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  • Lunedì 6 giugno 2011

Itabolario: Tram (1878)

Massimo Arcangeli ha raccolto 150 storie dell'Italia unita, una per ogni anno: Itabolario. L'Italia unita in 150 parole (Carocci editore)

di Massimo Arcangeli

1878. Tram (s. m.)

Passata la vague, tipicamente settecentesca, delle carrozze francesi, l’Ottocento vede diffondersi più rapidi mezzi di trasporto a trazione animale di origine inglese: il break, «cocchio grande, aperto, a quattro ruote, con alto sedile per il cocchiere. A Roma, brecche» (DM, 1905, s. v.); il brougham (o brum), carrozza chiusa, a quattro ruote, adibita al trasporto di due sole persone e utilizzata anche come vettura di piazza (prende il nome da Lord Brougham, il suo primo proprietario; sarà scalzata dal TAXI [1914]); il buggy, «veicolo aperto a un cavallo, per una o due persone» (Messeri, 1955a, p. 7); il cab, piccola carrozza di piazza, a due ruote, in cui il cocchiere sedeva nella parte posteriore (in alto); il dogcart, la piccola carrozza aperta, a quattro ruote e tre posti – uno inizialmente per il cane, gli altri due occupati da viaggiatori seduti schiena a schiena –, che farà riandare Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in un racconto del 1955 (Ricordi d’infanzia: I racconti, prefazione di G. Lanza Tomasi, Feltrinelli, Milano 2005 [1a ed. 1961], p. 74), alla Sicilia degli anni in cui era bambino: guidato dal padre dell’autore, ospitava la madre e qualche altra donna della compagnia (gli uomini montavano gli asini) nelle escursioni domenicali delle colazioni alla Venarìa, il «padiglioncino di caccia posto su un’altura un po’ prima di Montevago»; il drag, carrozza elegante, trainata da quattro cavalli, «con sedili anche sulla cima» (Messeri, 1955a, p. 7); lo hansom (o hansom-cab), dal nome dell’architetto che l’aveva inventato, Joseph Aloysius Hansom («Ha oramai settanta anni questa vettura a due grandi ruote, portante una cassa interamente coperta, che si può chiudere davanti con una porta a due battenti e con cristalli intelaiati, ripiegati in alto nell’interno. Il cocchiere è collocato di dietro, al dissopra della cassa, in modo speciale per potere ben dirigere il cavallo. Il viaggiatore ha il vantaggio di vedere liberamente davanti a s[é]»: Belloni, 1901, pp. 114 ss.); il tandem, influenzato dal precedente («È anche questo un veicolo di origine inglese, adottato dai cacciatori a cavallo che sogliono recarsi ai meets in vettura, attaccando il cavallo da caccia, bell’e sellato, davanti a quello da tiro; da ciò la parola tandem, che vuol dire l’uno davanti all’altro»: ivi, p. 115); il tilbury, carrozza scoperta a due ruote e due posti (dal nome dell’omonimo costruttore londinese); la victoria (o vittoria), carrozza scoperta, e
aperta sul lato, a quattro ruote, due cavalli, due posti; il whisky (o wisky, wiski: Longhi, Toccagni, 1956, s. v.; Benedetti, 1974, pp. 171 ss.), carrozza aperta a due ruote, molto alta e leggera, tirata da un solo cavallo; il mail coach e stage coach, carrozze signorili (la prima, con tutta evidenza, adibita in origine al servizio di posta); il carrick, la mylord (o milord) («manca in inglese in questo significato»: Messeri, 1955a, p. 8), il pony chaise ecc. Con le veloci carrozze postali guidate dai corrieri, e le meno costose ma lentissime carrozze di piazza condotte dai vetturini («facevano al massimo 30-40 km al giorno con diverse
fermate per non sfiancare i cavalli, portando pacchi, notizie, persone in vari luoghi delle campagne o nei centri intermedi toccati»: Maggi, 2007, p. 14), le diligenze, inaugurate alla fine del Settecento, erano il principale mezzo di trasporto viaggiatori nell’Italia della prima metà del XIX secolo e, già allora, prevedevano tariffe differenziate per classi («un posto nel cosiddetto coupé, che si trovava davanti alla carrozza e permetteva di vedere il percorso pur stando al coperto, costava più di un sedile dell’interieur, dal quale non si poteva vedere la strada, e di un posto sul cabriolet, al di sopra della vettura all’aperto»: ivi, pp. 13 ss.).

