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  • Domenica 28 dicembre 2025

Le prime elezioni in Myanmar dopo il colpo di stato sono tutt’altro che democratiche

Si vota solo nelle aree controllate dalla giunta militare e solo per i partiti approvati dalla giunta militare

Un seggio a Yangon, sulla costa sudest del Myanmar, 28 dicembre 2025 (Lauren DeCicca/Getty Images)
Un seggio a Yangon, sulla costa sudest del Myanmar, 28 dicembre 2025 (Lauren DeCicca/Getty Images)
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Oggi in Myanmar ci sono le elezioni, le prime dal colpo di stato del 2021. Dato che la giunta militare che governa da allora ha fortemente limitato la partecipazione delle opposizioni e la possibilità di fare una vera campagna elettorale, ci si aspetta che il voto servirà di fatto a legittimare il governo di Min Aung Hlaing. Inoltre le elezioni riguardano meno della metà del paese, quella controllata dai militari; il resto del Myanmar è sotto controllo dei gruppi armati della resistenza, che combattono una guerra civile contro l’esercito: lì le elezioni non ci saranno, e quindi buona parte della popolazione ne resterà esclusa.

Per queste ragioni il governo di unità nazionale in esilio, che guida la lotta armata dall’estero, ha invitato a boicottare il voto. Lo stesso hanno fatto i capi della Lega nazionale per la Democrazia, il principale partito di opposizione e anche quello che vinse le ultime elezioni democratiche prima del golpe, a cui è stato impedito di partecipare: molti di loro peraltro, tra cui anche l’ex capa del governo deposto Aung San Suu Kyi, sono tuttora agli arresti. Altri 40 partiti sono stati sciolti prima delle elezioni su decisione della giunta.

Un altro strumento usato per silenziare le opposizioni è stata una legge approvata a luglio di quest’anno, ufficialmente per garantire lo svolgimento sicuro del voto ma di fatto un modo per limitare il dissenso. La legge ha reso illegale contestare il processo elettorale e organizzare proteste online e offline. Da luglio a dicembre ha portato all’arresto di 229 persone, che rischiano pene dai tre anni alla pena di morte.

Secondo l’Asian Network for Free Election, un’organizzazione che alle elezioni del 2015 e del 2020 fu osservatrice accreditata del voto, in questi mesi è stata usata per arrestare giovani attivisti, giornalisti e persone che hanno espresso posizioni critiche sui social contro la giunta.

L’attesa quindi è che vinca il Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, l’unico sostenuto dalla giunta militare (che alle elezioni del 2020 subì una sconfitta rovinosa). Quest’anno gli osservatori internazionali accreditati dalla giunta arrivano dalla Cina (tra i pochi paesi alleati dei militari, che per il resto sono isolati sul piano internazionale), dalla Russia, dall’India e dal Vietnam. Per i giornalisti stranieri è difficile entrare.

Gli Stati Uniti sono l’unico tra i governi occidentali a non aver criticato apertamente il voto e la giunta, anzi: un mese fa il presidente Donald Trump ha revocato la protezione internazionale ai cittadini birmani, sostenendo che nel paese fosse tornata la pace e che le elezioni fossero una dimostrazione del progresso di questi anni. Il Myanmar è un paese ricco di terre rare, risorsa molto ricercata che si è dimostrata centrale per interpretare molte delle scelte in politica estera dell’amministrazione Trump.

Quello di domenica, comunque, è soltanto il primo turno: il secondo è previsto l’11 gennaio e il terzo il 25. I risultati dovrebbero essere annunciati a febbraio.

Nel frattempo nel paese continuano gli scontri. Soltanto nelle settimane che hanno preceduto le elezioni la giunta militare ha bombardato una manifestazione a Chaung-U, un negozio di tè a Tabayin e un ospedale a Mrauk-U. Sono stati uccisi rispettivamente 27, 18 e 34 civili.

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