Soldi di famiglia

È uscito per BUR «Soldi di famiglia», il libro del giornalista di Report Paolo Mondani

di paolo mondani

«Dottor Bravetti, sono Paolo Mondani.»
«Aspettavo la sua telefonata, come sta?»
«Mi racconti come sta lei, come si sente?»
«Tutto considerato sto molto bene grazie, adesso che è passato un po’ di tempo. E sto vincendo alla grande con la mia Porsche: ieri ho vinto superando nella mia categoria un ragazzino di ventisette anni. Mi ha fissato con uno sguardo…doveva proprio vedere che faccia aveva, credo che smetterà di correre. Io dopo i tre giorni delle gare, vede, ne ho parlato anche con i medici, torno a casa la domenica sera ed è come se scivolassi sulla terra, e per altri tre giorni lei mi può fare qualsiasi sevizia, non reagisco… mi sento appagato!»

Lugano, riva del lago, luglio 2009.
Cabina telefonica pubblica. Guardo la Banca Arner: sul sito web è un germoglio che cresce dal cemento, per la gestione di patrimoni di clienti istituzionali e famiglie. Qui a Lugano in piazza Manzoni 8, nel Canton Ticino, in Svizzera, è una costruzione massiccia, quadrata, con vetrate linde e statue di marmo che guardano immobili il lungolago. Ha una sede a Nassau Bahamas, la Arner Bank & Trust Ltd., una sede a Milano, aperta nel 2003, la Banca Arner Italia Spa; un ufficio a Dubai, negli Emirati Arabi, a San Paolo in Brasile, e ha da poco inaugurato una nuova sede a Ginevra. Si occupa di attività bancaria e gestione patrimoniale, di private equity, corporate finance, di consulenza agli investimenti immobiliari, nell’arte e in fondi d’investimento, ed è collegata a due società di asset management di prodotti di investimento di diritto lussemburghese: la Casa4Funds European Asset Management e Arkos Capital società indipendente, partecipata da Banca Arner.

«Sa sono stato io a parlare ai miei soci, per la prima volta, dei fondi di investimento di diritto lussemburghese. Io mi occupo di strategie finanziarie, di indovinare i trend. Alla fine degli anni Ottanta, io e i miei soci capimmo che c’era una domanda inespressa in un settore in grande espansione: la consulenza al patrimonio. E abbiamo avuto ragione! Un patrimonio dipende anche da come lo vivi, puoi essere un imprenditore in pensione o ancora in attività, quindi con diverse società da gestire, puoi avere un hobby più o meno costoso o quattro famiglie. Tutte queste situazioni possono creare delle inefficienze nella gestione del patrimonio, non solo dal punto di vista fiscale ma anche assicurativo, successorio e via dicendo, noi capimmo che bisognava offrire un servizio di consulenza che si facesse carico completamente di tutti questi aspetti.» Mi racconta Bravetti entusiasta.

Ritorno a guardare il lago, questa è la prima di una serie di telefonate che farò all’ex direttore di Banca Arner Milano, per raccogliere la sua storia. Nicola Bravetti, inflessione milanese ma svizzero di nascita, quando entriamo nella vicenda giudiziaria che lo riguarda, invece, sulle prime risponde con poca convinzione ma parla: «Io non so più da che lato prenderla questa storia» dice «sono deluso e amareggiato, dopo trent’anni di professione che ritengo di aver svolto in maniera impeccabile».

