La doppia sconfitta di Cameron in Europa

Il primo ministro britannico David Cameron ha subìto una doppia sconfitta in Europa nell’ultimo mese. Una sconfitta elettorale alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo che si sono tenute tra il 22 e il 25 maggio, seguita da una sconfitta diplomatica e politica rappresentata dalla nomina di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione Europea. In realtà, molti osservatori avevano previsto entrambe le cose, ma David Cameron ha portato avanti la sua strategia fino ad esserne quasi umiliato (politicamente parlando) sia a livello europeo, sia a livello nazionale.

Innanzitutto il risultato del voto: nel Regno Unito è andato molto bene lo UKIP – il partito indipendentista e anti europeista guidato da Nigel Farage – che ha ottenuto il 27,5 per cento dei voti. A seguire il Partito Laburista (25,4 per cento dei voti) e il Partito Conservatore (23,9 per cento dei voti) di cui fa parte il primo ministro. Per Cameron e il suo gruppo politico è stata una vera disfatta, considerando che i laburisti non stanno di certo attraversando il loro periodo migliore. Per rendere ancora meglio l’idea di come sono andate le cose, con le parole di Nigel Farage: «Mai prima di ora, nella storia politica del Regno Unito, un partito visto come “di protesta” aveva vinto delle elezioni a livello nazionale».

Oltre a un’inevitabile ridistribuzione dei rapporti di forza all’interno del paese, il risultato delle elezioni ha fatto in modo che Cameron rivedesse parte della sua linea politica estera, soprattutto durante le riunioni che si sono tenute nei giorni successivi in Europa con gli altri capi di Stato e di governo. Fin dalle prime trattative per la nomina del prossimo presidente della Commissione Europea, che andrà a sostituire il portoghese José Manuel Barroso (operativamente) a partire da metà ottobre, Cameron è risultato essere in netta minoranza. A tal proposito, venerdì 27 giugno il Consiglio Europeo – il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea – ha deciso che il nome prescelto è quello dell’ex primo ministro del Lussemburgo Jean-Claude Juncker (il candidato del Partito Popolare Europeo), anche se la nomina dovrà essere approvata in seguito dal Parlamento Europeo. Le trattative sono durate circa un mese, anche per la novità della cosa: per la prima volta, infatti, era stato previsto che il risultato delle elezioni europee fosse tenuto da conto nella scelta del presidente.

Gran parte delle trattative sono state gestite dal cancelliere tedesco Angela Merkel, che nei confronti di Juncker (che fa parte del suo stesso gruppo politico europeo) ha avuto per così dire un atteggiamento ambiguo. Si è creata una situazione molto complicata, anche perché in ballo ci sono da fare una serie di altre nomine all’interno delle istituzioni europee. Alla cena dei capi di Stato e di governo del 28 maggio a Bruxelles, Cameron ha dichiarato che non avrebbe mai appoggiato la nomina di Juncker. Secondo lui, l’ex primo ministro lussemburghese non rappresenta quel “volto nuovo” che si aspettano i cittadini europei, perché Juncker – che è stato anche il presidente dell’Eurogruppo – potrebbe essere associato alla politica economica degli ultimi anni, quella degli anni della crisi, fortemente criticata. Per la maggior parte dei capi di Stato e di governo, invece, Juncker rappresenta l’espressione del voto dei cittadini e per questo non si può non tenerne conto.

In realtà, la vera questione che sta a cuore a Cameron è che Juncker rappresenta più di altri la continuità di una certa politica di rafforzamento delle istituzioni e delle politiche comuni dell’Unione Europea, non solo in campo economico e monetario. Juncker rappresenta cioè un ostacolo a quel processo di allentamento dei rapporti di forza che il primo ministro britannico vorrebbe mettere in pratica per il suo paese: riguardo a una serie di temi, da quelli economici a quelli legati al fenomeno dell’immigrazione. Anche perché all’interno del suo partito sono sempre di più gli esponenti che stanno diventando anti europeisti.

David Cameron ha cercato di imporre la sua linea con lo scopo di rafforzare la propria immagine nei confronti dell’opinione pubblica britannica, dopo la sconfitta elettorale. Voleva cercare di dimostrare di avere ancora un peso nelle decisioni comunitarie, a costo di rimanere in una posizione minoritaria e, se vogliamo, “meno europeista”, soppesando così l’accresciuto potere dell’estrema destra britannica. Durante la trattativa, la tesi di Cameron è stata informalmente appoggiata soltanto da altri due leader europei, il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt e quello olandese Mark Rutte.

I tre, insieme ad Angela Merkel, hanno discusso della questione in una riunione tenuta il 9 giugno scorso, senza ottenere evidentemente alcun risultato. Se fosse stato scelto Jean-Claude Juncker, aveva minacciato Cameron, il Regno Unito avrebbe deciso di lasciare l’Unione Europea. Si tratta di un tema caro a Cameron, formalizzato con l’annuncio – nel gennaio 2013 – di voler proporre un referendum sulla permanenza del paese all’interno della UE, in caso di una sua rielezione alle prossime elezioni politiche in programma nel maggio 2015. Una rielezione diventata oggi molto meno probabile.

