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Il casino tra i finiani

Il gruppo al Senato di FLI non esiste più, altri sembrano sul punto di tornare al PdL

«Questa non è una partita per stomaci deboli ma per stomaci forti», dice Bocchino

Durante le dichiarazioni di voto sul decreto Milleproroghe, ieri in Senato, il capogruppo di Futuro e Libertà ha annunciato che il suo gruppo avrebbe votato no alla questione di fiducia posta dal governo. Alla dichiarazione, però, non sono seguono i fatti. Dei dieci senatori di Futuro e Libertà, soltanto in quattro votano la sfiducia: Viespoli, Valditara, Baldassarri e Saia. Due si astengono, Pontone e Menardi. Altri tre escono dall’aula, Contini, De Angelis e Digilio. Un’altra era assente, la senatrice Germontani. A fine giornata, il senatore Menardi annuncia la sua intenzione di lasciare il gruppo di Futuro e Libertà. Alle 13 di oggi anche il senatore Pontone ha annunciato di voler tornare al PdL. Se non cambierà idea, Futuro e Libertà perderà due senatori fondamentali: con meno di dieci elementi, infatti, sarebbe costretta a chiudere il suo gruppo parlamentare.

Sia Pontone che Menardi hanno detto di voler tornare nel PdL. L’esplosione del gruppo di FLI al Senato si deve a quanto accaduto lo scorso fine settimana durante l’assemblea costituente del partito. Come si ripete da mesi, Futuro e Libertà è sostanzialmente diviso in due tronconi, piuttosto distanti tra loro: i cosiddetti “falchi” e le cosiddette “colombe”. Il tema di divisione tra le due correnti, in sostanza, è la posizione da tenere nei confronti di Berlusconi, del PdL e della maggioranza, dove i “falchi” spingono per una linea più intransigente e aggressiva mentre le “colombe” tentano – infruttuosamente, bisogna dire – di ricucire un rapporto e resistere alla tentazione terzopolista.

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Durante l’assemblea di domenica scorsa, Fini è stato eletto presidente del partito e si è immediatamente autosospeso dall’incarico, per via del suo essere presidente della Camera. Nonostante le resistenze delle “colombe”, Fini ha deciso che il ruolo di vicepresidente – e quindi reggente – del partito fosse ricoperto dall’attuale capogruppo di FLI alla Camera, Italo Bocchino. Già questo era bastato a generare irritazione e nervosismo nell’ala più moderata del partito. Quando Fini ha deciso, al termine di una trattativa piuttosto convulsa e confusa, di nominare nuovo capogruppo della Camera non il coordinatore uscente Adolfo Urso bensì Benedetto Della Vedova, il malumore è diventato impossibile da contenere.

Di Pontone e Menardi abbiamo detto. Valditara, Saia, Baldassarri e lo stesso Viespoli sono da considerare in bilico e potrebbero tornare nella maggioranza. Sono tutti senatori, quindi al Senato la situazione per il governo cambia poco: cambia molto però per Futuro e Libertà, che perde il suo gruppo parlamentare e in queste ore starebbe cercando di convincere l’UdC ad approfittarne e fondare un nuovo gruppo insieme ai senatori di Alleanza per l’Italia e del Movimento per l’Autonomia. Ma non ci sono solo i senatori pronti a lasciare il partito: alla Camera si parla di nuovo di un possibile addio di Barbareschi, di Ronchi, di Rosso e altri.

I retroscena dei quotidiani sono pieni di virgolettati combattivi e furiosi attribuiti a Fini, ma al di là della loro veridicità le decisioni del presidente della Camera mostrano chiaramente la sua idea su quanto accaduto: in questa fase preferisce avere un partito dalla linea politica compatta e omogenea, anche a costo di perdersi per strada dei pezzi e concedere qualche vantaggio al PdL. Ed è una tesi confermata anche da Bocchino, secondo cui questi sono «problemi che prima o poi dovevamo affrontare» e che «questa non è una partita per stomaci deboli ma per stomaci forti».