• Italia
  • Mercoledì 27 settembre 2023

Gli agenti egiziani accusati dell’uccisione di Giulio Regeni potranno essere processati

La Corte costituzionale ha deciso che il processo può iniziare anche se gli imputati sono irreperibili

(ANSA/MARCO MAFFETTONE)
(ANSA/MARCO MAFFETTONE)
Caricamento player

La Corte costituzionale ha deciso che il processo ai quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni può cominciare anche se gli imputati sono irreperibili. Le autorità del Cairo non hanno mai fornito a quelle italiane le informazioni necessarie per rintracciarli e il processo era bloccato da tempo all’udienza preliminare, perché per la legge senza la notifica degli atti processuali agli imputati il processo non può avvenire. Ora la Corte costituzionale ha stabilito che l’articolo del codice di procedura penale che prevede questa regola non si applica al caso dell’omicidio del ricercatore italiano, data la mancata assistenza dello Stato di appartenenza degli imputati.

La decisione è stata comunicata con una nota e nelle prossime settimane sarà depositata ufficialmente la sentenza.

Nel maggio del 2021 per l’uccisione di Regeni vennero rinviati a giudizio quattro ufficiali dei servizi egiziani, il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Sharif. I reati contestati sono sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio. A fine 2020 l’Egitto aveva fatto sapere che non avrebbe collaborato con l’Italia nel processo.

Giulio Regeni fu sequestrato al Cairo il 25 gennaio 2016. Da allora è sempre stato molto complicato ottenere informazioni su quello che realmente accadde, sia per le autorità italiane sia per la famiglia di Regeni. Il suo corpo venne trovato una settimana dopo in una strada alla periferia della capitale egiziana, pieno di abrasioni e contusioni e con varie fratture, anche a tutte le dita delle mani e dei piedi. Aveva inoltre molti segni di bruciature di sigarette e di coltellate, anche sotto la pianta dei piedi.

Le autorità egiziane parlarono prima di un incidente stradale, poi di un omicidio avvenuto nel corso di una relazione omosessuale e infine di un regolamento di conti tra trafficanti di droga. Il 24 marzo 2016, durante una sparatoria, la polizia egiziana uccise quattro uomini che secondo la polizia stessa erano gli assassini di Regeni, appartenenti a una banda specializzata nel rapimento di stranieri. Sul luogo venne trovata anche una borsa con dentro oggetti di proprietà di Regeni. Tuttavia in seguito fu la stessa procura del Cairo a escludere che si trattasse degli assassini del ricercatore: dai tabulati telefonici risultava che uno di loro fosse a 100 chilometri dal Cairo nei giorni della scomparsa di Regeni.

Secondo la procura di Roma il depistaggio della borsa e della sparatoria fu inscenato dai servizi segreti egiziani. E sempre secondo la procura Regeni, che si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati di base egiziani per conto dell’Università di Cambridge, venne torturato e ucciso perché ritenuto una spia. A denunciarlo sarebbe stato Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti, che Regeni aveva incontrato per una ricerca. Abdallah avrebbe denunciato il ricercatore italiano alla polizia di Giza, una città a circa 20 chilometri dal Cairo, il 6 gennaio, seguendolo poi fino al 22 gennaio, tre giorni prima della scomparsa, e comunicando alla polizia tutti i movimenti del ricercatore.

Prima della decisione della Corte costituzionale sia la Corte d’assise di Roma che la Corte di cassazione avevano affermato che senza la notifica agli imputati il processo non potesse svolgersi.