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  • Lunedì 25 luglio 2011

I campeggiatori di Utvika, Norvegia

La storia delle persone che erano in vacanza di fronte l'isola di Utøya e che con le loro piccole barche hanno salvato 150 ragazzi

Marcel Gleffe ha 32 anni, è tedesco, lavora come riparatore di tetti in Norvegia da un paio di anni. Venerdì scorso si trovava a Utvika in un campeggio a poche centinaia di metri di distanza da Utøya, l’isola in cui sono stati massacrati 68 ragazzi dall’estremista di destra Anders Behring Breivik. Insieme ai suoi genitori e agli altri campeggiatori, Gleffe ha salvato decine di adolescenti che per sfuggire all’attacco si sono lanciati in acqua per allontanarsi dall’isola a nuoto.

Nel tardo pomeriggio di venerdì, Gleffe stava bevendo un caffè con il resto della propria famiglia davanti al suo camper. Discutevano della violenta esplosione che si era verificata nel centro di Oslo, cercando di capire quante persone avesse ucciso e chi potesse aver collocato la bomba in città. Il silenzio nella zona è stato di colpo interrotto da uno sparo proveniente dall’isola. Pochi secondi dopo un’altra serie di spari ha attirato l’attenzione dei campeggiatori. Gleffe insieme ad altri è andato a riva per capire cosa stesse accadendo.

Arrivato sul pontile che dà verso l’isola, Gleffe ha visto un uomo che stava recuperando dall’acqua una ragazza, una sedicenne senza vestiti e con solo l’intimo indosso. Poco dopo in lontananza è comparsa un’altra ragazza che stava nuotando verso la riva chiedendo aiuto e di chiamare immediatamente la polizia.

In quel momento Gleffe e gli altri campeggiatori si sono resi conto che su Utøya stava accadendo qualcosa di terribile. All’orizzonte potevano vedere altre persone in acqua e alcuni corpi immobili. Decine di ragazzi si erano tuffati per scappare dall’isola e stavano nuotando verso la loro direzione. I genitori di Gleffe si sono presi cura della ragazza appena arrivata, offrendole una coperta per vincere il freddo, mentre il trentaduenne ha raggiunto la piccola barca che aveva affittato per il fine settimana e si è diretto verso l’isola, nonostante diversi ragazzi gli urlassero di non avvicinarsi troppo, temendo che Breivik potesse sparargli.

Mentre si avvicinava, Gleffe ha preso il binocolo per osservare quanto stava accadendo lungo la costa dell’isola. Oltre a vedere decine di ragazzi che si tuffavano in acqua e si nascondevano tra gli scogli, ha visto anche l’autore dell’attacco che si muoveva tra le rocce con un’arma. Sparava anche ai ragazzi in acqua, hanno poi spiegato altri testimoni.

«C’erano persone che nuotavano in tutte le direzioni. Gli ho lanciato dei giubbotti di salvataggio e ho raccolto sulla barca chi era più in difficoltà. Molti urlavano, ma al tempo stesso si aiutavano l’uno con l’altro. È stato incredibile vedere quanto fossero forti» spiega Gleffe al giornale tedesco Spiegel.

Per diversi minuti, l’uomo insieme ad altri campeggiatori ha fatto la spola verso la riva per aiutare i ragazzi in fuga. Da solo, Gleffe stima di averne portati almeno una ventina al pontile, ma in alcuni casi il recupero è stato difficoltoso: molti ragazzi erano sotto shock e non si fidavano dei loro soccorritori. Breivik aveva del resto finto sull’isola di essere un poliziotto approdato per proteggerli e fare sicurezza alla luce dell’attentato nel centro di Oslo. Si stima che i campeggiatori di Utvika abbiano salvato complessivamente almeno 150 ragazzi.

Nelle ore seguenti al salvataggio, una squadra di psicologi è arrivata al campeggio per aiutare i ragazzi e i campeggiatori a gestire il trauma psicologico che hanno subito. Molti si sentono in colpa per non essere riusciti a salvare un maggior numero di fuggitivi, per aver dovuto abbandonare qualcuno perché non c’era più spazio sulla loro barca tra un viaggio e un altro. Questo pensiero supera quello positivo di aver salvato decine di ragazzi ed è una reazione normale, spiegano gli psicologi, che va elaborata e accettata con calma. Per molti campeggiatori, dicono gli esperti, sarà necessario molto tempo prima che il trauma possa essere superato. «Venerdì mi sentivo a posto. Ma oggi mi sento malissimo, solo malissimo» ha spiegato Gleffe alla stampa, aggiungendo comunque di essere consapevole di aver fatto ciò che andava fatto.