Un business innovativo e in espansione: le pizzerie
Negli ultimi anni il settore è cambiato, e nonostante i rincari continua a crescere

Nei quartieri di molte città italiane la maggioranza delle pizzerie è ancora come una volta: locali semplici, senza pretese e a conduzione familiare. Allo stesso tempo stanno aumentando però quelle di catena, che esibiscono una maggiore attenzione alla qualità degli ingredienti e alla cura del prodotto. Il cambiamento tra l’altro sta avvenendo in un contesto positivo per il settore: secondo una stima condotta sui dati camerali dagli organizzatori del Campionato Mondiale della Pizza nel 2024 il numero di pizzerie è aumentato del 25 per cento rispetto all’anno precedente, un dato notevole anche considerando che nello stesso periodo il prezzo medio di una pizza è cresciuto.
Il rincaro è legato sia all’aumento dei costi delle materie prime, sia a una maggiore attenzione nella scelta degli ingredienti da parte dei gestori. «È una tendenza che si riscontra anche nelle trattorie», spiega lo storico della gastronomia Luca Cesari. «Si è sempre più attenti a cosa si mangia e c’è una ricerca attiva sulla tipologia di ingredienti utilizzati: questo fa salire i prezzi. Le pizzerie però riescono a gestire meglio gli aumenti perché la domanda resta molto alta».
Molte delle nuove aperture si sono distaccate dal modello “familiare” che ha caratterizzato per decenni il settore. Sempre più locali puntano a finanziamenti da fondi di investimento e alla creazione di catene. Altri si fanno invece ispirare dal mondo dell’alta ristorazione, sperimentando e cercando di fornire un servizio iper-curato.
Una delle prime pizzerie che capirono che si poteva introdurre un modello diverso è stata Berberè, aperta dai fratelli Salvatore e Matteo Aloe nel 2010 a Castel Maggiore, vicino a Bologna. Il ristorante aveva un’estetica molto diversa da quella tradizionale della pizzeria italiana. «I menù delle pizzerie avevano un elenco sterminato di gusti. I ristoranti spesso non avevano nemmeno l’aria condizionata, e comunque non erano curati nei dettagli. Non c’era molta ricerca sulle farine e i lieviti da usare», racconta Salvatore Aloe. L’idea dei due fratelli era di proporre poche pizze con impasti a lunga lievitazione, ingredienti di stagione, birre artigianali e una carta di vini naturali. «Si spendeva un po’ di più, ma almeno la digeribilità era assicurata», dice Aloe.
Negli ultimi anni accanto a Berberè sono cresciute altre catene come Marghe, Pizzium e Cocciuto, che seguono un modello simile, e sono nate con l’idea di intercettare una clientela più esigente. Questi marchi hanno puntato fin da subito all’apertura di più ristoranti, alcuni concentrandosi sulla stessa città, altri replicando il loro modello su scala più ampia.
A Milano, in particolare, l’imprenditore Stefano Saturnino ha avuto un ruolo centrale in questa trasformazione. Saturnino ha una certa esperienza nell’industria della ristorazione: nel 2011 fondò Panini Durini perché pensava che a Milano mancasse un’offerta per la pausa pranzo di fascia intermedia, e seguendo la stessa linea nel 2016 cominciò a investire sulle pizzerie. La prima fu Marghe in via Cadore a Milano, poi Pizzium (che ha 55 punti vendita in Italia) e Giolina. Recentemente Saturnino ha acquisito Crocca, una catena specializzata in pizza bassa e croccante. Le sue pizzerie si somigliano, hanno un arredamento e un’estetica ricercati, la loro comunicazione è spigliata e spinge molto sulla qualità dei prodotti.
L’obiettivo di Saturnino è trasformare le sue pizzerie, come Pizzium, in locali pensati per essere replicabili nelle aree residenziali. Il fenomeno non riguarda però solo le grandi città. Secondo Aloe, il settore ha ancora ampi margini di sviluppo: «In Italia la ristorazione di catena rappresenta solo una parte minoritaria dell’offerta totale, mentre in paesi come la Spagna o il Regno Unito la quota è molto più alta. Lì, se hai un prodotto che funziona e un solo punto vendita, viene considerato strano».
