Alberto Tomba prima e dopo le sue vittorie
Come divenne prima uno sciatore e poi una star in grado di fermare l’Italia; e come mai ora ha scelto di stare in disparte

Il 16 dicembre del 1985, a Madonna di Campiglio, Alberto Tomba fece la sua prima gara in Coppa del Mondo di sci, e non fu niente di che. Uscì alla seconda manche e, seppur avesse ottenuto qualche buon risultato a livello giovanile, attorno a lui non c’erano comunque particolari attese. Ci vollero quasi due anni prima della sua prima vittoria e tra il 1987 e il 1998 ne arrivarono in tutto 50, più tre ori olimpici e due mondiali. E prima che diventasse uno dei personaggi più noti dell’Italia di quel decennio.
Ma ancor più che per la quantità di vittorie – che lo rendono comunque uno degli sciatori più vincenti di sempre – nel suo caso fu una questione di qualità e capacità di attirare l’attenzione, non solo sciando. Tomba divenne uno degli sportivi italiani più famosi di sempre, e una star ben oltre lo sport. Fu presentato come «un ufo piombato sul pianeta sci», fece fermare il Festival di Sanremo e raggiunse livelli di popolarità pari a quelli di Valentino Rossi, Marco Pantani e, già ora, Jannik Sinner.
Poi, dopo aver provato senza successo (e con molte critiche) a fare l’attore, è uscito dagli schermi. È da poco uscita una sua autobiografia e continua a bazzicare il mondo dello sci, ma niente di paragonabile a quello che fu per il decennio abbondante di fine secolo scorso, in cui raggiunse una fama che fu paragonata a quella di Silvio Berlusconi.

Alberto Tomba dopo la vittoria nello slalom gigante alle Olimpiadi invernali del 1992 (Marc Francotte/TempSport/Corbis via Getty Images)
Tomba è nato e cresciuto a Castel de’ Britti, frazione di San Lazzaro di Savena, poco fuori Bologna: un posto di collina vicino agli Appennini, non il luogo da cui ci si aspetterebbe di vedere sbucare un grande sciatore. Allo sci arrivò dopo aver provato diversi altri sport. Il padre era amico di Roberto Siorpaes, un ex sciatore di Cortina, che quando Tomba aveva «quattro o cinque anni» gli insegnò a sciare. Tomba sciò in parte a Cortina, dove la sua famiglia aveva una seconda casa, e in parte vicino a Bologna: ha raccontato che nelle prime gare vinceva sugli Appennini, ma quasi mai sulle Alpi. Da adolescente salì di livello dalla squadra C2 della nazionale di sci alpino fino alla B, la seconda per importanza.
La prima volta che iniziò a farsi notare oltre allo stretto giro di addetti ai lavori fu nel dicembre del 1984, in una gara di sci alpino sul Monte Stella di Milano. Era il Parallelo di Natale, una gara di slalom con due atleti per volta che si sfidavano lungo due piste affiancate su una montagnetta artificiale, ricoperta di neve portata lì dalla Valtellina.
Era un’esibizione fatta per portare lo sci a Milano e cercare di recuperare il seguito che dopo gli anni della “Valanga Azzurra” stava scemando. Da aspirante sciatore a tempo pieno e studente privatista al quinto anno di ragioneria, Tomba vinse contro tutti i più forti italiani. Il giorno seguente la Gazzetta dello Sport titolò “Un azzurro della B beffa i grandi del parallelo” il suo articolo sulla gara. Un azzurro della B perché il cognome “Tomba” non sarebbe stato noto a quasi nessun lettore, ma secondo Tomba anche perché non c’era grande voglia, nel parlare di lui, di utilizzare quel cognome funereo.
La Gazzetta scrisse: «In squadra lo chiamano Grease, perché ha una certa passione per la brillantina. È un ragazzo curato, cittadino fino alla radice dei capelli». Un po’ per il cognome, un po’ per le origini non montane (il telecronista Alfredo Pigna lo definì «appenninico cittadino») e molto per i suoi modi spavaldi, Tomba era diverso.
Era un atleta promettente, ma non uno da tutti atteso come un predestinato: all’inizio si notavano carattere e estraneità al contesto dello sci alpino, più che un talento fuori dal comune. La prima volta che si fece davvero notare in Coppa del Mondo fu nel febbraio del 1986, quando partì con il pettorale numero 62 (un ordine di partenza “alto” e destinato agli atleti meno forti, che sciano quindi una pista molto rovinata) e terminò al sesto posto.

