Le pensioni dei politici

Il Giornale sta facendo un'inchiesta su pensioni, vitalizi e loro smodate sovrapposizioni

Da qualche giorno il Giornale sta dedicando spazio e attenzione alle pensioni dei politici. Alle loro dimensioni, alla loro precocità, a come si sommano a vitalizi, stipendi e altre pensioni. È una battaglia vecchia, nota e anche genericamente giusta, per quanto il Giornale la tratti in un modo praticamente monodirezionale.

L’inchiesta parte da un libro di Mario Giordano, che ne scrive anche oggi: si chiama Sanguisughe e uscirà il 5 aprile per Mondadori. Oggi Giordano cita alcuni dei casi illustrati dal libro: alcuni sono “normali” casi di ex presidenti di regione o consiglieri regionali che percepiscono i vitalizi previsti da una legge eccessivamente generosa, altri sono un po’ più eclatanti. Antonio Di Pietro oltre allo stipendio da parlamentare percepisce 1956 euro netti al mese per la pensione da magistrato, che riscuote da quando aveva 44 anni. Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi, prende dal 1992, da quando aveva 39 anni, una pensione da 766 euro al mese. Rainer Stefano Masera, ex Banca d’Italia, ex ministro del Bilancio e oggi preside della facoltà di economia del­l’Università Marconi di Roma, percepisce dal 1988 una pensione di 18.413 eu­ro lordi al mese. Fabio Granata è andato in pensione a 50 anni e allo stipendio da parlamentare unisce un vitalizio da 8000 euro e lo stipendio di vicepresidente di Cinesicilia, un ente regionale.

Il limite dell’inchiesta del Giornale è che potrebbe dire le stesse cose e fornire dati altrettanto eclatanti – anzi, probabilmente di più – su centinaia di esponenti di centrodestra, sindaci ed ex sindaci, presidenti di regione, consiglieri regionali, eccetera. Per dire della dimenticanza più eclatante: il governo Berlusconi sta in piedi alla Camera grazie ai voti di alcuni deputati che sono anche ministri, percepiscono un doppio stipendio e non possono dare le dimissioni né dall’uno né dall’altro incarico. Quello che segue è l’editoriale di Nicola Porro, sempre dal Giornale di oggi, che pone la questione con qualche equilibrio in più.

Con oggi sono tre giorni, che grazie a Mario Giordano parliamo dei furbetti delle pensioni. La lista è lunga e la continueremo a compilare. Dopo sei riforme in venti anni, occorre farne un’ulteriore che renda il sistema più equo e che corregga alcune macroscopiche storture che arrivano dal passato. Quello delle pensioni è uno scandalo per tre motivi principali.
1. Alcuni privilegiati si beccano assegni da nababbi, sostanzialmente a spalle della collettività.
2. Circa la metà dei pensionati italiani (che sono 18 milioni) deve invece fare i conti con pensioni inferiori ai 500 euro.
3. L’Italia (dati Ruef del 2010) spende per la previdenza il 15,4 per cento della ricchezza che produce e incassa il 14 per cento. Insomma ballano una ventina di miliardi di euro, che ogni anno si coprono grazie ad imposte sulla collettività.

Il gioco degli stipendi e delle pensioni da milionari ha un alto grado di demagogia. L’invidia sociale è una brutta bestia: chi si merita molti quattrini per le proprie doti è giusto che li ottenga. Ma il tema delle pensioni è diverso. E conviene ridurlo alla sua essenzialità. Come ormai è stabilito per le nuove generazioni, la pensione è semplicemente il corrispettivo di ciò che ogni lavoratore ha risparmiato (pubblicamente) durante la sua vita professionale. Ogni anno accumulo tot e alla fine della mia carriera percepisco i quattrini rivalutati, per la mia vecchiaia. Proprio per rendere il trattamento più generoso (si fa per dire) è necessario allungare gli anni lavorativi, di modo che si possano accumulare più contributi e rendere l’assegno pensionistico più simile allo stipendio. Bene: questa banalità vale per tutti, tranne che per i pensionati di oggi.

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