Flavio Briatore, imprenditore assai noto per le sue attività in altri ambiti, ha deciso anche lui di investire nelle pizzerie. Ha fondato il marchio Crazy Pizza, che fa pizze senza lievito ed estremamente sottili. Nonostante la popolarità del settore, Crazy Pizza si rivolge a una clientela ricca, e non a caso sono stati aperti punti vendita a Roma nella zona di via Vittorio Veneto, a Milano vicino a via Moscova, a Monte Carlo, a Londra, a Ibiza e St. Moritz.
Ma se gli esempi raccontati fin qui partivano già con l’idea di replicare i punti vendita, ci sono altri imprenditori del settore che sono arrivati a quel risultato passando per vie diverse. I pizzaioli napoletani più famosi hanno iniziato la loro carriera con piccoli locali a conduzione familiare, e poi il graduale successo li ha convinti a trasformare le pizzerie in catene che generano un business da milioni di euro. Grazie alla riscoperta della pizza napoletana e a una crescente attenzione alle sue varianti – dalla “ruota di carro” alla versione tradizionale, fino a quella più “contemporanea” – pizzaioli come Ciro Salvo di 50 Kalò, Gino Sorbillo, Vincenzo Capuano o Errico Porzio sono riusciti a estendere la loro presenza ben oltre Napoli, anche grazie a una sapiente promozione sui social (su TikTok Porzio ha 1,2 milioni di follower).
Tutti i loro modelli di business sono simili: c’è chi ha optato per il franchising, come Da Michele, Sorbillo ha aperto anche a Tokyo e Miami, Da Michele ha una sede a Dubai. Altri invece hanno aperto sedi proprie autonomamente. «In un contesto dove la ristorazione è sempre stata gestita in modo familiare, loro hanno mostrato capacità imprenditoriali notevoli, aprendo sedi in Italia e all’estero e costruendo un’identità coerente attorno al proprio nome», dice lo storico Luca Cesari.
Un altro esempio è quello di Concettina ai Tre Santi, la storica pizzeria del quartiere Sanità, sempre a Napoli. Fino a pochi anni fa era conosciuta quasi solo dai napoletani, aveva prezzi popolari e il locale aveva dimensioni ridotte. Da allora la pizzeria è cambiata: il locale è stato ampliato, il servizio reso più curato con piatti presentati in modo raffinato. Nel 2023 la famiglia Ruffini, proprietaria del gruppo Moncler, ha acquisito il 47,5 per cento dell’attività. Il primo passo dopo l’acquisizione è stato l’apertura di una nuova sede a Capri, un posto ben diverso per tipo di clientela e ambiente dal primo locale della Sanità.
In generale negli ultimi anni si è sviluppata una cultura della pizza che prima non esisteva. Solo di recente è diventata oggetto di studio e sperimentazione grazie anche a chef e pizzaioli che l’hanno trasformata e innovata. Anche per questo, accanto all’idea tradizionale della pizza come cibo veloce e senza pretese, che resta maggioritaria, si è sviluppato negli ultimi anni un nuovo modo di concepire le pizzerie: sono diventate un luogo di sperimentazione gastronomica, dove trovare impasti diversi, ingredienti inusuali e contaminazioni con altri tipi di cucina. Tra i primi ristoranti ad aver intrapreso questa strada ci sono I Tigli a Verona e Pepe in Grani, del pizzaiolo casertano Franco Pepe. Sono locali che attirano clienti anche da fuori città.
Un altro esempio è Confine, che si trova a Milano. Venne aperta nel 2019 da due amici: Francesco Capece, che fa il pizzaiolo, e Mario Ventura, che è sommelier. Le sale e l’arredo della pizzeria somigliano a quelle dei ristoranti di lusso, e anche i menù degustazione (dai 55 euro) e l’abbinamento dei singoli piatti con le bevande (dai 40 euro) si rifanno a quel mondo lì.
Ventura dice che il pubblico di questi locali è molto diverso da quello delle pizzerie tradizionali: «Diversi nostri clienti provengono dal mondo del fine dining, non erano soliti frequentare le pizzerie classiche». Allo stesso tempo, aggiunge, «le persone fanno più fatica a digerire le cene troppo strutturate, da 300 o 400 euro, anche chi è abituato ai ristoranti di alto livello. Vogliono un prodotto comfort, accessibile, ma con grande attenzione alla qualità».