«Sono stato per nove anni presidente di tutti i fiduciari del cantone, per dodici anni presidente dell’associazione elvetica di tutti i gestori di patrimoni… quello che è finito sui giornali? Nicola Bravetti si occupa di riciclaggio. No signori, non ci siamo: Nicola Bravetti si è occupato di antiriciclaggio, facevo parte della direzione dell’Oad, l’organo di Controllo del Dipartimento Federale delle finanze elvetiche per la lotta al riciclaggio; ho scritto per ventitré anni l’articolo di borsa di “Milano Finanza”, dal 1988 fino al 2007. Signori io sono una testa d’uovo. Io nasco in un ufficio studi di una banca e mi occupo di dire a lei, sperando di azzeccarci, che cosa fanno le valute, che cosa fanno i tassi di interesse, che cosa fanno le Borse. Ho dedicato tutta la vita alla gestione patrimoniale. L’economia sa, non è una scienza oggettiva e questo già vuol dire che ci puoi mettere del tuo, poi ogni giorno viene inventato un nuovo strumento… l’ingegneria finanziaria! In Italia fa capolino alla fine degli anni Settanta, oggi produce opportunità. Gli inquirenti hanno pensato che si fosse costruito chissà che cosa… sono tecnicalità: con lo scudo fiscale del 2003 si potevano rimpatriare le polizze vita. In realtà si trattava di portafogli finanziari costruiti come le polizze vita e lì è venuto fuori… sono tecniche bancarie banalissime, a volte più sei bravo, più sfrutti le competenze tecniche che hai, più ti esponi al rischio che il revisore o le autorità di vigilanza non capiscano la natura di certe operazioni.»


Nicola Bravetti classe 1953, le chiama opportunità e tecnicalità. In realtà rimpatriare le polizze vita significa garantirsi la clausola di anonimato prevista dallo scudo fiscale italiano. Mica una cosa da poco se si tratta di movimentare i soldi di persone su cui l’autorità giudiziaria continua a indagare e a sequestrare beni. Robe tecniche, dice lui. Bravetti è bravo con queste cose, si diverte quasi, tanto da non avere percezione dei confini del reato. Lui con «le robe tecniche» si comporta come con la sua Porsche: studia le frazioni di gara sui diversi circuiti e punta al giro perfetto, con tutti gli strumenti che la tecnica è in grado di offrirgli. A passare una serata con lui rischi di appassionarti all’ingegneria finanziaria quanto potresti appassionarti a una competizione sportiva. L’essenziale è che tu abbia un patrimonio da far fruttare. E su questo Nicola Bravetti si esalta come in gara.

Cresciuto e formatosi a Milano, è figlio di un imprenditore romagnolo che si innamora in spiaggia, a Cesenatico, negli anni Cinquanta, di una turista di Zurigo. Bravetti senior verrà travolto dall’autunno caldo del 1969 e costretto a vendere l’azienda di famiglia, una società elettromeccanica che aveva le licenze per costruire le prime lavatrici per i self-service degli anni Sessanta, a un gruppo tedesco. Morirà poco dopo, quando Nicola ha quattordici anni, senza vedere il figlio crescere e laurearsi in Bocconi e mettere un annuncio sul giornale per trovare il suo primo lavoro, in Svizzera, presso la Banca del Gottardo, quella con cui Roberto Calvi finanziava lo Ior. Di Nicola Bravetti si può dire che quindi è stato bravo, fin da subito, a sfruttare le proprie competenze. Anzi me lo dice lui, mi racconta tutta la sua carriera, mentre il lungolago di Lugano comincia ad animarsi… Cittadina molto frequentata dai turisti – mentre parliamo, alle mie spalle, attraccano e ripartono i battelli alla banchina – la terza piazza bancaria dopo Zurigo e Ginevra, cinquantanovemila abitanti. Qui possedere una Porsche è qualcosa di meno di un luogo comune. «Io ho lavorato per dieci anni alla Banca del Gottardo poi, con i soldi che ho risparmiato durante quel periodo, ho rilevato una quota del 10 per cento di una piccola fiduciaria svizzera: la Arner gestioni patrimoniali. Quello della gestione patrimoniale è sempre stato il mio settore di competenza, di cui i miei soci non si sono mai occupati,e ho portato una fiduciaria a diventare una banca di diritto svizzero. È stata quindi una sfida imprenditoriale.»