Alberto Tomba nel 1989 in Colorado (David Madison/Getty Images)
Alla fine del 1986 arrivò il primo podio, e alla fine del 1987 la prima vittoria: nello slalom speciale di Sestriere. E poi ci furono tutte le altre, con notevole costanza. Gareggiando solo in slalom speciale e slalom gigante (le due specialità più tecniche) tra il 1987 e il 1998 non passò anno senza una sua vittoria. E anche a prescindere dalle vittorie (e dagli 88 podi) Tomba divenne sempre più popolare per come sciava: a tecnica, potenza e agilità aggiungeva un approccio aggressivo, con alta propensione al rischio e quindi grande spettacolarità. Era bello vederlo sciare e c’era una sensazione da tutto-o-niente, la percezione che potesse sia fare l’impresa in rimonta che inforcare e perdere senza nemmeno fare punti.
Il 25 febbraio del 1988, un sabato, il Festival di Sanremo (condotto da Miguel Bosé e Gabriella Carlucci e vinto da Massimo Ranieri con “Perdere l’amore”) fu interrotto durante la finale per seguire – e far seguire al pubblico del teatro Ariston – la seconda manche di Calgary, in Canada, con cui Tomba vinse uno dei suoi tre ori olimpici. In tutto a seguirlo quella sera ci furono circa 24 milioni di telespettatori.
Nel 1995 ottenne quello che è forse il suo successo più significativo: gareggiando – e quindi prendendo punti – solo nelle sue due specialità tecniche vinse la Coppa del Mondo generale di sci. È quasi come essere il miglior tennista al mondo giocando solo sulla terra rossa. L’ultimo italiano a riuscirci era stato, vent’anni prima, Gustav Thöni, che si era ritirato cinque anni prima dell’arrivo di Tomba e che ne divenne poi allenatore e amico.

Alberto Tomba nel 1988 a Calgary, Canada. (David Cannon/Getty Images)
Da sciatore, ma non solo, Tomba fu capace di attirare l’attenzione per le interviste, gli atteggiamenti, le polemiche e i festeggiamenti. Fu esuberante e dirompente, ma anche controverso: secondo una sintesi dell’ex sciatore Paolo De Chiesa, Tomba ebbe «una vita sportiva costellata di episodi non sempre edificanti» ma fu capace di «cristallizzare sé stesso e le sue imprese» nell’immaginario popolare, «diventando un’icona». In altre parole: sbagliò, ma lo ricordiamo soprattutto per altro.
A gennaio del 1995 Leonardo Coen scrisse su Repubblica: «In molte liste, nei rituali conti di quest’ultimo fine anno, Tomba contende a Berlusconi la palma di italiano più famoso all’estero». Dopo essere stato «un ufo piombato sul pianeta sci» (definizione data dall’avvocato, telecronista ed ex sciatore Bruno Gattai), e dopo un decennio abbondante di gare davanti a decine di migliaia di spettatori dal vivo e diversi altri milioni davanti alla tv, nel 1998, a 31 anni, Tomba si ritirò, chiudendo la carriera con una vittoria.
Provò a fare altro, oltre lo sci: recitò in Alex l’ariete, un film del 2000 dove interpreta un carabiniere (quale era stato davvero fino al 1995) incaricato di scortare una donna sospettata di omicidio e interpretata da Michelle Hunzinker. Andò malissimo, e piacque talmente poco da fare il giro e diventare una sorta di culto del trash. Tomba ha raccontato che tra le «innumerevoli proposte per recitare al cinema» quando ancora gareggiava ne aveva ricevuta una da Sylvester Stallone, «ma alla fine non se ne fece niente». E a proposito di Alex l’ariete ha scritto: «sono certo che lo conoscete tutti».
Tomba non ci riprovò né con il cinema né con la tv e, a differenza di quanto si sarebbe potuto pensare, restò abbastanza in disparte, evitando per esempio i tanti reality show che gli furono proposti. Nel 2006 fu testimonial e uno degli ultimi tedofori delle Olimpiadi di Torino. Nel 2023 uscì Vincere in salita, un documentario su di lui ancora disponibile sia su Netflix che su RaiPlay; nel 2025 è uscita la sua autobiografia Lo slalom più lungo. Da qualche anno racconta di praticare soprattutto sci alpinismo (in cui si scia in discesa, ma dopo aver faticato in salita).
Intervistato di recente da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera ha raccontato che produce olio («ma non lo vendo; solo per gli amici»), che detesta i social («infatti non li ho») e ha detto di essere, ed essere sempre stato, «un timido». Nel 2026 compirà sessant’anni.



