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  • Martedì 21 ottobre 2025

Uno dei peggiori disastri ecologici dell’ultimo secolo

Interamente causato dagli esseri umani: dove prima c'era l'enorme lago d'Aral, in Asia centrale, oggi c'è quasi solo deserto

di Valerio Clari

Il cosiddetto "Cimitero delle barche" fuori dal museo del lago d'Aral, Muynak, 22 settembre 2025
(Valerio Clari/il Post)
Il cosiddetto "Cimitero delle barche" fuori dal museo del lago d'Aral, Muynak, 22 settembre 2025 (Valerio Clari/il Post)
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Il prosciugamento del lago d’Aral, fra Uzbekistan e Kazakistan, è uno dei peggiori disastri ecologici dell’ultimo secolo: è un esempio di “collasso di un ecosistema” ed è la versione reale di scenari da film distopico di fantascienza. È stato causato interamente dall’uomo a partire dagli anni Sessanta, e in particolare dalle scelte politiche dell’Unione Sovietica, di cui l’Uzbekistan faceva parte fino al 1991.

Dove prima si vedevano un’enorme distesa di acqua e le navi partire per pescare il pesce che poi veniva pulito, tagliato e inscatolato nelle fabbriche sovietiche, oggi c’è solo deserto. La differenza tra allora e oggi, incredibile se si pensa che la trasformazione è avvenuta in meno di settant’anni, è raccontata nel museo di Muynak, città che prima si trovava sul bordo del lago: oggi, ad affacciarsi dal piazzale antistante, si vede solo deserto e qualche relitto di barca che ricorda i tempi passati.

Uno dei relitti delle barche da pesca, vicino all’ex porto di Muynak (Valerio Clari/il Post)

L’ex letto del lago, ora deserto di Aralkum (Valerio Clari/il Post)

Fino agli anni Sessanta il lago d’Aral era il quarto più grande al mondo, con una superficie di 68mila chilometri quadrati, quanto Piemonte, Lombardia e Veneto messi insieme. Erano più grossi solo il mar Caspio, il lago Superiore (fra Canada e Stati Uniti) e il lago Vittoria (tra Kenya, Tanzania e Uganda). Da allora a oggi il lago si è ridotto a un decimo di quello che era, diviso in vari bacini isolati. Tutto il resto è diventato il deserto di Aralkum, caratterizzato da un terreno che ha un suo nome specifico, takyr (in russo такыр, dal turco “piatto, nudo”). È coperto da sale, piccole piante adatte ai terreni salini e qualche residuo di sostanze tossiche.

Per seguire le piste che usano i fuoristrada ci vuole un occhio esperto, decine di chilometri di terra piatta e vuota sembrano non finire mai, prima di arrivare a un’area con un canyon, formatosi in un tempo in cui l’acqua scorreva verso il lago.

La zona dei canyon, al limite occidentale dell’ex lago (Valerio Clari/il Post)

Prima il lago veniva alimentato da due fra i maggiori fiumi dell’Asia centrale, l’Amu Darya a sud e il Syr Darya nel nord, che hanno origine rispettivamente nell’attuale Tagikistan e in Cina, e che scorrono attraversando sei paesi.

Dal lago d’Aral arrivava molto del pesce consumato in Unione Sovietica. Muynak aveva 60mila abitanti ed era anche un luogo di villeggiatura, come ancora oggi testimoniano i molti cartelli e i monumenti arrugginiti che annunciano la città già a decine di chilometri di distanza. Il lago rendeva più temperato il clima ed era una destinazione appetibile per i russi benestanti.

Uno dei cartelli che annunciano Muynak (Martijn Munneke from Netherlands, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons)

Poi però arrivò il cotone. Dopo la Seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica ritenne la produzione di cotone centrale e prioritaria: fibre e semi venivano utilizzati non solo per abbigliamento e tele, ma anche per oli alimentari, mangimi per bestiame, fertilizzanti, carta e plastica. C’era anche un uso militare: il cotone veniva usato per i cosiddetti “propellenti solidi a doppia base”, combustibili per razzi e missili.

Le quantità di cotone che secondo il governo centrale bisognava produrre aumentarono. Le steppe di Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan (tre delle repubbliche dell’Asia centrale che facevano parte dell’URSS) vennero individuate come zone di sviluppo.

Per farlo, bisognava irrigare terreni aridi e non adatti alla coltivazione. Il dittatore sovietico Iosif Stalin avviò un grande piano di opere ingegneristiche che seguivano il principio della «natura che si piega ai voleri dell’uomo». Dopo la sua morte, nel 1953, alcuni dei progetti furono cancellati ma il successore Nikita Krusciov portò avanti il programma di riconversione agricola di grandi parti dell’Uzbekistan.

Molti affluenti dei fiumi Amu Darya e Syr Darya vennero deviati e canalizzati verso le nuove coltivazioni di cotone. Il prelievo di acque per l’agricoltura dai due fiumi principali, anch’essi parzialmente deviati, raddoppiò. In vent’anni lo sviluppo dell’irrigazione aumentò le superfici dei campi (da 45mila chilometri quadrati a 70mila), il numero di persone impiegate nell’agricoltura e gli stessi abitanti dell’Uzbekistan (da meno di 10 milioni a 16).

