I combattimenti fra Thailandia e Cambogia continuano
Nonostante Donald Trump avesse detto che era entrato in vigore un cessate il fuoco

Sabato sono continuati gli scontri al confine tra Thailandia e Cambogia, nonostante poche ore prima il presidente degli Stati Uniti avesse annunciato che, attraverso la sua mediazione, i due paesi si fossero accordati per un cessate il fuoco. Il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul ha detto che il suo esercito non si fermerà finché la Cambogia non ritirerà le sue truppe e non rimuoverà le mine antiuomo che ha posizionato al confine. Il ministero della Difesa cambogiano ha confermato che nella notte degli aerei thailandesi hanno bombardato alcune zone al confine, ma non ha aggiunto altro.
Gli scontri fra i due paesi erano ricominciati lunedì scorso, dopo settimane di tensioni al confine. La Thailandia aveva bombardato la Cambogia sostenendo che l’esercito cambogiano avesse infranto per primo un precedente accordo di cessate il fuoco che durava da fine luglio. Negli ultimi giorni almeno 21 persone sono state uccise e circa 700mila evacuate. Durante la settimana Trump aveva sostenuto di poter fermare gli scontri semplicemente alzando il telefono, e venerdì, dopo aver parlato sia con il primo ministro thailandese Charnvirakul che con quello cambogiano Hun Manet, aveva annunciato sul suo social Truth che i due avevano acconsentito a fermare gli attacchi immediatamente: questo però non è successo.
Thailandia e Cambogia si stanno scontrando da mesi per il controllo di alcune zone contese al confine, che è lungo 820 chilometri e che fu definito per la prima volta nel 1907 dalla Francia, che occupò come potenza coloniale la Cambogia fino al 1953. Oltre agli scontri, i due paesi avevano attivato una serie di misure punitive reciproche in ambito commerciale e ridotto o negato ai rispettivi abitanti la possibilità di entrare. Queste dispute si inseriscono in una rivalità più ampia che ha ragioni storiche e che è fomentata da un diffuso nazionalismo da entrambe le parti.
A luglio, dopo giorni di scontri, i due paesi avevano cominciato a negoziare in Malaysia, con la mediazione del governo locale, per un accordo di cessate il fuoco. A quel punto Trump era intervenuto sostenendo che, se i due paesi non avessero fatto la pace, avrebbe interrotto i negoziati commerciali in corso con entrambi e avrebbe imposto loro pesanti dazi. La Thailandia e la Cambogia sono molto dipendenti dal commercio con gli Stati Uniti e l’intervento di Trump aveva sicuramente avuto un ruolo nel raggiungimento di un accordo. Allo stesso tempo, fu chiaro dopo poco che si trattava di un accordo molto fragile e a inizio dicembre i due paesi avevano ricominciato ad accusarsi di reciproche piccole violazioni, fino alla ripresa dei combattimenti di questa settimana.
Trump, che si vanta di essere un grande mediatore e di aver fatto finire diverse guerre da quando è tornato in carica (anche se non è proprio così), aveva reagito alla notizia dei nuovi scontri in modo piuttosto seccato. Martedì, il giorno dopo la ripresa dei combattimenti, aveva detto: «Mi pesa dirlo, ma Cambogia e Thailandia hanno ricominciato oggi [in realtà era il giorno prima, ndr], e domani dovrò fare una telefonata». Ha poi aggiunto: «Chissà, magari farò una telefonata e fermerò la guerra tra due paesi molto importanti?».
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