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  • Venerdì 21 novembre 2025

L’avvincente romanzo sulla maschilità che sta piacendo alla critica di mezzo mondo

Lo ha scritto David Szalay e ha vinto il Booker Prize: racconta attraverso il suo protagonista un modello di uomo succube e tormentato

La copertina del libro “Nella carne” edito da Adelphi
La copertina del libro “Nella carne” edito da Adelphi
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Da diverse settimane giornali, riviste e siti di critica letteraria internazionale dedicano più spazio del solito al libro vincitore del Booker Prize, il più famoso e influente premio letterario del Regno Unito. Lo ha scritto in inglese l’autore ungherese David Szalay e si intitola Nella carne (in Italia pubblicato da Adelphi e tradotto da Anna Rusconi). Aveva ricevuto estesi apprezzamenti e attenzioni già prima del premio, per la qualità della prosa, per quanto è avvincente e soprattutto per un altro motivo: racconta attraverso la storia di un uomo, singolare ma nemmeno tanto, un modello di maschilità succube e tormentata, familiare a molte persone.

È la storia di un ragazzo ungherese di origini modeste, István, che diventa un uomo attraverso varie esperienze sessuali, di violenza e di solitudine. Alcune lo segnano profondamente, senza che lui ne abbia grande consapevolezza o responsabilità, e influenzano il resto della sua vita e il suo rapporto con il mondo: le cose gli succedono, ma come succede la pioggia. Non è guidato da particolari ambizioni né ideali morali, ma solo da un desiderio sessuale e da un senso del dovere che cerca di contemperare alla meno peggio, con estrema accondiscendenza e senza farsi tante domande.

Sia per i temi che affronta sia per il periodo in cui è ambientato (dagli anni Ottanta al presente) è un romanzo contemporaneo, del tipo in cui gli eventi influenzano i personaggi più di quanto i personaggi influenzino gli eventi. Sta in quella categoria che la critica letteraria Molly Young, suggerendo la lettura del libro a giugno, definì sul New York Times «romanzi sui modi in cui la storia agisce su una persona comune». E il contesto storico, in questo caso, è la globalizzazione, l’ingresso dell’Ungheria nell’Unione Europea, le divisioni culturali ed economiche in Europa, l’emigrazione, i social media, la pandemia.

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Szalay (si pronuncia “Sol-oy”) è nato nel 1974 a Montréal, da madre canadese e padre ungherese, ma è cresciuto a Beirut e a Londra, e vive a Vienna. Nella carne non è un romanzo autobiografico, ma descrive in qualche modo esperienze comunque familiari all’autore, dato che il protagonista vive tra Londra e l’Ungheria, senza sentirsi del tutto a casa né in un posto né nell’altro.

Nel 2024, parlando della trama del libro, Szalay aveva detto al New Yorker di avere voluto includere eventi reali perché la vita del protagonista, come quella di chiunque, è «parte di una storia più ampia, con la quale [István] ha un rapporto essenzialmente passivo». E aveva aggiunto di essere interessato al rapporto del singolo essere umano con eventi al di fuori del suo controllo e al modo in cui ciascuno affronta praticamente ed emotivamente il fatto di esserne vittima.

Già un precedente libro di Szalay, Tutto quello che è un uomo, era entrato nella selezione del Booker Prize, nel 2016. Era una raccolta di nove racconti di storie di uomini di diversi paesi europei e diverse età, tra 17 e 73 anni. Nella carne riprende in parte quella prospettiva, ma la concentra su un uomo soltanto. «Non avevamo mai letto niente di simile. È un libro cupo, per molti versi, ma è una gioia leggerlo», ha detto lo scrittore irlandese Roddy Doyle, presidente della giuria e vincitore del premio nel 1993.

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Il libro di Szalay parla anche di altre cose: classi sociali, relazioni familiari fragili, ricchezza e potere. Il motivo principale per cui se ne sta parlando è però il modo in cui racconta la maschilità, un argomento da tempo oggetto di discussioni e trattazioni di vario genere, a volte vaghe e superficiali, altre volte specialistiche e di non immediata comprensione. Lo fa in un modo letterario e non letterale (la parola “mascolinità” compare solo una volta in tutto il libro), ma finisce per chiarire l’argomento più di quanto si prefiggono di fare tentativi espliciti e diretti di spiegarlo.

In parte è il compito della letteratura, che rispetto ad altre forme può assumersi dei rischi estetici, formali e morali, come ha detto lo stesso Szalay dopo aver ricevuto il premio, riferendosi alla possibilità che il protagonista del libro susciti disapprovazione e disprezzo. Parlando con il Telegraph, ha aggiunto che nella prima stesura la parola “mascolinità” compariva molte più volte, ma in quella finale ha quasi del tutto evitato di usarla perché non voleva che sembrasse un’«istruzione scritta» su come leggere il libro.

In tempi recenti era peraltro successo anche con altri prodotti culturali e di intrattenimento, tra cui la serie televisiva Adolescence, che un certo modello di maschilità violenta emergesse come un tema pubblico rilevante. E anche in quel caso, seppure con un approccio più esplicito e meno letterario, successe in modo probabilmente più efficace e comprensibile di quanto succeda quando la mascolinità tossica è un argomento di saggi o di dibattito sui media.

Uno dei punti ricorrenti in quel tipo di discussione, per esempio, è la difficoltà degli uomini ad avere amicizie intime, a comunicare le emozioni che provano o anche solo a verbalizzare le loro esperienze. Nella carne descrive tutto questo senza bisogno di spiegarlo, come un evento quasi inevitabile in una catena di altri eventi: il suo protagonista non ha amici, accetta quasi tutto con una scrollata di spalle, e parla praticamente per monosillabi. Le sue risposte tipiche sono «non è male» e «ok», un ok che assume significati diversi a seconda delle circostanze, ma così frequente da lasciare intendere che se è ok tutto allora forse non è ok niente.

Il successo del libro di Szalay e di altra narrativa recente sulla maschilità non significa che modi non letterari e più giornalistici o accademici di trattare l’argomento siano meno appropriati o non necessari, anzi. È probabile piuttosto che proprio l’attenzione generale a questo tema favorisca approcci più equilibrati e consapevoli alla lettura di quei libri. Come ha detto al Guardian il critico letterario Leo Robson, «forse è più facile in un’epoca in cui si è sviluppato un dibattito abbastanza sano sulla mascolinità e sul comportamento maschile, sostenere qualcuno come David Szalay, che scrive di uomini con uno spirito scettico e indagatore».

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