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  • Giovedì 18 novembre 2010

A che punto è la Grecia

Non buono, ma ha passato momenti peggiori, e sempre con gli studenti vittime e protagonisti

di FilippoMaria Pontani

Protesters react as riot police throw tear gas during a demonstration in Athens, on Wednesday, Nov. 17, 2010. Youths hurled rocks, flares and smashed-up paving stones at police outside the U.S. Embassy in Athens, during a mass rally to mark the anniversary of a 1973 anti-dictatorship uprising. Riot police used tear gas and stun grenades, during the brief but violent confrontation with dozens of youths and chased groups that dispersed down streets near the embassy building. At least 40 people were detained by police, authorities said, while one protester was being treated in hospital for burns. More than 6,000 officers were on duty to police the annual march, which was generally peaceful. It was attended by more than 20,000 people. (AP Photo/Alkis Konstantinidis)
Protesters react as riot police throw tear gas during a demonstration in Athens, on Wednesday, Nov. 17, 2010. Youths hurled rocks, flares and smashed-up paving stones at police outside the U.S. Embassy in Athens, during a mass rally to mark the anniversary of a 1973 anti-dictatorship uprising. Riot police used tear gas and stun grenades, during the brief but violent confrontation with dozens of youths and chased groups that dispersed down streets near the embassy building. At least 40 people were detained by police, authorities said, while one protester was being treated in hospital for burns. More than 6,000 officers were on duty to police the annual march, which was generally peaceful. It was attended by more than 20,000 people. (AP Photo/Alkis Konstantinidis)

Come ci ha ricordato l’ampia mobilitazione di ieri, che ha coinvolto decine di migliaia di universitari nella protesta contro gli evidenti limiti del decreto Gelmini e contro l’insufficiente finanziamento della ricerca nel nostro Paese, il 17 novembre è la Giornata internazionale dello studente. La data è stata scelta già nel 1941 in memoria della sanguinosa repressione attuata dai Nazisti all’università di Praga proprio in quel giorno del 1939: nove dimostranti anti-tedeschi (tra i moltissimi che protestavano contro l’assassinio del giovane Jan Opletal) furono uccisi, le università ceche furono chiuse e centinaia di studenti vennero incarcerati o spediti nei campi di concentramento.

Ma il 17 novembre, come ricorda il sito dell’Unione Europea degli Studenti, è importante anche per un altro motivo: nel 1973, infatti, proprio in quel giorno venne repressa nel sangue l’insurrezione degli studenti del Politecnico di Atene contro la giunta dei colonnelli, iniziata il 13 sull’onda delle proteste contro la coscrizione obbligatoria degli studenti sospettati di essere dissidenti. L’immagine del carro armato che sfonda il cancello dell’Ateneo (lo stesso che in certi manifesti di propaganda occidentale minaccia l’Acropoli) è diventata un’icona della coscienza civile della nuova Grecia, perché anche se la fine della dittatura fu rimandata all’estate del 1974 (dopo i fatti di Cipro), e anche se gli scontri del Politecnico segnarono di fatto la fine della timida “apertura” della Giunta e viceversa l’inizio di un nuovo inasprimento del regime, fu proprio la protesta studentesca a incarnare e incanalare in sé le energie migliori della società democratica greca. Non l’opposizione per via politica (condannata a difficili compromessi e sospesa alle contraddizioni del regime) né la rivoluzione violenta in forma di aperta guerra civile: piuttosto un’insurrezione giovanile autonoma nata in nome di tre ideali (“Pane, istruzione, libertà”) che ancor oggi – specialmente oggi, come ha ricordato ieri il Presidente della Repubblica Kàrolos Papulias – non hanno perso di attualità e non cessano di essere condivisi nel profondo da tutte le forze democratiche.

