Los Angeles è bella

Mario Fortunato sull'Espresso cerca di smontare il luogo comune sulla disumanità della città, e dà consigli e letteratura al turista

«Los Angeles è un’Ikea urbanistica», scrive Mario Fortunato in un bel racconto personale di rapporto con la città – no, «non è una città» – pubblicato questa settimana sull’Espresso e utile a chi voglia visitarla con una disposizione non guastata dai pregiudizi. Che sono anche fondati, spiega Fortunato, ma si può innamorarsene lo stesso: anche a forza di riferimenti letterari.

Nel marzo del 1994, Lawrence Ferlinghetti, il poeta beat amico di Allen Ginsberg e Jack Kerouac, fondatore a San Francisco della mitica City Lights Books (libreria e casa editrice), mi disse le seguenti parole: ‘Di Los Angeles rifiuto perfino l’idea di passarci sopra con l’aereo’. Esagerava, immagino, ma poiché ero ancora piuttosto giovane, e i giovani tendono a fare prima o poi il contrario di quanto viene loro suggerito, dopo qualche tempo mi precipitai a Los Angeles. Ero sicuro che vi avrei trovato la vera America, espressione a sua volta giovanile, direi adesso, o forse semplicemente idiota: come se in giro esistessero realtà vere e certificate e altre di secondo grado, o fasulle. A ogni modo, invece di trovare la vera America, a Los Angeles trovai l’Europa. Non so se vera o falsa, ma di sicuro abbagliante e in definitiva ignota, come un’immagine allo specchio.
Cominciamo col dire che Los Angeles non è una città. Non possiede un centro, non ha una periferia. Infatti ne ha molti: sia di centri sia di periferie. Los Angeles è un luogo apparentemente infinito e in certo qual senso modulare. È un’Ikea urbanistica: la sua stessa idea di lusso ed eleganza sembra facilmente riproducibile, e di essa si scorge, a ben guardare, l’assoluta fragilità. Non sarà un caso che l’industria più o meno primaria del luogo sia l’industria dell’apparenza, cioè il cinema. Nei famosi Universal Studios la realtà è perfettamente riprodotta, ma aleatoria, inconsistente. Gli studios non sono il mondo, ma lo imitano, oppure lo inventano, con puntiglio. Inseguono un’idea astratta di realtà, affermano un idealtipo. Visitandoli, ho provato la stessa sensazione avuta camminando nel centro di Noto, in Sicilia, o in certe piazze umbre: la sensazione di muovermi in uno spazio squisitamente mentale. Al contrario, a bordo di un pulmino in giro per Los Angeles, una delle tipiche attività per turisti consiste nel riconoscere le strade, i caffè, i palazzi che hanno fatto da sfondo ai film più celebri. In questo modo, si rovescia il principio che presiede agli studios: la realtà concreta di una via o di un ristorante è stabilita a partire dalla sua immagine, dal doppio della finzione cinematografica. Il procedimento, per così dire, appare inverso, ma in definitiva ciò che viene cercato, inseguito e indovinato è sempre uno spazio creato dalla mente: un’esperienza del tutto immateriale.

(continua a leggere sul sito dell’Espresso)