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A che punto è la Grecia

Non buono, ma ha passato momenti peggiori, e sempre con gli studenti vittime e protagonisti

Il governo socialista si trova a dover infliggere al Paese la terapia economica più severa della sua storia

di FilippoMaria Pontani

Come ci ha ricordato l’ampia mobilitazione di ieri, che ha coinvolto decine di migliaia di universitari nella protesta contro gli evidenti limiti del decreto Gelmini e contro l’insufficiente finanziamento della ricerca nel nostro Paese, il 17 novembre è la Giornata internazionale dello studente. La data è stata scelta già nel 1941 in memoria della sanguinosa repressione attuata dai Nazisti all’università di Praga proprio in quel giorno del 1939: nove dimostranti anti-tedeschi (tra i moltissimi che protestavano contro l’assassinio del giovane Jan Opletal) furono uccisi, le università ceche furono chiuse e centinaia di studenti vennero incarcerati o spediti nei campi di concentramento.

Ma il 17 novembre, come ricorda il sito dell’Unione Europea degli Studenti, è importante anche per un altro motivo: nel 1973, infatti, proprio in quel giorno venne repressa nel sangue l’insurrezione degli studenti del Politecnico di Atene contro la giunta dei colonnelli, iniziata il 13 sull’onda delle proteste contro la coscrizione obbligatoria degli studenti sospettati di essere dissidenti. L’immagine del carro armato che sfonda il cancello dell’Ateneo (lo stesso che in certi manifesti di propaganda occidentale minaccia l’Acropoli) è diventata un’icona della coscienza civile della nuova Grecia, perché anche se la fine della dittatura fu rimandata all’estate del 1974 (dopo i fatti di Cipro), e anche se gli scontri del Politecnico segnarono di fatto la fine della timida “apertura” della Giunta e viceversa l’inizio di un nuovo inasprimento del regime, fu proprio la protesta studentesca a incarnare e incanalare in sé le energie migliori della società democratica greca. Non l’opposizione per via politica (condannata a difficili compromessi e sospesa alle contraddizioni del regime) né la rivoluzione violenta in forma di aperta guerra civile: piuttosto un’insurrezione giovanile autonoma nata in nome di tre ideali (“Pane, istruzione, libertà”) che ancor oggi – specialmente oggi, come ha ricordato ieri il Presidente della Repubblica Kàrolos Papulias – non hanno perso di attualità e non cessano di essere condivisi nel profondo da tutte le forze democratiche.

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Qui sta appunto il problema. La Grecia di oggi è in mezzo al guado verso un incerto avvenire, e il governo socialista di Ghiorgos A. Papandreu (dove la “A.” sta per il nome del padre Andreas, politico di primissimo rango e primo ministro proprio dagli anni ’80 in poi) si trova a dover infliggere al Paese la terapia economica più severa della sua storia, incidendo in maniera pesantissima sui salari dei dipendenti, sugli investimenti statali, e sulla spesa pubblica in generale. Non è un caso che larghi settori del Pasok (il partito socialista greco), per non parlare delle formazioni politiche più radicali, abbiano maturato un’aperta insofferenza nei confronti dell’ormai famigerato Memorandum di maggio che impone ai Greci misure draconiane di austerità sin da subito e per gli anni a venire. Se un giornale di sinistra come “I Avghì” (“L’aurora”) titola “Ieri i tanks oggi la trojka” (equiparando la repressione del ’73 ai tagli del bilancio operati oggi dal temibile gruppo Commissione Europea – Banca Centrale Europea – Fondo Monetario Internazionale), vuol dire che i nervi di una parte del Paese sono scoperti.

Ma questo, come ognun vede, non è soltanto un problema greco, e non soltanto per ragioni di ordine pubblico interno e internazionale – dalla Grecia, e probabilmente da frange extraparlamentari estreme come “Lotta Rivoluzionaria”, sono partiti qualche giorno fa i pacchetti incendiari che hanno messo in allarme le cancellerie di mezza Europa ; del resto, se la manifestazione commemorativa di ieri, ricca di quasi 50mila persone e diretta come sempre fin sotto l’ambasciata degli Stati Uniti, è stata caratterizzata da scontri limitati (poche decine di arresti, un po’ di lacrimogeni e qualche lancio di molotov), bisogna ringraziare soprattutto la pioggia copiosa (non a caso, nella più clemente serata si sono prolungati gli episodi di violenza). Non è solo ordine pubblico, dunque: le dichiarazioni di Angela Merkel, che ha deprecato l’ingresso della Grecia nell’euro come un grave errore del suo predecessore Schroeder, e quelle del ministro austriaco Joseph Pröll, che ha minacciato di interrompere il versamento della terza rata del fondo di salvataggio stabilito sei mesi fa, hanno da una parte esasperato le relazioni greco-germaniche, già gravate dalla pesante ipoteca della storia (l’occupazione durante la II guerra mondiale è un ricordo ancora vividissimo), ma hanno anche rappresentato l’emblema di una vera e propria strategia diplomatica tramite la quale Berlino mira a isolare i Paesi “a rischio”, anzitutto Grecia, Portogallo e forse (se n’è parlato ampiamente a Bruxelles) ormai anche l’Irlanda.

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