Qui sta appunto il problema. La Grecia di oggi è in mezzo al guado verso un incerto avvenire, e il governo socialista di Ghiorgos A. Papandreu (dove la “A.” sta per il nome del padre Andreas, politico di primissimo rango e primo ministro proprio dagli anni ’80 in poi) si trova a dover infliggere al Paese la terapia economica più severa della sua storia, incidendo in maniera pesantissima sui salari dei dipendenti, sugli investimenti statali, e sulla spesa pubblica in generale. Non è un caso che larghi settori del Pasok (il partito socialista greco), per non parlare delle formazioni politiche più radicali, abbiano maturato un’aperta insofferenza nei confronti dell’ormai famigerato Memorandum di maggio che impone ai Greci misure draconiane di austerità sin da subito e per gli anni a venire. Se un giornale di sinistra come “I Avghì” (“L’aurora”) titola “Ieri i tanks oggi la trojka” (equiparando la repressione del ’73 ai tagli del bilancio operati oggi dal temibile gruppo Commissione Europea – Banca Centrale Europea – Fondo Monetario Internazionale), vuol dire che i nervi di una parte del Paese sono scoperti.

Ma questo, come ognun vede, non è soltanto un problema greco, e non soltanto per ragioni di ordine pubblico interno e internazionale – dalla Grecia, e probabilmente da frange extraparlamentari estreme come “Lotta Rivoluzionaria”, sono partiti qualche giorno fa i pacchetti incendiari che hanno messo in allarme le cancellerie di mezza Europa ; del resto, se la manifestazione commemorativa di ieri, ricca di quasi 50mila persone e diretta come sempre fin sotto l’ambasciata degli Stati Uniti, è stata caratterizzata da scontri limitati (poche decine di arresti, un po’ di lacrimogeni e qualche lancio di molotov), bisogna ringraziare soprattutto la pioggia copiosa (non a caso, nella più clemente serata si sono prolungati gli episodi di violenza). Non è solo ordine pubblico, dunque: le dichiarazioni di Angela Merkel, che ha deprecato l’ingresso della Grecia nell’euro come un grave errore del suo predecessore Schroeder, e quelle del ministro austriaco Joseph Pröll, che ha minacciato di interrompere il versamento della terza rata del fondo di salvataggio stabilito sei mesi fa, hanno da una parte esasperato le relazioni greco-germaniche, già gravate dalla pesante ipoteca della storia (l’occupazione durante la II guerra mondiale è un ricordo ancora vividissimo), ma hanno anche rappresentato l’emblema di una vera e propria strategia diplomatica tramite la quale Berlino mira a isolare i Paesi “a rischio”, anzitutto Grecia, Portogallo e forse (se n’è parlato ampiamente a Bruxelles) ormai anche l’Irlanda.

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Non è un caso che il «Financial Times» abbia riconosciuto a Papandreu il merito di aver «detto ciò che tutti gli altri pensano», ovvero che l’azione politica della Germania, inficiando la credibilità dei Paesi più in difficoltà nell’ambito europeo e dunque concorrendo all’innalzamento dei loro tassi d’interesse sul debito, potrebbe avere l’effetto di corrodere dall’interno il fondamento della coesione dell’Unione Europea (un rischio concreto, apertamente evocato anche dal presidente dell’Unione van Rompuy). E non è un caso che lo stesso premier greco, con la visita a Sarkozy, con il supporto incassato da parte di Dominique Strauss-Kahn (l’asse franco-tedesco scricchiola da tempo), e con le esplicite dichiarazioni esposte in occasione del summit della Sinistra europea, stia di fatto tentando di creare un fronte opposto a quello della cancelliera. L’intervista di ieri sera nell'”Hard Talk” della BBC (un programma di tarda serata che non ha alcun omologo nella televisione italiana) mostrava un Papandreu convinto, fiero degli sforzi del suo Paese, e apparentemente determinato a non cavalcare il malcontento dei suoi concittadini, bensì a gestirlo con saggezza.

