Il processo per l’omicidio di Giulio Regeni è di nuovo fermo
Deve esprimersi la Corte costituzionale su una questione che riguarda il diritto degli imputati a difendersi

Giovedì il processo per la morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 in Egitto in circostanze mai del tutto chiarite, si è nuovamente bloccato. La Corte d’Assise di Roma, che è il tribunale dove si sta svolgendo il processo, ha deciso di chiedere alla Corte costituzionale (tecnicamente ha sollevato una questione di legittimità costituzionale) se la difesa può commissionare consulenze a spese dello Stato nel caso in cui gli imputati siano irreperibili e quindi incapaci di pagare, garantendo loro il diritto costituzionale a un giusto processo.
Secondo la legge italiana il processo non potrebbe proprio avvenire senza la notifica degli atti processuali agli imputati. Nel caso del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, una sentenza della Corte costituzionale del settembre 2023 aveva invece stabilito che sarebbe potuto cominciare anche se i quattro agenti dei servizi segreti egiziani, imputati per l’omicidio, fossero rimasti irreperibili come lo sono da anni, perché con ogni probabilità sono a conoscenza delle accuse contro di loro. L’Egitto non ha mai fornito all’Italia le informazioni necessarie per rintracciare gli indagati e notificare loro gli atti processuali.
Il processo era cominciato formalmente il 14 ottobre del 2021, ma si era bloccato subito a causa dell’assenza in aula degli imputati. Dopo la sentenza del 2023 della Corte costituzionale il giudice per l’udienza preliminare (gup) di Roma aveva rinviato a giudizio Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Sharif. Il processo era poi ripreso a febbraio del 2024 ed è andato avanti fino a giovedì. I quattro agenti dei servizi sono accusati di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato.
La Corte costituzionale disse che il processo avrebbe comunque dovuto rispettare tutte le altre garanzie previste per gli imputati, soprattutto la tutela del loro diritto costituzionale a difendersi. La Corte d’Assise di Roma sostiene però che proprio questo diritto rischia di non essere rispettato perché la difesa dei quattro imputati non può spendere soldi per i consulenti, e quindi non può commissionare perizie di parte.
Questo problema era emerso quando a settembre il tribunale aveva chiesto una consulenza per la traduzione di alcuni documenti in arabo. In un caso come questo, anche la procura (l’accusa) e gli avvocati difensori possono chiedere le loro perizie di parte. Gli avvocati dei quattro imputati, che sono stati nominati d’ufficio, hanno fatto presente il problema della mancanza di soldi e hanno chiesto che la Corte d’Assise sollevasse la questione alla Corte costituzionale.
La difesa non può richiedere nemmeno il patrocinio gratuito, sempre perché non ha nessun contatto con gli imputati. Il patrocinio gratuito, che sarebbe più corretto chiamare patrocinio a spese dello Stato, fornisce un sostegno economico per pagare le spese di difesa (avvocati, perizie) agli imputati con un basso reddito. Per poterlo richiedere bisogna dimostrare di avere appunto un reddito basso, cosa impossibile da fare con i quattro imputati.
Secondo la procura in questo caso lo Stato può pagare comunque le spese della difesa agli imputati con un meccanismo simile a quello del patrocinio gratuito. Invece la Corte d’Assise di Roma ha assecondato la richiesta degli avvocati difensori, e ha interpellato quindi la Corte costituzionale, che deciderà prima se discutere il caso nel merito (cioè se la questione di legittimità costituzionale è fondata). Nel caso decidesse di non farlo, il processo potrebbe riprendere entro pochi mesi. Altrimenti starà fermo più a lungo.
Giulio Regeni era un dottorando dell’università di Cambridge, nel Regno Unito. Fu ucciso tra fine gennaio e inizio febbraio del 2016 al Cairo, dove si trovava per fare alcune ricerche sui sindacati. Il 25 gennaio di quell’anno fu sequestrato, e il suo corpo venne trovato una settimana dopo in una strada nella periferia del Cairo con molte contusioni, fratture e abrasioni. Tutte le dita delle mani e dei piedi erano rotte, e aveva segni di bruciature di sigarette e coltellate, anche sotto la pianta dei piedi: evidenti segni di tortura. Stabilire in modo dettagliato cosa gli successe però è sempre stato molto complicato.
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