Per molti siriani che vivono in Germania è ancora troppo presto
A dieci anni dai tantissimi arrivi del 2015, e un anno dopo la caduta di Assad, molti di loro non pensano di poter tornare in Siria
di Rodolfo Toè

Wael (si pronuncia uàil) è siriano e ha poco più di trent’anni. È arrivato in Germania dieci anni fa, alla fine del 2015, quando il governo di Angela Merkel aveva deciso di accogliere centinaia di migliaia di richiedenti asilo fuggiti dalla Siria, dove era in corso una fase violentissima della guerra civile. Wael racconta di avere trovato lavoro fin da subito: nei caffè, nei ristoranti, facendo consegne. Ora lavora come assistente sociale a Berlino e aiuta altri richiedenti asilo ad ambientarsi. Dal 2021 è cittadino tedesco.
Per tanti versi quella di Wael è una storia di successo. Eppure lui non si sente pienamente realizzato. Sente che la Germania non lo ha ancora accolto pienamente: nemmeno dopo dieci anni di sforzi, da parte sua.
Wael racconta che ha pensato più volte di andarsene dalla Germania da quando la guerra civile nel suo paese natale si è conclusa un anno fa con la caduta del brutale regime della famiglia Assad. Per ora però Wael ha scelto di non tornare in Siria. Lì non ha più né amici né lavoro, e la casa dove viveva è stata distrutta. Al tempo stesso, non si fida abbastanza del governo tedesco: se dovesse tornare in Siria e finire nei guai, non crede che la Germania farebbe granché per aiutarlo. «Casa, per me, è dove puoi sentirti al sicuro», dice Wael: «per ora, questa non è né la Germania né la Siria».
A dieci anni di distanza dall’arrivo di centinaia di migliaia di persone come lui, Wael non è l’unico a pensarla così, e a percepirsi in una specie di limbo.

Una donna siriana in un appartamento a Zwickau, nello stato federato della Sassonia, poco dopo essere arrivata in Germania, nel novembre del 2015 (AP/Jens Meyer)
In Germania oggi vivono circa 948mila cittadini siriani, che diventano molti di più (circa 1,2 milioni) se si tiene conto delle persone che hanno la cittadinanza tedesca ma sono di origine siriana, come Wael. Fra i residenti siriani la stragrande maggioranza, 667mila, ha un permesso temporaneo, che deve essere rinnovato al massimo ogni tre anni, in alcuni casi anche più spesso.
Dopo la caduta di Assad in pochi hanno deciso di tornare: secondo alcune inchieste dei giornali tedeschi, sono stati circa 4mila nella prima metà del 2025. Wael spiega che per lui ricominciare una nuova vita in Siria, ripartire da zero una seconda volta, gli sembra impensabile. Eppure diversi pezzi della politica tedesca sembrano spingerlo verso la Siria.
A inizio novembre il cancelliere Friedrich Merz, del partito di centrodestra dell’Unione Cristiano Democratica (CDU), ha detto che dal momento che la guerra in Siria è terminata, «non c’è più alcun motivo» per garantire il diritto d’asilo ai suoi cittadini. Ha anche promesso che il governo inizierà a rimpatriarne alcuni, cosa che non aveva più fatto dal 2011, cioè da quando era iniziata la guerra civile.
Il governo, che è formato da una coalizione tra la CDU e il Partito Socialdemocratico, SPD, ha adottato posizioni molto dure nei confronti dell’immigrazione. Nell’idea del governo questa intransigenza sulla migrazione serve a contrastare l’ascesa del partito di estrema destra Alternative für Deutschland: è un partito esplicitamente razzista, che ha basato la propria retorica su messaggi xenofobi. La CDU è convinta che solo adottando politiche più severe nei confronti delle persone straniere riuscirà a togliere ad AfD uno degli argomenti che usa di più per criticare il governo e in generale i partiti più istituzionali, cioè le loro politiche di accoglienza sui migranti (spesso peraltro basate su trattati internazionali e norme europee).

L’esterno di una pasticceria siriana nel distretto di Neukölln, a Berlino, uno di quelli dove c’è una maggiore presenza di persone immigrate. (Sean Gallup/Getty Images)
Va detto che l’idea di rimpatriare cittadini siriani non è sostenuta in modo unanime dentro la CDU. Dopo aver visitato la Siria, a novembre, il ministro degli Esteri Johann Wadephul ha detto che al momento non ci sono le condizioni per poterci «vivere dignitosamente». Lo stesso ministero degli Esteri la considera un paese pericoloso e sconsiglia ai turisti di visitarla.
I siriani che si trovano in Germania e a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati, invece, non potrebbero in alcun modo tornare in Siria. Il governo tedesco non glielo permette: l’idea è che se ti è stato riconosciuto l’asilo, è perché le condizioni nel tuo paese d’origine sono estremamente pericolose. Questo complica ancora di più la scelta per molti siriani che non hanno modo di verificare di persona come sia la situazione e devono accontentarsi delle informazioni che riescono a ottenere a distanza, attraverso i giornali oppure da parenti e amici.

