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  • Giovedì 11 novembre 2010

Gli immigrati preferiscono la Svizzera

Il Ticino è la meta d'arrivo finale della maggior parte dei clandestini in transito in Italia

di Adierre

Di notte il loro ronzio si percepisce a malapena. Tra l’oscurità del cielo e le ombre dei boschi. A cavallo dei sentieri che una volta erano quelli del contrabbando. Lì, infatti, volano i droni, gli aerei spia senza pilota. Servono alle guardie di confine svizzere, con il sostegno delle forze aeree, per sorvegliare le frontiere. Con un obiettivo chiaro: intercettare movimenti sospetti lungo la ramina, la rete che separa l’Italia dalla Svizzera, e impedire azioni illegali. In pratica tentare di bloccare l’immigrazione clandestina. Che oggi ha nel Ticino la sua meta d’arrivo finale e nelle province di Varese e Como, secondo dati forniti dagli enti governativi svizzeri, le principali vie di transito.

Le guardie di confine svizzere lo sanno bene. Prima, una decina di giorni dopo gli sbarchi nell’isola più a sud dell’Italia, Lampedusa, chi riusciva a riprendere il viaggio si spingeva fino a qui. Con un solo scopo: valicare la frontiera e inoltrare la richiesta di asilo. Ora che il canale di Sicilia è presidiato sono cambiate le rotte e i mezzi di trasporto, non la meta. E nemmeno l’obiettivo finale. Così lungo il confine verde, in cui boschi e sterpaglie si intrecciano fitti nel silenzio, la calma è sempre solo relativa. La ramina, ormai solo un modo di dire per indicare la linea di demarcazione visto che la  rete metallica che separa il confine italo-svizzero non c’è più, è piena di buchi, di strappi, di passaggi, da dove transitano clandestini disperati, spacciatori e criminali. E ogni metro, lungo i 90 chilometri del confine tra il Ticino e la Lombardia, è un potenziale varco. Lo confermano le circa 40 telecamere speciali, munite di rilevatore di movimento, posizionate proprio da queste parti. «I numeri dei passaggi sui valichi verdi, tutto sommato, non sono rilevanti» chiariscono le Guardie di confine ma «comunque da tenere in considerazione». Senza contare l’apertura incondizionata e senza presidio, dopo l’entrata in vigore degli accordi di Schengen, dei valichi stradali minori.

Oggi, comunque, è il treno ad avere sostituito la montagna. Sono infatti i convogli tra Milano e la stazione internazionale di Chiasso i nuovi barconi. Ultimo tassello di rotte che puntano al capoluogo lombardo come rampa di accesso alla Svizzera. Perché arrivano dalla frontiera sud, ovvero dalla rotta padana, il 70% degli immigrati irregolari censiti nella Confederazione. Quasi ventimila ogni anno. Un trend costante. I dati degli uffici svizzeri che si occupano della migrazione raccontano, infatti, di un ottobre particolarmente caldo a Chiasso con circa 400 clandestini in entrata. Numeri che si riferiscono solo alle richieste d’asilo presentate dai migranti intercettati. Di quelli che invece scivolano tra le maglie dei controlli ci sono solo stime potenziali. Di certo tra gli asilanti, sono i nigeriani a giocare il ruolo di protagonisti con il 16% delle domande presentate, peraltro quasi tutte respinte. Nel 2009, oltre il 50% delle domande d’asilo avanzate in Svizzera dai nigeriani proveniva proprio da Chiasso. Gli altri sono iracheni, eritrei, afgani, somali, georgiani, kosovari, turchi, marocchini e tunisini.

Immigrati che si dividono i tre accessi ancora “operativi”. Quello aereo con lo scalo varesino di Malpensa che, per usare le parole del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, «è diventato la prima frontiera degli ingressi irregolari in Italia». Quello sud orientale che in base ai dati raccolti da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, vede crescere il passaggio marittimo dal medio oriente alla Turchia e da lì verso la Grecia, con le sei isole più vicine alla costa turca – Lesvos, Chios, Samos, Patmos, Leros e Kos – letteralmente bersagliate. E quello del confine terrestre orientale che corre dalla Finlandia alla Romania, meta di moldavi, bielorussi e ucraini. Si atterra nel Varesotto, insomma, o lo si raggiunge dai valichi dell’Est puntando su Milano. Qui via treno, salendo in una delle quattordici fermate della linea ferroviaria che porta a Chiasso, si punta alla Svizzera. Lo fanno in centinaia ogni mese. Consigliati, questa l’ipotesi che circola, da moderni passatori che spesso, invece di accompagnare i migranti in un’area non presidiata del confine, si limitano a fornire loro, ovviamente dietro il pagamento del “disturbo”, un biglietto ferroviario e ad accompagnarli alla vicina stazione. Spedendoli in Ticino. Sovraccaricando e non poco il lavoro delle Guardie di confine e degli enti che gestiscono gli immigrati nei centri di registrazione ormai colmi.


