È ricominciato il processo per l’omicidio di Giulio Regeni, nonostante l’ostruzionismo dell’Egitto
Era bloccato per l'impossibilità di notificare gli atti ai quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati, poi risolta da una deroga della Corte Costituzionale
Si è svolta martedì mattina alla Corte d’Assise di Roma la prima udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 in Egitto in circostanze mai del tutto chiarite. La prossima udienza è stata fissata per il 18 marzo: i giudici dovranno decidere in merito ad alcune richieste presentate dalla difesa, che vorrebbe annullare il procedimento.
Le indagini vanno avanti da anni, ma le procedure erano rimaste a lungo bloccate a causa dell’ostruzionismo da parte delle autorità egiziane, che avevano cercato di depistare le indagini e non avevano mai fornito all’Italia le informazioni necessarie per rintracciare gli indagati e notificare loro gli atti processuali.
La situazione si era infine sbloccata lo scorso dicembre, quando il giudice per l’udienza preliminare (gup) di Roma aveva rinviato a giudizio quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati dell’omicidio di Regeni, anche senza una notifica diretta degli atti processuali. Si è così potuto procedere con il dibattimento in aula, che comincia oggi. Gli imputati sono Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Sharif. Sono accusati di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato.
Il rinvio a giudizio era stato permesso da una sentenza della Corte Costituzionale, che a settembre aveva deciso che il processo sarebbe potuto cominciare anche se gli imputati fossero rimasti irreperibili: fu una grossa deroga, dato che secondo la legge italiana il processo non può avvenire senza la notifica degli atti processuali agli imputati. Da tempo però le autorità egiziane si rifiutavano di dare all’Italia le informazioni necessarie per contattare i quattro agenti indagati, impedendo l’inizio del processo. La Corte Costituzionale di fatto ha stabilito che con ogni probabilità i quattro imputati siano a conoscenza delle accuse a loro carico, anche se irreperibili.
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Giulio Regeni era un dottorando dell’università di Cambridge, nel Regno Unito. Fu ucciso tra fine gennaio e inizio febbraio del 2016 al Cairo, dove si trovava per fare alcune ricerche sui sindacati. Il 25 gennaio di quell’anno fu sequestrato, e il suo corpo venne trovato una settimana dopo in una strada nella periferia del Cairo con molte contusioni, fratture e abrasioni. Tutte le dita delle mani e dei piedi erano rotte, e aveva segni di bruciature di sigarette e coltellate, anche sotto la pianta dei piedi: evidenti segni di tortura. Stabilire in modo dettagliato cosa gli successe però è sempre stato molto complicato.
Fin da subito si pensò che Regeni fosse stato ucciso per motivi politici, a causa del suo lavoro di ricerca sui sindacati e sui diritti dei lavoratori. L’Egitto è un paese non democratico, dove il generale Abdel Fattah al Sisi governa in maniera autoritaria e dove tutte le attività associative che non sono sotto il controllo dello Stato sono sorvegliate e viste con sospetto, compresi i sindacati.
Le autorità egiziane, e soprattutto i servizi segreti, negarono però qualsiasi coinvolgimento. Citarono varie versioni per spiegare la morte di Regeni: parlarono prima di un incidente stradale, poi di un omicidio avvenuto nell’ambito di una relazione omosessuale e anche di un regolamento di conti tra trafficanti di droga. Tutte queste ricostruzioni furono smentite dalle successive indagini, nonostante i molti tentativi di depistaggio delle autorità egiziane, alcuni clamorosi.
L’ostruzionismo del governo egiziano continuò per anni ed ebbe conseguenze anche sui rapporti diplomatici del paese con l’Italia, tanto che nel 2016 il governo di Matteo Renzi decise di richiamare l’ambasciatore italiano in Egitto (nel 2017 il governo di Paolo Gentiloni ne nominò uno nuovo). Nel 2020, infine, la procura di Roma chiuse l’inchiesta e decise di rinviare a giudizio quattro agenti dei servizi segreti civili egiziani. I magistrati egiziani annunciarono che non avrebbero collaborato e si rifiutarono di fornire all’Italia molte informazioni necessarie per confermare le accuse e verificare alcune testimonianze, e anche i contatti degli agenti incriminati.
Il processo cominciò formalmente il 14 ottobre del 2021, ma si bloccò subito a causa dell’assenza in aula degli imputati e della mancata notifica degli atti processuali. La situazione si è poi sbloccata a dicembre del 2023 con l’intervento della Corte Costituzionale.