Un congresso per persone mature

Rinviare un congresso – per certi aspetti sarebbe quasi un annullamento, date le circostanze – per paura di darsi un assetto politicamente pericoloso. Non riesco a immaginare un gesto più autolesionista. Anche un po’ offensivo, dice bene Gianni Cuperlo. Tanto varrebbe ammettere di essere regrediti all’infanzia politica, allo stato di un partito incapace di intendere, di volere e di muoversi razionalmente.
Non credo che Guglielmo Epifani abbia intenzione di dare soddisfazione a chi nel Pd chiede la sospensione della vita politica interna per non disturbare la navigazione delle larghe intese. Non soltanto perché ha più volte solennemente dichiarato che il congresso (tutto: definizione della linea politica, elezione dei gruppi dirigenti, elezione del segretario) si terrà alla scadenza prevista, ma soprattutto perché Epifani fin dal suo primo giorno si muove in una logica di grande garanzia per tutti.

Non credo neanche a coloro che, chiedendo il rinvio sine die della conta sul nuovo segretario, fanno intendere di parlare a nome di Enrico Letta.
Anche io ho avuto modo qualche volta di parlare col presidente del consiglio. Un’idea del genere non l’ho sentita neanche per ipotesi. Casomai, giustamente, Letta si preoccupa che chiunque nel Pd abbia chiaro il contesto nel quale ci si trova: il valore prezioso della stabilità, l’agenda appena avviata delle misure per risollevare l’economia, la precarietà della reputazione italiana nel mondo. E dunque il premier spera che “qualunque” Pd rispetti gli impegni che ha assunto al momento di dare il via a questo difficile governo.

Chiaro, Letta per primo sa che non tutto dipende dal Pd. Anzi. Per molti motivi però il congresso democratico contiene rischi più elevati perfino di una condanna giudiziaria di Berlusconi.
Svolgere tutto il congresso nei tempi e con le regole ordinari: una sfida di maturità, per un partito che si vanta a ragione di essere l’unica organizzazione compiutamente democratica sulla scena.
La prova di maturità è anche per i candidati, però.
Se per esempio qualcuno di loro intende guidare il Pd su una linea di rapida rottura delle larghe intese, sarà tenuto a dichiararlo apertamente.

Il maggiore indiziato in questo senso naturalmente è Pippo Civati, per le cose che dice e che fa, in parlamento e fuori. Ma anche da Matteo Renzi sarà giusto (nel caso) aspettarsi un impegno più preciso delle parole pronunciate nelle ultime settimane: che cosa vuol dire esattamente che il governo può rimanere al suo posto finché fa cose utili? Tutti possono sottoscrivere questo concetto ma quali cose, entro quanto tempo?
La chiave della posizione renziana sta nell’unica frase veramente importante annegata nella maratona televisiva da Mentana. Quando il sindaco ha fatto capire di giudicare inaccettabile l’atteggiamento per il quale “durare” per il governo sarebbe più importante di “fare”. Ogni recente mossa di Renzi va letta alla luce dell’opinione che era diventata fortissima ai primi di luglio, e cioè che l’orizzonte temporale del governo si fosse spostato almeno fino al 2015, forse fino al 2016.
È ciò che ora dichiarano apertamente nel Pdl, del resto, dove addirittura si parla di “governo di legislatura”, facendo chiaramente intendere quanto si sentano forti.

Renzi spera in elezioni politiche abbinate alle Europee, fra poco meno di un anno. Si proporrà alla guida del Pd con questi tempi in testa. Ma proprio qui risiede la sua prova di maturità: dare senso e sostanza a una candidatura che possa anche affrontare tempi diversi, come capita in politica.
Enrico Letta non ha nulla in contrario ad averlo segretario del Pd. Semplicemente, lui come chiunque altro si interroga sulla voglia di Renzi di trasferirsi da palazzo Vecchio nello studio che fu di Bersani per un paio d’anni almeno, invece che per un paio di mesi.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.