Ma in realtà il problema che si delinea con sempre maggiore chiarezza è di ordine politico, e trova nella Grecia una provetta perfetta (sarà un caso che l’Irlanda faccia del tutto per sottrarsi alle grinfie di questo destino?). Siamo infatti in un momento in cui la Grecia si trova ad essere de facto un Paese a sovranità limitata, costretta a ristrutturazioni del debito impreviste, anzi negate nella recentissima e vittoriosa campagna elettorale per le comunali: proprio ieri il ministro delle Finanze Papakonstandinu ha concordato con la trojka un ulteriore taglio di spesa di 3,5 – 4 miliardi di euro che si aggiungono ai 9,15 già previsti. Ed è palese che la leadership socialista, nel medio periodo, corre seri rischi di essere scavalcata da ogni parte: se ciò non è avvenuto finora sul piano politico, la spiegazione sta nella debolezza sostanziale dell’opposizione di destra, ovvero del partito Nea Dimokratìa, che ha di fatto contribuito in modo decisivo ad aprire l’ultima, consistente parte della voragine del debito ellenico fino alle sue dimissioni nel 2009. Ma quei 3-4 miliardi in più ora dove si troveranno? Si parla già di forti tagli alle imprese pubbliche di servizi, di 1 miliardo in meno per gli ospedali e 1 altro miliardo in meno per l’assistenza sanitaria: indubbiamente persistono in Grecia dei privilegi che possono essere sforbiciati, ma di certo si andrà a pescare da qualche parte oltre la “linea rossa” che lo stesso Papandreu aveva tracciato nei giorni scorsi, sostenendo che erano finiti i tagli stipendiali, i licenziamenti e le nuove tasse che da mesi imperversano sulla società del suo Paese.

Scavalcare quella linea (e soprattutto impegnarsi implicitamente a scavalcarla ancora ogniqualvolta altri vorrà), in una situazione come la presente, potrebbe voler dire tendere una corda già tesa, e lasciare l’eredità del messaggio degli studenti del ’73 nelle mani sbagliate: molti ricorderanno che “17 novembre” è stato anche il nome del gruppo terroristico più rilevante e sanguinario della Grecia contemporanea (è stato debellato solo al principio degli anni Duemila), e chiunque abbia visitato a piedi la zona del Politecnico (che è, fra parentesi, contiguo al Museo Nazionale) sa quanto sia massiccia laggiù la presenza degli anarchici: è da quel quartiere che sono partiti gli scontri del dicembre 2008 e del maggio di quest’anno.

“Qui il Politecnico! Qui il Politecnico! Popolo di Grecia, il Politecnico è l’alfiere della nostra lotta, della vostra lotta, della nostra comune lotta contro la dittatura e per la democrazia”. Se i valori rappresentati da queste leggendarie parole, diffuse dalla radio degli studenti di 37 anni fa fino al momento della sua chiusura, verranno lasciati agli estremisti e consegnati alla retorica dell’antagonismo violento, gli scossoni potrebbero presto diventare ingovernabili a largo raggio: forse le pur legittime preoccupazioni nazionalistiche degli Stati membri dell’Unione (e specie di quelli più forti) dovrebbero tener conto, oltre che della sussistenza dell’edificio comune (cui in molti sembrano tenere sempre meno), anche di questo processo di causa ed effetto, o meglio di questo rischio di spirale viziosa che non può facilmente essere confinato a un solo Paese. Colpisce in particolare un fatto linguistico: il nome greco del memorandum, quel documento d’intesa cui molti ormai – anche nel Pasok – si proclamano ostili, è “mnimonio”, e reca ovviamente in sé la stessa radice della “mnimi” (memoria) o del “mnimòsino” (commemorazione) che ieri 17 novembre erano particolarmente attuali, con i mille garofani rossi davanti al monumento agli studenti che pare scolpito da Mitoraj. Forse far collidere in modo irreversibile il memorandum con la memoria potrebbe non essere una mossa avveduta.

Oppure conveniamo che ci sentiamo davvero – come gli studenti del ’73 – dei “liberi assediati” all’interno della società neo-capitalistica globalizzata, o almeno all’interno di un’Unione europea che ha preso una brutta piega; e conveniamo che non c’è altra strada per l’Acropoli (o meglio, per l’agorà) se non l’instaurazione di una nuova utopia.