Presso i Greci nei veicoli dalle grandi foggie non si vedevano, per uso personale, che i vecchi, le donne, gl’infermi. Presso i romani ugualmente erano le donne ed i magistrati, cioè la gente o grave, o lenta, o debole, che andavano nella carruca o, meglio, nella lettiga, portata da due portatori, e ciò era considerato mollezza o eccesso di lusso, o conseguenza di infermità. La quasi totalità dei viventi marciava a piedi, o procedeva a cavallo, e ciò significava vigoria, forza, energia fisica e morale. Oggi, nella moderna civiltà, e con l’acceleramento progressivo di tutte le forme della vita, siamo arrivati a far sì, grazie al fiacre, all’omnibus, al tram, che non vi sia più quasi nessuno disposto ad andare a piedi, anche se si tratti di fare soli cinquanta metri di strada! (Belloni, 1901, pp. 15 ss.).

Non molto diversi dagli omnibus, e in parte esemplati, nell’area lombardo-veneta, sul modello viennese (ivi, p. 92), i velociferi (cfr. fr. vélocifère, 1803: TLF, s. v.), diligenze più grandi, rapide e leggere rispetto alla norma inaugurate all’inizio degli anni trenta. L’omnibus è anche l’antenato del tram. Era una grande carrozza trainata da cavalli, affacciatasi a Parigi nel 1826 (Belloni, 1901, p. 89), che Giuseppe Filippo Baruffi aveva scritto, sull’“Annotatore piemontese” (1836), di aver visto circolare a Roma e a Napoli già nel 1832. A Genova, alla fine del secolo, dove le settecentesche fiacres, vetture pubbliche di piazza, circolano ancora, questi mezzi di trasporto – perlopiù privati – saranno all’incirca duecento (Doria, 1999, p. 47). Sempre alla fine del secolo, nella Carrozza di tutti, Edmondo De Amicis – prima di ricredersi totalmente sull’arte della réclame – registrerà con disappunto l’ingombrante presenza di manifesti pubblicitari sugli omnibus torinesi: «Facevan l’effetto d’un vocio discostante d’importuni, i quali v’affollassero di offerte e d’inviti, volendo lì per lì a ogni costo, calzarvi e vestirvi, insaponarvi e profumarvi, farvi cambiar di casa, pigliar l’abbonamento a un giornale e intraprendere una cura idroterapica» (De Amicis, 1980, pp. 81 ss.). Anche il tram, inizialmente, era trainato da cavalli; sarà quindi alimentato dalla forza del vapore e, nell’ultimo decennio del XIX secolo, diventerà finalmente elettrico; sono gli anni in cui perviene all’italiano il tecnicismo anglo-americano trolley, a indicare la «carrucola scanalata che trasmette la corrente elettrica al mezzo di trasporto» (Messeri, 1955a, p. 9).

Tram sembra comparire per la prima volta sul “Monitore delle strade ferrate” il 20 febbraio 1878, imponendosi alla distanza sulla nutrita concorrenza degli altri discendenti dell’ingl. tramway car: da tramvay a tramway (Messeri, 1955a, p. 9; Arcangeli, 2003, p. 176 e n 81; quest’ultima è la forma più frequente nei quotidiani milanesi di primo Novecento: Bisceglia Bonomi, 1976, p. 125), da tramvai a tranvai – l’unico a trovare accoglienza in VILP, 1891, s. v.: «Grande veicolo che scorre su rotaie incavate, tirato da cavalli o dalla forza del vapore, e adoperato al trasporto delle persone» –, da tramvè a tramguè, oltre a tranvia e tramvia. Quest’ultima è lemmatizzata e proscritta da LCI, 1881, che la illustra così:

Quel nuovo trovato di carrozzoni che, tirati da’ cavalli, o da’ muli, corrono su due guide a rotaje per le vie delle città, o da una città a’ vicini paesi, si cominciò a dire Ferrovia a cavalli, o Strada ferrata a cavalli; poi Guidovia (bellina tanto!); poi Ippovia (Misericordia!!); poi Tramvè o Tramguè, imitando il lagno de’ neonati, ma contraffacendo l’inglese Tramway, e finalmente or si vuole di riffa far entrare nell’uso Tramvia, perch[é] i francesi hanno cucinato la voce inglese in Tramvoie. Gira, volta, martella, i nostri italiani non possono fare che non vadano sulla falsariga straniera! Benissimo; benissimo. Ma il popolo, che di tutti questi aggegi non vuol saperne una saetta, l’ha trovata lui la voce che gli torna, ed è Tranvai: vale a dire Andare col Tram, mutando, per ragione eufonica, l’emme in enne; onde qua e quasi in tutta Italia non si dice altrimenti che Tranvai. E pure chi il crederebbe? negli atti di certo pubblico Ufficio, e in un giornale, che piglia il titolo di Uffiziale, cocciutamente si continua a scrivere e stampare o Tramway, o Tramvia! Tanto coloro son teneri dell’onor nazionale! Noi stiamo col popolo.

Anche secondo Rigutini (1926, s. v.) l’unica forma adottabile è tranvai: «Così e non altrimenti, secondo che dice il popolo toscano, si dovrebbe pronunciare e scrivere, italianizzando la voce inglese, e mettendo in atto il precetto d’Orazio del parce detorta, come è stato fatto in altre parole venuteci da lingue straniere». Nel 1942, nei suoi “frammenti” diaristici, Leo Longanesi passerà, a meno di un anno di distanza, dal tranvai del 9 agosto 1941 al tram del 1° marzo 1942 (Longanesi, 1947, pp. 53, 70).

Bibliografia
– ARCANGELI M. (2003), La Scapigliatura poetica “milanese” e la poesia italiana fra Otto e Novecento. Capitoli di lingua e di stile, Aracne, Roma.
– BELLONI L. (1901), La carrozza nella storia della locomozione, Fratelli Bocca, Milano.
– BENEDETTI A. (1974), Le traduzioni italiane da Walter Scott e i loro anglicismi, Olschki, Firenze.
– BISCEGLIA BONOMI I. (1976), Note sulla lingua di alcuni quotidiani milanesi dal 1900 al 1905: l’aspetto lessicale, in “ACME”, XXIX, pp. 73-136.
– DE AMICIS E. (1980), La carrozza di tutti: la Torino di allora, 1896, Viglongo, Torino.
– DM (1905) = A. Panzini, Dizionario moderno. Supplemento ai dizionari italiani […], Hoepli, Milano (1a ed.).
– DORIA M. (1999), Trasporto pubblico a Genova dalla metà Ottocento alla prima guerra mondiale. Regole, capitali, tecnologie, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
– LCI (1881) = P. Fanfani, C. Arlìa, Lessico dell’infima e corrotta italianità […], Carrara, Milano (2a ed.).
– LONGANESI L. (1947), Parliamo dell’elefante (Frammenti di un diario), Longanesi, Milano.
– LONGHI A., TOCCAGNI L. (1856), Vocabolario della lingua italiana […] ora purgato di molti errori [,] migliorato nelle definizioni ed accresciuto di alcune migliaia di voci, premessavi una nuova grammatichetta italiana, Oliva, Milano (3a ed.; 1a ed. 1851).
– MAGGI S. (2007), La ferrovia, il Mulino, Bologna (2a ed.; 1a ed. 2003).
– MESSERI A. L. (1955a), Anglicismi ottocenteschi riferiti ai mezzi di comunicazione, in “Lingua nostra”, XVI, pp. 5-10.
– RIGUTINI G. (1926), I neologismi buoni e cattivi più frequenti nell’uso moderno, con prefazione ed aggiunte di G. Cappuccini, Verdesi, Roma (3a ed.; 1a ed. 1886).
– TLF (1971-94) = Trésor de la langue française. Dictionnaire de la langue du XIXe et du XXe siècle (1789-1960), publié sous la direction de P. Imbs, 16 voll., Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris.
– VILP (1891) = G. Rigutini, P. Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, nuovamente compilato da G. Rigutini e accresciuto di molte voci, maniere e significati, Barbèra, Firenze (2a ed.).

Foto: Peter Van den Bossche