecnici, gli intellettuali, gli esperti riconosciuti a livello internazionale non si sono presentati mai: hanno un rapporto di notevole separazione dalla politica attiva, in Italia più che altrove. Élite riluttanti a «sporcarsi le mani». Ricompensate, spesso, con distacco e disinteresse dagli elettori, meno che nei momenti di emergenza grave. I partiti che, nel dopoguerra, si sono fatti rappresentanti delle «competenze» – il Partito d’azione, il Repubblicano – hanno avuto seguito scarso. E nei partiti di massa gli intellettuali sono sempre stati poco tecnici, marginali e anche considerati «utili idioti». Una storia che non li ha aiutati ad avere una buona relazione con la politica.

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