«Mi spieghi, come avete fondato Banca Arner?»
«È molto semplice: quando raggiungi un certo volume d’affari puoi chiedere le licenze per diventare banca. Nel 1994 nasce, così, Banca Arner, che abbiamo fondato con il suo inventore, Paolo del Bue, e altri due soci: Giovanni Giacomo Schraemli e Ivo Sciorilli Borrelli. Nel 1994 bisogna dire che riuscimmo a sfruttare a pieno il momento storico, perché quel periodo viene identificato con la cosiddetta “convergenza dei tassi di interesse”: tanto più bassi sono i tassi di interesse tanto migliori sono le opportunità finanziarie.»
«Vi siete lanciati nella finanza globale. Come avete fatto a raccogliere i grandi patrimoni?»
«Non bisogna confondere questo discorso con quello della leva finanziaria, questa è una cosa che non è mai entrata nella piazza svizzera e mai vi entrerà, secondo me. La gestione svizzera è per definizione molto prudente perché bisogna comunque e sempre puntare alla conservazione del patrimonio e nei periodi di euforia dei mercati realizzare i guadagni, ma non si possono mai superare certi profili di rischio. Del mio lavoro parlano i numeri: nel 1989, quando entro in Banca Arner, avevamo in gestione cinquanta milioni di franchi, nel 2007 avevamo sei miliardi di franchi, parliamo di quattro miliardi di euro.»

Nicola Bravetti è abituato a ricevere telefonate da una cabina pubblica, i clienti di una banca d’affari ci tengono alla riservatezza. Anche questa circostanza per Bravetti è una «tecnicalità»: se si ascoltano le telefonate di un cliente italiano con un banchiere svizzero, che cosa mai verrà fuori? Dice lui. A suo modo di vedere le indagini non sono all’altezza dell’ingegno che mette lui nel fare il suo lavoro, come se il reato dipendesse dalla bravura di chi lo compie. È talmente ovvio che i clienti italiani di una banca svizzera si affidino al segreto bancario che per lui non è altrettanto ovvio che un certo tipo di discrezione possa costituire reato. Perché il banchiere in nome del segreto è prete confessore e in banca offre ricovero e immunità ai fedeli. Sarà pure un fatto banale, ma per la Direzione investigativa antimafia, dalle telefonate di Nicola Bravetti con un cliente siciliano (che si identifica con uno pseudonimo e lo chiama sempre da una cabina pubblica da diversi punti della città di Palermo) viene fuori che Bravetti lo sta aiutando a nascondere dei soldi che altrimenti sarebbero posti sotto sequestro dall’autorità giudiziaria.

L’accusa è quella di intestazione fittizia di conto corrente bancario, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra. Mafia. Si tratta del trust Pluto, aperto nell’estate del 2005 presso la filiale di Banca Arner a Nassau, Bahamas, di tredici milioni di euro. Il fondo è intestato a Teresa Macaluso, moglie di Francesco Zummo, un costruttore siciliano in possesso di un discreto curriculum giudiziario: su di lui aveva indagato negli anni Ottanta il giudice Giovanni Falcone, nell’ambito dell’indagine Pizza Connection, in cui era emersa l’attività di Zummo di riciclaggio e favoreggiamento, per conto dell’ex sindaco democristiano di Palermo Vito Ciancimino, condannato per mafia. I conti all’estero di Zummo e di un altro sodale di Ciancimino, Francesco Civello, erano legati al traffico di stupefacenti.


