C’è un limite alla selezione delle caratteristiche dei figli?

Negli Stati Uniti alcune aziende promettono di prevederle dall’analisi degli embrioni fecondati, tra molti dubbi scientifici e dilemmi etici

Una scena del film del 1997 Gattaca (Photo12/7e Art/Columbia Pictures)
Una scena del film del 1997 Gattaca (Photo12/7e Art/Columbia Pictures)
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Nel film del 1997 Gattaca la società è composta da due tipi di esseri umani. Ci sono quelli concepiti attraverso rapporti sessuali, e quindi dotati di un corredo genetico casuale a partire dall’unione dei gameti dei genitori. E ci sono quelli concepiti per fecondazione assistita selezionando gli embrioni con i migliori tratti genetici possibili dei genitori, per caratteristiche di salute, fisiche ed estetiche. I concepiti senza selezione sono chiamati “non validi”, o “di gene errato”, e i prescelti sono chiamati “validi”.

Da diversi mesi negli Stati Uniti c’è un interesse crescente ma anche molto scetticismo intorno ad alcune aziende che stanno di fatto provando a rendere un po’ meno fantascientifiche le premesse del film. Sono aziende che si occupano di PMA (procreazione medicalmente assistita) e promettono ai loro clienti di poter selezionare gli embrioni da impiantare sulla base di parametri come il sesso, ma anche il colore degli occhi e dei capelli, l’altezza, il QI e la predisposizione a centinaia di malattie.

Una delle aziende più famose, la Nucleus Genomics, definisce questo servizio «ottimizzazione genetica». Ma è un servizio che vendono anche altre aziende dello stesso tipo, tra cui l’altra più famosa è Orchid. Sono spesso aziende apprezzate e finanziate da diversi imprenditori della Silicon Valley accomunati da idee pro-nataliste, cioè dalla convinzione che le persone dovrebbero avere più figli per contrastare il declino demografico ed economico dei paesi industrializzati. Secondo queste aziende è possibile sapere quali embrioni hanno maggiori probabilità di sviluppare non solo malattie genetiche, come la fibrosi cistica o la malattia di Huntington, ma anche altre condizioni come l’asma, le allergie stagionali, la calvizie, il diabete di tipo 2, la schizofrenia, la celiachia, l’alcolismo.

Sono esami genetici che possono costare molto, fino a 50mila dollari (circa 43mila euro), e su cui si è sviluppato un dibattito molto acceso. Una questione riguarda la comunicazione pubblicitaria delle aziende. Molti la giudicano ingannevole e antiscientifica, perché descrive come genetiche e prevedibili anche caratteristiche e condizioni che lo sono solo in minima parte.

L’altra questione riguarda i complessi risvolti etici della possibilità di decidere quali figli siano più o meno preferibili rispetto ad altri. E di sceglierli senza restrizioni, scartando quelli con caratteristiche associate a condizioni di sofferenza, o anche solo percepite come socialmente indesiderabili rispetto ad altre. Da tempo, per esempio, nelle cliniche di fecondazione assistita statunitensi è in aumento una dichiarata preferenza per le figlie femmine. A differenza che in altri paesi, le leggi negli Stati Uniti permettono infatti di scoprire e selezionare il sesso dell’embrione da impiantare, per scelta personale e senza particolari esigenze mediche.

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La principale risposta delle aziende alle critiche è che la responsabilità della scelta delle caratteristiche dei figli sia individuale. «Alcune persone pensano che non dovresti avere accesso alla scelta che Nucleus Embryo ti dà. Il punto è questo: non è una loro scelta. È la tua», c’è scritto sul sito dell’azienda in una lettera firmata dal CEO Kian Sadeghi. È un’idea condivisa anche dalla fondatrice di Orchid, Noor Siddiqui, che intervistata dal New York Times ha definito «una decisione responsabile come genitore individuare il rischio il più presto possibile e impiantare l’embrione che ha le maggiori probabilità di una vita sana».

Un tecnico di laboratorio dispone diversi embrioni su una piastra di Petri

Un tecnico di laboratorio dispone diversi embrioni su una piastra di Petri in una clinica a Houston, negli Stati Uniti (AP Photo/Michael Wyke)

Le tecnologie diagnostiche che permettono di individuare anomalie cromosomiche o malattie genetiche in fase embrionale esistono e sono utilizzate da decenni in diversi paesi del mondo. Nella fecondazione assistita, per selezionare l’embrione da impiantare, viene estratto e analizzato un campione di DNA da ogni embrione di una serie di embrioni fecondati. La stessa diagnosi è disponibile anche in gravidanza, senza PMA, tramite altri test genetici. Sia in un modo che nell’altro le tecnologie hanno permesso di ridurre la diffusione di gravi malattie genetiche e di aumentare le probabilità di portare a termine la gravidanza, perché se si scopre che gli embrioni sono portatori di malattie gravi le persone possono decidere di abortire o di non impiantarli.

