Una storia di sanatorie e condoni

Dall'imperatore Adriano a Rino Formica fino ai governi Berlusconi, il Corriere racconta i precedenti di uno strumento che all'Italia è molto familiare

L’articolo sui condoni di Paolo Conti sul Corriere della Sera di oggi.

Il massimo condonatore non solo d’Italia ma d’Europa fu, e resta ancora imbattuto, l’imperatore Adriano. Nel 118 dopo Cristo, ricevuto il via libera del Senato pochi mesi dopo il suo approdo al potere, per assicurarsi massima popolarità, proclamò un megacondono da 900 milioni di sesterzi per Roma e province dell’Impero, distruggendo in una notte tutti i documenti che comprovavano gli arretrati dei sedici anni precedenti. Cifra grandiosa, l’equivalente di un anno di raccolta di tributi nell’intero Impero Romano. Infatti seguirono manifestazioni di giubilo nelle piazze e collocazioni di statue a furor di popolo. Immediatamente dopo arrivò la riforma fiscale, i romani furono in seguito assai meno contenti, ma questa è completamente un’altra storia.

Il primo grande, vero condono fiscale della Repubblica italiana risale al 1973, quarto governo Rumor, ministro delle Finanze Emilio Colombo. Era la stagione della crisi petrolifera, il repubblicano Bruno Visentini stava approntando il Testo Unico. Per chiudere i conti col passato in vista delle imposte dirette (nascita dell’Irpef e del sostituto d’imposta) si decise un condono. Per giorni, nel novembre 1973, i giornali si affannarono per giorni a spiegare un concetto allora
pressoché sconosciuto («sulla differenza tra imponibile accertato e quello dichiarato si applica una riduzione del 40%…») L’adesione fu entusiastica: sì di 2 milioni e 700 mila tra singoli cittadini e imprese con un introito di 3 mila miliardi di lire di allora, anno in cui il gettito complessivo era di 20 mila miliardi.

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