Il paese divenne un’enorme monocoltura, il maggior produttore sovietico di cotone e il quarto al mondo (è grande una volta e mezza l’Italia): più dell’80 per cento delle comuni agricole produceva solo cotone. Le richieste continue di aumentare la produzione portarono a sperimentazioni e uso intensivo di fertilizzanti, pesticidi, defolianti ed erbicidi, mentre per la raccolta si fece ricorso al lavoro forzato di tutta la popolazione, compreso chi aveva altri impieghi e i minori (il lavoro forzato nei campi di cotone è stato abolito davvero solo nel 2022).

Gli effetti sul lago d’Aral furono visibili sin dagli anni Sessanta, con una riduzione costante del volume del lago. Le opere ingegneristiche che avevano ridotto o azzerato (nel caso dell’Amu Darya) l’afflusso di acqua dolce nel lago non erano però reversibili, se non a costo di compromettere la produzione del cotone.

L’URSS decise di ignorare il problema, o di cercare soluzioni creative, come la realizzazione di un canale che avrebbe portato le acque dai fiumi siberiani fino al lago: 2.550 chilometri, 130-300 metri di larghezza, 12-15 metri di profondità. Del progetto futuristico si parlò per decenni, la sua realizzazione fu sempre rimandata e poi abbandonata.

The Shrinking of the Aral Sea: 1986-2023
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Nei decenni successivi e fino a oggi la situazione è rimasta di fatto la stessa, con l’Amu Darya che non sfocia più nel lago ma si disperde prima e il Syr Darya che ha una portata molto minore: il lago si è prima spezzato in due parti, settentrionale e meridionale, poi la seconda in altre due, ovest ed est, di cui oggi resta solo la prima (quella orientale si è prosciugata).

Già a partire dagli anni Sessanta la riduzione dell’afflusso di acqua dolce aveva aumentato la salinità rendendo impossibile la vita dei pesci, che erano scomparsi dal lago. Nel tempo la sostituzione di aree paludose con zone desertiche cancellò flora e fauna. La pesca professionale finì definitivamente nel 1982, distruggendo l’intera economia locale. Senza il lago cambiò anche il clima, con inverni più rigidi e lunghi, ma senza neve, e con estati più calde.

Una delle foto degli anni Cinquanta presenti al museo del lago d’Aral, Muynak, 22 settembre 2025 (Valerio Clari/il Post)

Sul fondale dell’ex lago rimasero sale e residui di pesticidi e altri materiali inquinanti scaricati nei fiumi: i forti venti (ci sono 90 giorni l’anno di tempeste di sabbia) li sollevavano e li portavano anche a centinaia di chilometri di distanza. I campi a sud del lago non furono più coltivabili, le persone iniziarono ad ammalarsi e fino agli anni Novanta mortalità infantile e incidenza di malattie croniche furono altissime.

Dagli anni Trenta l’Unione Sovietica aveva inoltre creato sull’isola di Vozroždenie, in mezzo al lago (in un’area oggi divisa fra Uzbekistan e Kazakistan), una struttura militare con laboratori per test di armi e guerra biologica. Fu abbandonata nel 1991, con la dissoluzione dell’URSS, senza opere di bonifica. In seguito al ritirarsi delle acque l’isola divenne collegata alla terraferma: nel 2002 una missione finanziata dagli Stati Uniti procedette a eliminare fra 100 e 200 tonnellate di antrace.

Oggi i dati sanitari nell’area sono in miglioramento e l’emergenza sembra superata, ma la regione del lago d’Aral, la repubblica autonoma del Karakalpakstan, resta la più povera dell’Uzbekistan.

I tentativi di salvare il lago in Uzbekistan sono stati abbandonati. A nord, nell’area dove il lago è in territorio kazako, è stata costruita una diga, salvando una porzione ridotta del bacino, alimentato dal Syr Darya: nel nuovo lago più piccolo sono state reintrodotte varie specie di pesci ed è ripartita anche la pesca.

La sponda occidentale del lago d’Aral, da cui le acque si ritirano di alcune decine di metri l’anno, 23 settembre 2025 (Valerio Clari/il Post)

Turisti osservano l’alba dall’accampamento sulla sponda del lago d’Aral, 23 settembre 2025 (Valerio Clari/il Post)

A sud, in Uzbekistan, le acque invece si ritirano di alcune decine di metri l’anno. Sulle sue rive una spiaggia piuttosto fangosa oggi ospita un paio di accampamenti di yurta, tende destinate ai turisti, e un molo che dà sulle acque molto salate del lago: per utilizzarlo sono richiesti due dollari, da infilare in una cassetta delle lettere.

Si arriva lì con un viaggio di mezza giornata su jeep da Muynak, che oggi ha meno di 15mila abitanti, pur essendo l’unico vero centro dell’area. Le gite per i turisti sono l’unico business in crescita, ma anche queste hanno una data di scadenza: tempo dieci-vent’anni potrebbe non esserci più nessun resto del lago da mostrare.

– Leggi anche: Avere il deserto al posto di un lago