Una delle vie del centro storico di Damasco, in Siria, a ottobre del 2025 (AP/Hussein Malla)
In Siria dopo la caduta di Assad il potere è stato preso da Ahmed al Sharaa, un ex miliziano islamista che aveva collaborato con i gruppi terroristi dello Stato Islamico e di Al Qaida. Al Sharaa sta provando a modificare la propria immagine, per apparire come un leader più moderato. Molti però non si fidano di lui, sostenendo che rappresenti gli interessi di solo una parte della popolazione: quella dei musulmani sunniti, cioè la maggioranza degli abitanti della Siria.
Molti siriani in Germania appartengono però a minoranze come quella drusa, cristiana o alawita. Per loro tornare in Siria significherebbe affrontare una situazione potenzialmente pericolosa, dice Ali Abboud, alawita originario di Latakia, nell’ovest del paese. Abboud ha 43 anni, è un dottore e cittadino tedesco. È sposato e ha quattro figli. «La situazione in Siria era già brutta prima, ora però è pessima», spiega. Bashar al Assad era alawita e ha governato a lungo circondandosi di funzionari e collaboratori alawiti: per questo alcuni di loro lo rimpiangono, più o meno apertamente, e con lui si sentivano più al sicuro. Da quando è caduto il regime di Assad la comunità alawita è soggetta a molte violenze: venerdì 26 dicembre una bomba è esplosa in una moschea alawita di Homs, uccidendo 8 persone.

Ahmad al Sharaa (AP/Stephanie Lecocq)
A prescindere da quello che sarà della Siria, molti tedeschi pensano semplicemente che i profughi siriani debbano tornare nel loro paese. Secondo un recente sondaggio il 52 per cento dei tedeschi è favorevole a espellere in Siria i siriani che non considerano bene integrati. Un ulteriore 25 per cento pensa che dovrebbero essere riportati in Siria tutti i siriani, indipendentemente da cosa abbiano fatto negli ultimi dieci anni.
Diversi studi hanno dimostrato che la grande maggioranza dei siriani in Germania lavora e non dipende da sussidi (anche se il tasso di occupazione è più alto tra gli uomini che tra le donne): non pesa, cioè, sullo stato tedesco. Diversi di loro anzi oggi lavorano in settori cruciali dell’economia tedesca, come la sanità.
Oggi sono circa 6mila i medici siriani che lavorano in Germania. La sanità tedesca, come quella di tanti altri paesi europei, soffre di una carenza cronica di manodopera: i tanti stranieri che ci lavorano sono necessari affinché funzioni bene, specialmente nelle regioni più periferiche e povere nell’est del paese.
La certezza di un lavoro a lungo termine è uno dei fattori che spingono molti siriani a rimanere. Negli anni poi molti di loro hanno deciso di avere una famiglia, i bambini sono nati in Germania e non hanno mai conosciuto altri paesi. Sono tutti fattori che complicano l’idea di ritornare in Siria.

Migliaia di siriani a Berlino durante i festeggiamenti per la caduta di Assad, l’8 dicembre 2024 (Getty Images/Omer Messinger)
Molti esperti ritengono assai improbabile, poi, che il governo decida davvero di rimpatriare un numero significativo di siriani in futuro: non solo per ragioni economiche.
Secondo Jan Schneider, un esperto di migrazione che lavora per il Consiglio di esperti sull’Integrazione e sulla Migrazione di Berlino, le decisioni di non estendere il diritto d’asilo andrebbero prese singolarmente, caso per caso, e questo comporterebbe una mole di lavoro enorme per le autorità tedesche. «Si tratterebbe di un immenso fardello amministrativo», spiega Schneider, «non è una cosa che le autorità tedesche potrebbero semplicemente fare in un paio d’anni».
Se il governo deciderà di rimpatriare dei siriani in futuro, prosegue Schneider, la decisione riguarderà una piccola minoranza: quelli che non hanno ancora ottenuto un permesso di residenza permanente e che hanno precedenti penali o sono dipendenti dai sussidi statali. Martedì 23 dicembre il governo ha rimpatriato in Siria il primo cittadino siriano dal 2011, un uomo che era stato giudicato colpevole di furto aggravato.
Si tratta comunque di distinzioni che non emergono dalle dichiarazioni del governo, che spesso sono volutamente generiche in modo da accomodare le posizioni delle persone più scettiche nei confronti dell’integrazione. In questo modo però si rischia di ottenere un effetto opposto, cioè di alienarsi i siriani che si sono perfettamente integrati.
Niklas Harder, un esperto del Centro per la ricerca sull’integrazione e sulla migrazione, dice: «in Germania c’è sempre stata una promessa di fondo da parte del governo, cioè che se vieni qui come straniero, se lavori duro, se impari la lingua, sei il benvenuto e puoi rimanere», dice Harder. «Il tipo di retorica che il governo sta usando ultimamente è problematico, perché rafforza l’impressione che non sia vero». O perlomeno, che non lo sia per tutti.



