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  • Giovedì 16 ottobre 2025

È stato trovato un modo con cui “Libera” può accedere al suicidio assistito

È una donna paralizzata dal collo in giù, al centro di un caso medico e giudiziario senza precedenti in Italia

Filomena Gallo, avvocata che segue il caso di Libera, Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, e altri attivisti, il 15 luglio 2025
(ANSA/ UFFICIO STAMPA ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI)
Filomena Gallo, avvocata che segue il caso di Libera, Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, e altri attivisti, il 15 luglio 2025 (ANSA/ UFFICIO STAMPA ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI)
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È stato trovato un macchinario che permette a una persona paralizzata dal collo in giù di somministrarsi autonomamente un farmaco letale per morire: è uno sviluppo importante nel caso della donna conosciuta come “Libera” (il nome è di fantasia), che era stata autorizzata ad accedere al suicidio assistito ma non poteva farlo perché finora non era stato individuato uno strumento che glielo consentisse. Mercoledì il tribunale di Firenze, che segue il caso, ha ordinato all’azienda sanitaria locale di dare a Libera e al suo medico questo strumento e il farmaco letale entro 15 giorni, in modo da permetterle di morire: sarebbe il primo suicidio assistito con queste modalità in Italia.

Pochi giorni fa il ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità e il Consiglio superiore di sanità avevano detto che attualmente in Italia non esistevano strumenti per permettere a Libera di morire. Martedì però l’ESTAR (Ente di supporto tecnico-amministrativo regionale) ne ha individuato uno idoneo, che in pratica collega un puntatore oculare a una pompa che inietta il farmaco nelle vene della persona. Adesso dovranno essere fatti gli ultimi controlli per verificare che il macchinario funzioni in questo caso, e per spiegare a Libera come usarlo.

Libera ha 55 anni ed è affetta da sclerosi multipla dal 2007: è completamente paralizzata dal collo in giù, e non può muovere nessuno dei suoi arti. L’anno scorso aveva chiesto di ricorrere al suicidio assistito, che in Italia è legale in certi casi grazie a una sentenza della Corte costituzionale del 2019, e la sua richiesta era poi stata accolta. Le condizioni di Libera corrispondono ai requisiti richiesti per accedervi: è in grado di prendere decisioni libere e consapevoli; è affetta da una patologia irreversibile che è fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ritiene intollerabili (un criterio estremamente soggettivo e individuale); ed è «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale».

Essendo però quasi completamente paralizzata Libera non può assumere da sola il farmaco letale. Aveva quindi chiesto che potesse somministrarglielo un’altra persona, cosa che però in Italia è illegale. Un’azione del genere sarebbe qualificata come “eutanasia” ed è punibile con il carcere dai 6 ai 15 anni.

Il caso di Libera era finito in tribunale a Firenze e poi alla Corte costituzionale, che aveva però ribadito il divieto di eutanasia dicendo che dovevano essere fatte ulteriori ricerche per trovare macchinari che permettessero l’autosomministrazione dei farmaci letali anche a persone paralizzate. Quelli per Libera dovevano essere trovati entro l’8 ottobre, ma per quella data non era stato trovato nessuno strumento adatto.