«La maggior parte dei richiedenti di asilo – chiariscono sempre dai dipartimenti svizzeri dell’immigrazione – eludono i controlli prima della frontiera ed entrano in Svizzera clandestinamente per non correre il rischio di essere respinti al confine. Sono persone giovani, tra i 25 e 30 anni, molto ben informati sulla procedura d’asilo svizzera e per lo più conoscono anche l’indirizzo di uno dei cinque centri di registrazione e di procedura dell’Ufficio federale della migrazione. Gli basta superare la frontiere e poi arrivare in uno di questi e inoltrare una domanda d’asilo». Quelli, invece, che dopo aver varcato clandestinamente la frontiera vengono arrestati nei pressi del confine possono essere consegnati immediatamente alle autorità dello Stato limitrofo, dove possono inoltrare una domanda d’asilo. Ma non è sempre facile. Prima bisogna dimostrare da quale Stato il clandestino si è introdotto in Svizzera. E nell’attesa gli viene fornito vitto, alloggio e a volte anche un lavoro temporaneo per racimolare qualche franco. Logico quindi preferire il Ticino a uno dei vari Centri di identificazione ed espulsione della Penisola.

Anche perché gli immigrati conoscono quasi alla perfezione le leggi, almeno tanto quanto la tratta migliore da fare in treno. Dove salire e come comportarsi ai controlli una volta sul treno. Sanno anche, per loro stessa ammissione, che in Italia, di sabato e domenica, proprio i giorni di maggiore flusso di clandestini, sono chiusi gli uffici delle questure dedicati agli immigrati. Conoscono gli articoli di legge italiani. Se fermati sono in grado di citare anche il codice e il numero. E raccontano, alle forze dell’ordine elvetiche, che non si presentano in tribunale e tanto meno pagano ammende per il reato di clandestinità dopo aver ricevuto la denuncia. Una volta usciti da questure non gli resta che strappare il “foglio di via”.  Quelli che abbiamo incontrato nelle stazioni parlano poi delle grandi difficoltà di vivere in Italia, «con discriminazioni dalla politica e della fortuna di essere vicino a uno Stato come la Svizzera». Una fortuna per loro, un problema reale che comincia a pesare molto sulla Confederazione. Perché a instradarli, e questo ormai è più di un sospetto, ci sono spesso le organizzazioni criminali. Che lucrano sul viaggio e probabilmente poi li arruolano anche come spacciatori. Fenomeno la cui incidenza tra gli asilanti è in continua crescita.

L’esempio negativo è il quartiere di Besso a Lugano, una volta considerato a misura d’uomo, da anni invece terra di conquista di un centinaio di spacciatori che vendono droga lungo le strade, sui bus e davanti alle scuole pubbliche. Al punto che c’è chi nel recente passato si è spinto, come il consigliere nazionale del Plr Philipp Müller, ad avanzare richieste drastiche. Su tutti quella di trasformare i vecchi alloggiamenti dell’esercito sulle Alpi in “centri contenimento” per gli asilanti che spacciano droga in città. Per impedire ai richiedenti d’asilo, quelli senza documenti soprattutto, quelli che non collaborano, che si danno alla clandestinità e soprattutto allo spaccio di sostanze stupefacenti, di spostarsi e circolare. Cosa che oggi non avviene. Salvo il rispetto di un orario di rientro.  Meglio così farsi prendere in Svizzera, ancor meglio in Ticino. Logica quindi una certa preoccupazione da parte dei nostri vicini. Specialmente alla luce della facilità con qui gli immigrati irregolari arrivano alle frontiere. Chiare così le richieste delle forze dell’ordine elvetiche. «Servono misure più incisive – confermano – nei confronti dei passatori e le organizzazioni che lucrano sulle vite umane». Appello rivolto proprio all’Italia della Bossi – Fini. L’Italia che ha cancellato gli sbarchi ma sembra non curarsi, dati dei flussi alla mano, del semplice passaggio. Con le verifiche sul transito dei migranti che dovrebbero essere decisamente più stringenti nell’ottica della cooperazione.

Atteggiamento che non è conveniente, in primis, proprio per il nostro paese. Basta chiedersi cosa avviene poi a questi immigrati? O banalmente dove vanno a finire? L’immigrato che arriva a Chiasso, infatti,  viene segnalato. Lascia le impronte digitali, rilevate con sistemi altamente tecnologici e  spedite ad un sistema europeo di monitoraggio: Eurodac. Una procedura che serve per capire se il clandestino ha già presentato domanda di ammissione in altri paesi. Così si scopre che chi si rende colpevole “di soggiorno illegale” proprio in transito a Chiasso, il più delle volte ha già fatto richiesta di asilo in uno stato che aderisce alla “Procedura di Dublino”. Uno spazio di 30 stati, di cui 27 dell’Unione europea (UE) e tre  associati – Norvegia, Islanda e Svizzera –  che applicano regole unitarie per determinare lo stato competente per l’esecuzione della procedura d’asilo. Il che tradotto vuole dire che sarà proprio quel paese che dovrà dirimere la pratica e accogliere di nuovo la persona. In pratica prima o dopo, tutti questi immigrati, in virtù di accordi internazionali, verranno rispediti nel paese da dove si è originato l’ingresso in Svizzera. In questo caso proprio in Italia.