Cultura e computer ci libereranno?

È quello che pensava Calvino, e che oggi auspica Gianni Riotta raccontando cosa manca soprattutto all'Italia berlusconata

Sulla Stampa di oggi Gianni Riotta espone il deficit maggiore costruito dall’Italia di questi anni: quello di modernità, innovazione e sapere.

Anche il miracolo economico del Nord-Est ha sottovalutato la tecnologia, spesso usando per i bilanci le vecchie calcolatrici. Ancora oggi le nostre piccole e medie imprese non sfruttano i social network per conquistare il mercato globale. Un terzo delle Pmi fa leva sul mondo per resistere alla crisi, due terzi ne hanno paura, nostalgici dell’economia protetta, come l’ex imprenditore e ora scrittore Nesi. Il governo Berlusconi, intriso della cultura old media della televisione, lesina gli 800 milioni per la banda larga e siamo ultimi in Europa per accesso a Internet, illudendoci di sostituire computer e tablet con due cellulari in tasca.
Alla fine questa sarà la più feroce critica che la storia farà al ventennio di governo del centro-destra di Silvio Berlusconi, non avere ammodernato il Paese portandolo nel XXI secolo, come promesso alla coalizione elettorale vasta del 1994. C’è chi (e non sono pochi né poco influenti) si accontenta di mettere sul conto del governo il ritardo culturale del Paese e implicare che, una volta uscito di scena Berlusconi, entreremo nell’Olimpo futuro. Non sarà così ovviamente, perché con il premier non scompariranno i suoi elettori (ancora oggi tra Pdl e Lega la coalizione vanta nei sondaggi un terzo degli italiani), così come – e anche allora tanti si illusero – con la scomparsa di Dc, Psi, Pli, Psdi, ai tempi di Mani Pulite non si dileguarono consenso e culture di quell’area politica. Anche il centro-sinistra, e le sue migliori personalità lo sanno, ha urgente bisogno di un ricambio di idee e progetti, ancor prima che di leader. E’ quindi importante per la classe dirigente importare in Italia il dibattito delle democrazie sviluppate, per esorcizzare il male del passato con il bene del futuro. Radice del mutamento, alla base di ogni protesta contro la crisi, è la trasformazione in corso nell’economia. Il ‘900 ha visto la popolazione lasciare i campi e l’agricoltura per le città e l’industria, ora la manifattura non basta a creare piena occupazione. Il lavoro nasce dall’innesto tra produzione, servizi e sapere e sarebbe bene che intorno a questo nodo vertesse il dibattito in Confindustria per la successione a Emma Marcegaglia.

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