Condannato per riciclaggio, nel 2001 Francesco Zummo viene arrestato a Palermo insieme al figlio Ignazio, accusato di fare il prestanome per il suocero, un altro mafioso: Vincenzo Piazza. Francesco Zummo (insieme al figlio) è condannato in primo grado, assolto in appello e in attesa di Cassazione: l’accusa è occultamento e reinvestimento dei proventi illeciti della mafia, grazie alla sua attività di imprenditore e ai suoi contatti con il mondo finanziario in Italia e all’estero. Per questo Francesco Zummo ha subito due sequestri preventivi di beni, ora amministrati da Elio Collovà per il Tribunale di Palermo. Riassumendo: Francesco Zummo ha una condanna per riciclaggio, mentre per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è stato sottoposto a sorveglianza speciale e obbligo di dimora, in più aveva bisogno di movimentare continuamente i suoi soldi per sottrarli al sequestro dell’autorità giudiziaria. E all’inizio sembra riuscirci: la procura chiede un sequestro e lui sta già spostando i soldi da una banca all’altra, svuotando i conti prima che il blocco diventi operativo, secondo quello che gli inquirenti chiamano «il metodo Calcara», scoperto dalle indagini di Giovanni Falcone. Ma quelle rogatorie e le successive indagini disposte dalla Procura di Palermo, fin dagli anni Novanta, lo seguiranno negli spostamenti che fa da una piazza finanziaria all’altra, attraverso conti e società intestati a lui o ai suoi familiari, fino all’inizio del nuovo millennio, quando affiderà la gestione di tredici milioni di euro al banchiere elvetico Nicola Bravetti, nella filiale di Arner alle Bahamas, nella primavera del 2003.

Mentre parlo con lui, la voce di Bravetti ha la postura di uno che quasi non si muove. Un uomo tranquillo alla scrivania, tranquillo al telefono, tranquillo con i clienti, che nel fine settimana corre con la sua Porsche a 270 chilometri all’ora e vince parecchio. È l’unico sport che gli permette di non pensare al lavoro neanche per una frazione di secondo e, dopo le gare, gli si possono fare «anche le peggiori sevizie» e lui mantiene i nervi saldi, come mi ha detto all’inizio. Scopro che da ragazzo era un giocatore di bridge ma il gioco gli aveva preso la mano e giocava due sere a settimana. A vent’anni decide che c’è di meglio da fare che passare le serate al tavolo di bridge e così smette. Oggi a cinquantasette anni correre con una Porsche, come hobby, in fondo, non è male. Tra una gara e l’altra, nel 2003, durante lo scudo fiscale voluto dal ministro Giulio Tremonti, gli succedono due cose fondamentali: apre Arner Milano e conosce gli Zummo.

«Bravetti perché nel 2003 decidete di aprire Arner Milano, per usufruire dello scudo fiscale del governo italiano?»
«Ma no guardi l’apertura della sede di Milano fa parte della strategia del gruppo di sviluppare l’attività onshore. Se lei ha una sede in un Paese onshore sarà agevolato a ottenere la medesima licenza in altri Paesi. L’iter per aprire Arner Milano parte molto prima dello scudo, come lei sa prima si decide di aprire una banca e poi si va alla Banca d’Italia: ci abbiamo messo tre anni. Diciamo che io e i miei soci eravamo convinti di avere la licenza già nel maggio 2002, lo scudo si è sviluppato in un anno e mezzo quindi eravamo ampiamente nei termini. La licenza invece arrivò un anno dopo e noi pensammo che le autorità italiane non volessero favorire una banca estera durante lo scudo fiscale. La licenza ci arrivò solo a luglio del 2003. In agosto, lei sarà d’accordo con me, non si fa nulla, a settembre apro l’ufficio, il 30 settembre finisce lo scudo fiscale.»

