Il crocefisso dei tedeschi

È il modello da seguire per una democrazia laica immatura come la nostra, dice Gian Enrico Rusconi

In un articolo pubblicato oggi sulla Stampa, Gian Enrico Rusconi riprende la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo sul crocifisso nelle aule e spiega che la soluzione migliore l’ha trovata la Corte costituzionale tedesca.

La sentenza della Corte di Strasburgo è prigioniera di un brutto paradosso. Dichiarando che il crocifisso esposto in un’aula scolastica non lede alcun diritto, non solo lo dichiara innocuo, ma declassa il più potente segno religioso dell’Occidente a un marcatore identitario. «Non fa male a nessuno» – come ripetono da sempre i molti per trarsi d’impaccio dal conflitto di ragioni che la questione seriamente solleva.

Posso comprendere il tripudio dei cattolici governativi e dei leghisti che dopo lo smacco della riuscitissima festa dell’Unità d’Italia si consolano dicendo che nazionale non è la bandiera tricolore ma il crocifisso. Quello che non capisco (si fa per dire) è l’entusiasmo della gerarchia ecclesiastica. Non si rende conto dell’equivoco che promuovendo il crocifisso come simbolo di universalismo e umanitarismo in esclusiva nazionale, negando di fatto spazio ad altri simboli religiosi, lo priva della sua specifica autenticità religiosa?

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