Per criticare la scelta di Juncker (e opporsi alla linea di dover dar seguito al voto popolare), Cameron ha presentato una lunga serie di argomenti, che sono però sembrati a volte poco rilevanti: per esempio il fatto che il nome del candidato del PPE non risultava scritto sulle schede elettorali, e che per questo non poteva essere considerato come una vera scelta autonoma degli elettori. A ciò Cameron ha aggiunto il fatto che l’affluenza alle urne è stata bassa nella maggior parte dei paesi in cui si è votato: «Significherebbe politicizzare la Commissione Europea», ha scritto in una lettera. Secondo il primo ministro britannico il nuovo processo di nomina del presidente della Commissione Europea, determinato in parte dal risultato elettorale, contraddice quanto affermato nei Trattati europei. Inoltre, la pratica non sarebbe mai stata approvata ufficialmente dal Consiglio Europeo, né sarebbe stata ratificata dai parlamenti nazionali.

Cameron ha argomentato la sua posizione, spiegando inoltre che Jean-Claude Juncker non è la persona giusta per avviare quella serie di riforme economiche necessarie per sostenere la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro. Ma, soprattutto, per il fatto che l’ex primo ministro lussemburghese non appare adatto ad affrontare le vere esigenze di cui ha bisogno l’Unione Europea, difficili da gestire se «non attraverso l’azione dei singoli Stati nazionali», a cui lui (Juncker) sarebbe invece contrario.

La strategia di Cameron, e la sua netta posizione durante le trattative, era però destinata a fallire. Diversi funzionari delle istituzioni europee avrebbero addirittura cercato di mediare le sue posizioni prima del vertice di fine giugno, per evitare un suo isolamento e quello del paese che rappresenta. A questo incontro informale avrebbe partecipato anche Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio Europeo: durante la riunione però non sarebbe stata raggiunta alcuna mediazione, neanche dopo aver discusso (e proposto delle posizioni strategiche) dei ruoli che il Regno Unito avrebbe preferito ricoprire all’interno della Commissione Europea. David Cameron teme che questo nuovo processo di nomina possa rafforzare in futuro il ruolo del Parlamento Europeo. Sarebbe proprio questo, invece, il vero passo da fare secondo molti osservatori, per riuscire a far immedesimare sempre di più i cittadini con i propri rappresentanti europei (gli unici eletti).

Altri leader europei (probabilmente anche Angela Merkel) non erano del tutto convinti di Jean-Claude Juncker, ma nessuno ha mantenuto la linea dura che ha avuto Cameron, come abbiamo detto diretta per lo più a rafforzare la sua posizione all’interno del proprio paese, più che a una reale efficacia nella riuscita delle trattative. Questo, naturalmente, ha complicato la sua posizione con gli altri leader, compreso Van Rompuy. Cameron ha voluto addirittura un voto informale sulla nomina di Juncker tra i membri del Consiglio Europeo: il risultato è stato di ventisei a due a favore di Juncker e Cameron ha ottenuto il solo appoggio del primo ministro ungherese Viktor Orban. A Cameron era stato sconsigliato di formalizzare anche questo atto, dato che il Consiglio Europeo, solitamente, prende delle decisioni una volta raggiunta l’unanimità. Il primo ministro britannico, pur conscio che ne sarebbe uscito sconfitto, ha voluto comunque rappresentare apertamente la sua posizione per rivendicare la difesa dei suoi valori una volta tornato in Regno Unito.

Tutti i principali giornali britannici hanno scritto che il fallimento della strategia di David Cameron potrebbe portare a un’accelerazione del processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, nel peggiore dei casi, e a una messa in minoranza di Cameron all’interno delle trattative future tra i leader europei, a scapito di quella rinegoziazione che il primo ministro britannico promuove da mesi. Il 30 giugno David Cameron si è presentato alla Camera dei Comuni – la camera bassa del Parlamento britannico – per spiegare la posizione e la strategia delle ultime settimane. Prima del suo intervento Ed Miliband, il leader del partito laburista, ha detto che l’azione del primo ministro è stata «del tutto fallimentare» e che rischia di avere delle pesanti conseguenze sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea: «Il primo ministro è tornato a casa dopo aver commesso una serie di gravi errori, con la sua combinazione di minacce, insulti e disimpegno. Tutto questo lo ha alienato dai suoi alleati», ha detto Miliband.

David Cameron si è difeso spiegando che per lui è stato «praticamente impossibile» opporsi alla nomina di Jean-Claude Juncker durante il vertice di fine giugno. Ha ribadito che il Regno Unito vuole rimanere all’interno dell’Unione Europea, ma ha spiegato che il paese rappresenterà «la voce di tutti quelli che hanno gridato al cambiamento» alle recenti elezioni. A prescindere da come sono andate le cose, David Cameron ha detto che lavorerà insieme a Juncker, anche se rimane convinto (per principio) del fatto che la nomina del presidente della Commissione Europea debba essere fatta dai capi di Stato e di governo. Cameron ha rivendicato inoltre una serie di piccole concessioni che sarebbe riuscito a ottenere durante l’ultimo vertice, a quel punto però gran parte dei deputati britannici ha iniziato a fischiargli contro interrompendolo in più occasioni.

Francesco Marinelli

Giornalista, qui per parlare di Europa, su Twitter è @frankmarinelli