Nel 2002-03 quando il governo Berlusconi diede l’opportunità di riportare in Italia capitali illegalmente esportati all’estero, pagando un’inezia, il 2,5 per cento, venne fuori che di settanta miliardi di euro rimpatriati con lo scudo, il 60 per cento era stato esportato in Svizzera da cittadini residenti a Milano. Ma il flusso di denaro continuava a viaggiare oltre confine. Nel 2004 i soldi che varcano il confine sono già 3,4 miliardi di euro,10 segno che il giochino di portarli fuori per riportarli dentro conviene. La Corte dei Conti ad esempio, nel novembre 2008, in una relazione del titolo Risultati e costi del condono, del concordato e delle sanatorie fiscali, denuncia che dei 26 miliardi che sarebbero dovuti confluire nelle casse dell’erario con i condoni fiscali (tra cui lo scudo) introdotti dalla legge finanziaria del 2003, ne mancano all’appello ben 5,2 mai versati allo Stato. E fa l’identikit di chi aveva interesse a usufruire di questi perdoni: «Società di capitali o a gestione manageriale, anche per l’interesse dei manager a mettersi comunque al riparo dai rischi penali di possibili controlli». I rischi penali. Anche qui, tanto per essere chiari con Bravetti: i banchieri sono fantasiosi e i clienti sperano proprio in questa loro creatività per evitare guai in base alla 231,12 una legge che vieta di usare il sistema finanziario per riciclare i proventi di attività illecite; dal 2001, poi, dopo l’attacco terroristico alle Twin Towers di New York, c’è stata una stretta globale alle norme sull’antiriciclaggio, per colpire la rete finanziaria che andava a sostenere il terrorismo. Si è intervenuti, così, sia sulla trasparenza delle operazioni bancarie sia sulla classificazione della clientela. Anche su questo, Nicola Bravetti ha una sua visione: per quanto riguarda il contesto europeo c’è una grande incomprensione di tutta la vicenda e allora mi spiega.

«Attenzione con la cosiddetta direttiva Mi-Fid,13 che serviva a rendere più trasparente l’intermediazione finanziaria nella gestione di patrimoni o capitali da investire, ce n’erano state parecchie di segnalazioni agli organismi di controllo, ma questo succede solo nell’estate del 2007! Per essere chiari: con questa normativa si sana una situazione che in Italia andava sanata da oltre venticinque anni. L’Italia fino al 2007 è stata molto più paradiso fiscale di quanto non lo fossero altri Stati. Vede, al mondo esistono solo due concetti di beneficiario economico: il primo beneficiario economico e l’ultimo beneficiario economico.» A questo punto non mi resta che ascoltarlo come uno studente bocconiano. Però io mi siedo ai piedi della cabina telefonica, allungo le gambe e mi tengo l’agendina davanti.

«Questi concetti caratterizzano gli ordinamenti bancari di tutti i Paesi del mondo. Per farle un esempio, Stati Uniti e Italia hanno sempre seguito il concetto del primo beneficiario: quello che va in banca è il beneficiario economico della struttura. Nel 2005 se andavo a Milano, in una qualsiasi banca, come legale rappresentante di una società delle Bahamas, non gliene poteva fregare a nessuno di chi c’era dietro alla società delle Bahamas. In Italia come negli Stati Uniti e in altri Paesi ero assolutamente al di sopra di ogni sospetto. Mentre in altri Paesi, come la Svizzera, si seguiva già da molto tempo il concetto dell’ultimo beneficiario economico. Se lei viene da me in Svizzera e vuole aprire un conto per una società bahamense lei mi deve dire, e questo già da quindici anni, di chi è la bahamense. Questo in Italia succede solo dal 2007! Si rende conto del paradosso della mia vicenda?»
Facciamo una pausa e io posso andare a prendermi un caffè. È tranquilla Lugano. I colleghi mi raccontano che qui i banchieri sono sempre sotto pressione e alcuni di loro per scaricare la tensione sono comunque sempre assai discreti, frequentano certi locali che forniscono signorine; le case chiuse stile confederazione elvetica. Io, forse faccio in tempo a fare un salto in albergo, nel centro della città, per controllare alcune carte. E poi torno a farmi dire da Bravetti che cosa c’entra lui con Cosa Nostra. Ho un appuntamento telefonico da una cabina pubblica, proprio come il signor Moro.

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Paolo Mondani è giornalista professionista, e ha lavorato per quotidiani italiani e network italiani ed esteri. Per la Rai, nel 1997, ha collaborato agli Speciali di Raidue. Inoltre, tra il 1999 e il 2002, ha lavorato come inviato per Circus, Raggio Verde, Sciuscià, Emergenza Guerra e Sciuscià edizione straordinaria. Nel 2003 è inviato e coautore di Report, su Rai Tre. Nel 2006 collabora, come inviato, ad AnnoZero su Rai Due. Dal 2007 è di nuovo nel team di Report.