L’intervista a Tarak Ben Ammar

Qualche informazione per capire meglio cosa vuol dire quella mezza pagina sul Corriere di oggi

Dentro l’intervista di Tarak Ben Ammar al Corriere della Sera di stamattina ci sono abbastanza storie da riempire una doppia pagina di editoriali e commenti, e non è facile afferrarle tutte per chi non sia addetto ai lavori dell’informazione o della finanza. Ignoriamo la parte più facile, quella sulla Tunisia, in cui Ben Ammar dice cose interessanti ma che sembrano più un pretesto per il resto: lui è un uomo di grande potere nella finanza e quindi nella politica internazionale, socio e amico di Berlusconi, ma soprattutto consigliere di amministrazione di Mediobanca in rappresentanza di un gruppo di importanti azionisti francesi, e di conseguenza con un ruolo nelle recenti polemiche tra i soci Cesare Geronzi e Diego Della Valle su Generali e RCS.

E a intervistarlo è infatti un esperto giornalista economico, Paolo Madron. Ma qui bisogna sapere alcune cose. Una è che Madron non è un giornalista del Corriere, ha lasciato in modo turbolento il Sole 24 Ore, ha fondato un giornale online che si chiama Lettera43, e con questa intervista inizia una collaborazione con il Corriere che è stata accolta con qualche mugugno da alcuni giornalisti del quotidiano. Un’altra è che Madron è notoriamente vicino e forse amico di Cesare Geronzi, a cui Diego Della Valle ha dichiarato guerra in queste settimane, chiedendogli di fare passi indietro su Generali, e quindi su RCS (in particolare dopo un’invadente intervista di Geronzi al Financial Times che ha assai infastidito l’amministratore delegato di Generali Giovanni Perissinotto). E quindi che il Corriere stesso decida di pubblicare (peraltro alcuni giorni dopo rispetto a quando la conversazione è avvenuta) un’intervista in cui un giornalista esterno vicino a Geronzi parla con un’azionista che sostiene Geronzi contro Della Valle, è una presa di posizione notevole per le usuali cautele del direttore De Bortoli.

Poi, come in tutte le storie della personalistica finanza italiana, si dovrebbe aggiungere molto altro. Ma questo è il minimo da sapere per capire che quella mezza pagina sul Corriere di oggi non era una mezza pagina qualunque.

Lunedì 7 marzo Tarak Ben Ammar è venuto per poche ore a Milano dove «non metteva piede da un mese» perché doveva occuparsi delle sue aziende in Tunisia. Ovvero degli studios di Cartagine dove, per dirne una, Jean-Jacques Annaud ha appena finito di girare «Oro nero» , colossal epico con Antonio Banderas, ma soprattutto di Nesma, la televisione che gestisce in comproprietà con Mediaset. Ma dove voleva anche «dare una mano a costruire la democrazia nel suo paese». Però, siccome in Italia le cose non stanno ferme e tra signori del salotto buono si litiga su chi ha ormai fatto epoca e chi invece vorrebbe farla, ha pensato bene come consigliere di Mediobanca e di Telecom, nonché amico da sempre di Silvio Berlusconi, d’esser titolato a dire la sua sulle vicende che stanno mettendo l’un contro l’altro capitalisti e capitali.

Signor Ben Ammar, perché secondo lei il denaro dei fondi sovrani non puzza?
«Perché trovo ipocrita scoprire solo adesso che non c’è democrazia nei paesi dei fondi sovrani arabi, specie in quelli che come produttori di petrolio fanno affari con l’Occidente. Per non dire di altri paesi, come Russia, Cina e Iran».

Finora però nessun capo di fondi sovrani aveva bombardato la sua gente.
«Infatti per quel che riguarda la Libia è un problema molto serio».

Lei che è tunisino non si era accorto che nel Nord Africa stava per scoppiare la rivolta?
«Sapevo che i giovani tunisini avevano voglia di libertà, dignità e lavoro. Quel che tutti non avevamo previsto è stata la rapidità con cui il loro bisogno è esploso. Ma il sacrificio del giovane martire Bouzizi, che si è dato fuoco diventando il simbolo della rivolta, ha risvegliato nel popolo il senso dell’ingiustizia».

Fino a ieri era buon amico di quel Ben Alì che adesso critica.
«Ben Alì ha estromesso dal potere la mia famiglia, mio zio Habib Bourguiba, il padre dell’indipendenza tunisina. Ne ha consolidato i risultati in fatto di libertà delle donne, educazione obbligatoria per tutti e lotta al fondamentalismo. Ma malgrado le promesse non ha instaurato la democrazia».

Come è messo con i nuovi arrivati?
«Fouad Mebazaa, l’attuale presidente della Repubblica, fu capo gabinetto e ministro di Bourghiba, così come il nuovo primo ministro Beji Caid Sebsi era il titolare degli Esteri».

E la sua televisione come si è comportata?
«Nesma, è stato l’unico tra i media arabi a criticare un regime ancora al potere. Il 30 dicembre ha fatto una diretta dando voce agli oppositori, tanto che il giorno dopo Ben Alì mi ha chiamato infuriato minacciando di chiudere l’emittente».

(continua a leggere sulla rassegna stampa del ministero dell’Economia)