• Mondo
  • Questo articolo ha più di dodici anni

Il candidato impossibile

Davvero quest'uomo vorrebbe candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti?

di Francesco Costa

Negli Stati Uniti, la recente ascesa in influenza e aggressività dell’ala più conservatrice del partito repubblicano, quella dei cosiddetti tea party, ha portato alla crescita in visibilità di alcuni personaggi dalle idee estremiste e bizzarre. Alcuni sono stati eletti al Congresso alle ultime elezioni di metà mandato, come la deputata del Minnesota Michele Bachmann. Altri sono tornati a riscuotere attenzione dopo anni passati quasi nel dimenticatoio, come l’ex presidente della Camera Newt Gingrich. Altri ancora stanno provando di approfittare del momento particolare per farsi notare, tastare il terreno e valutare poi se impegnarsi politicamente in modo più serio e continuativo. A questa categoria appartiene probabilmente Donald Trump.

Imprenditore, uomo d’affari, immobiliarista e personaggio televisivo, Donald Trump è noto principalmente per due ragioni, a parte la sua bizzarra capigliatura: è molto ricco e molto sopra le righe. Due caratteristiche che lo hanno portato a ottenere grande popolarità e, a un certo punto, a diventare il presentatore di un reality show per uomini d’affari che va in onda sulla NBC e ottiene da anni risultati più che discreti in termini di audience.

Pubblicità

Un altro strumento che Trump ha molto utilizzato per far parlare di sé, negli anni, è stata la reiterata allusione a un suo possibile impegno in politica, reso realistico dalle sue notevoli disponibilità economiche e dalla sua grande popolarità. È successo in occasione delle presidenziali del 2000, quando Trump si descriveva come un moderato – un liberal, addirittura, in tema di riforma sanitaria – e sperava di fare quanto era riuscito nel 1992 a Ross Perot, il ricchissimo candidato indipendente che condizionò le presidenziali poi vinte da Bill Clinton. È successo nel 2004 e nel 2008, quando Trump aveva lasciato intendere di voler fare il presidente del partito repubblicano, e nel 2006, in riferimento all’incarico di governatore dello stato di New York. L’ultima di queste allusioni ha a che fare con le presidenziali del 2012. Sembra fumosa e pretestuosa come le altre, ma non è detto che lo rimanga a lungo: in questo momento i sondaggi d’opinione lo danno in vantaggio su tutti gli altri candidati – ufficiali e papabili – alle primarie repubblicane. Sopra Romney, sopra Pawlenty, sopra Palin, sopra Huckabee, tutti politici che hanno alle spalle incarichi da governatore.

Il partito repubblicano ne è terrorizzato – visto che un candidato come Donald Trump con ogni probabilità non avrebbe alcuna possibilità di vincere le presidenziali – e pensa che i dati dei sondaggi riflettano solo la grande notorietà di Trump, a confronto con politici più navigati le cui campagne elettorali devono ancora partire (quattro anni fa, di questi tempi, per un bel pezzo di cittadini americani Barack Obama era un nome che non voleva dire niente). La cosiddetta name recognition, che per ovvie ragioni a Donald Trump non manca affatto.

1 2 Pagina successiva »