Se fallisse, pagherebbe solo il Pd

I racconti dalle feste democratiche sono univoci: file ai tavoli del referendum, moduli che si esauriscono in fretta, centinaia anzi migliaia di firme nelle serate dei fine settimana. Firmano tutti. Senza distinzione di simpatia politica, di appartenenza di corrente, senza sottilizzare sulle virtù del maggioritario o sui difetti del Mattarellum. La volontà di abolire la legge elettorale porcata è enorme, trasversale. È ciò che vogliono i cittadini. Sicuramente è ciò che vogliono gli elettori del Pd.

Non sono certo delegittimatori della politica. Non sono contro i partiti, e del resto molti di loro sono iscritti a un partito: al Pd. Non hanno sfiducia nel parlamento: hanno solo una totale ovvia sfiducia nella possibilità che questo parlamento, il parlamento dei nominati, modifichi la legge elettorale che lo ha partorito. Bersani a Pesaro ha riproposto il tiepido apprezzamento per un’iniziativa «che può essere stimolo utile per la riforma». Già è diverso da quando, a luglio, dei referendum elettorali diceva «sono incoerenti con la nostra proposta». Ma sia la freddezza di luglio che il tepore di Pesaro appaiono lontani dal calore che invece circonda la sfida referendaria nel suo stesso partito.

Mancano dodici giorni alla scadenza della raccolta: il referendum può fallire non per mancanza di domanda, ma per la fragilità dell’offerta (di militanza, di tavoli) da parte del comitato promotore. Bersani non deve certo rispondere di un’iniziativa che non è sua e anzi non voleva, però ora dovrebbe chiedersi: a chi verrebbe addebitato il fallimento di questo attacco al Porcellum? A Parisi? O al Pd e al suo segretario? Chi fermerebbe a quel punto le accuse al Pd di volere, in definitiva, votare con la legge attuale? Accuse ingiuste, certo, ma quante ingiustizie bisogna inseguire, e quanto sarebbe meglio invece disinnescarle per tempo, assecondare il popolo democratico, mobilitare i sindaci, fare in tutta Italia come stanno facendo i democratici friulani, sardi, pugliesi, emiliani, esplicitamente in campo? Faccia allora uno sforzo, il Pd.

Salvando la raccolta di firme, salverà un po’ anche se stesso.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.