Il numero massimo di embrioni che è possibile creare e i limiti di accesso alla diagnosi preimpianto cambiano da paese a paese. In Italia, per esempio, possono accedere alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto solo le coppie eterosessuali infertili, sterili o fertili portatrici di malattie genetiche. In generale, in molti paesi del mondo, non ci sono grandi dubbi etici sull’opportunità di utilizzare queste tecnologie per prevenire la trasmissione di malattie genetiche gravi o scegliere di non impiantare un embrione che ha poche possibilità di svilupparsi.

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I dubbi subentrano quando le stesse tecnologie vengono utilizzate per cercare di soddisfare altre richieste dei genitori: che il figlio o la figlia abbia una scarsa predisposizione alle malattie cardiovascolari, per esempio, o un indice di massa corporea ottimale. Nucleus Embryo, per esempio, promette di far sapere tramite analisi del DNA quante probabilità ci sono che queste caratteristiche e centinaia di altre siano presenti in ciascun embrione in un massimo di venti embrioni fecondati.

Il problema è che a differenza delle malattie genetiche non esistono marcatori altrettanto significativi per le caratteristiche che queste aziende promettono di far conoscere. «I genetisti lo sanno da decenni», hanno scritto i due docenti di bioetica Arthur Caplan e James Tabery in un articolo sulla rivista Scientific American.

Un pulcino tra le dita di una mano di un uomo

Un cliente di un’azienda agricola sceglie dei pulcini da acquistare ad Anoka, Minnesota (Elizabeth Flores/The Minnesota Star Tribune/ZUMA Press Wire)

Secondo Caplan e Tabery queste aziende partono da una tecnologia esistente e affidabile, ma la usano per sostenere «affermazioni assurde» in modo da attrarre finanziatori e clienti facoltosi ma ingenui. È vero che parti del genoma umano – cioè l’intera informazione genetica di una persona – possono effettivamente mostrare una correlazione positiva o negativa, anche minima, con determinate caratteristiche. Questi dati, chiamati «punteggi di rischio poligenici», sono utilizzati nella ricerca scientifica. Non sono utilizzati però in ambito clinico, perché il loro valore predittivo è molto dubbio.

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Finora la maggior parte delle ricerche di questo tipo è stata infatti condotta con campioni di popolazione limitati e non abbastanza eterogenei sul piano genealogico. Diversi genetisti sentiti dal Washington Post dubitano inoltre che si possa sequenziare accuratamente un intero genoma umano “amplificando” poche cellule raccolte da un embrione in fase iniziale, che è la tecnica utilizzata da alcune di queste aziende.

Un punto importante della questione è che la larghissima maggioranza delle malattie umane è associata a molti geni diversi, non a un singolo gene. Le probabilità che una persona sviluppi una malattia durante la vita dipendono da come geni e varianti genetiche interagiscono con l’ambiente e tra loro, e su queste interazioni sono ancora moltissime le cose che non sappiamo. Da queste interazioni dipendono anche tratti come l’intelligenza, la cui misurazione peraltro è già di per sé problematica, e per cui l’influenza del DNA attualmente nota è pressoché nulla.

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Un altro problema riguarda un fenomeno noto negli studi sulla genetica come “pleiotropia”: la capacità di ciascun gene di influenzare più di un tratto. Un gene che mostra una qualche correlazione con una certa condizione o caratteristica umana, per esempio, potrebbe avere innumerevoli altre correlazioni non ancora individuate con altri tratti. Quindi non è possibile sapere quali effetti multipli potrebbe avere una selezione degli embrioni basata sul solo criterio di evitare una singola caratteristica, più o meno debolmente correlata a un certo corredo genetico.

Anche le caratteristiche estetiche non dipendono da un singolo gene, ma da più geni che interagiscono tra loro e con vari fattori ambientali. L’altezza, per esempio, dipende anche dalla nutrizione durante l’infanzia e l’adolescenza. E i geni associati a un certo colore degli occhi o dei capelli, che sono geni coinvolti nella sintesi della melanina e nella pigmentazione, devono comunque far parte del corredo genetico dei genitori. In ogni caso non esiste nessun protocollo di selezione degli embrioni in grado di prevedere il colore degli occhi o dei capelli con una certezza del 100 per cento.

Due cani sfilano uno dietro l’altro

Due cani Shih Tzu a una mostra canina a New York (AP Photo/Julia Nikhinson)

Come ha scritto lo psicologo statunitense Eric Turkheimer, c’è poi una differenza sostanziale tra malattie come il diabete di tipo 2, riguardo alle quali è nota una parziale influenza genetica, e le malattie mentali, per cui l’influenza è poco chiara e molto più difficile da verificare. Tra l’altro, la maggior parte dei problemi di salute mentale si presenta lungo uno spettro, in forme da lieve a moderata a grave, ricorda Turkheimer. E non è chiaro a quale di queste forme facciano riferimento le aziende quando sostengono che una persona nata da un embrione anziché da un altro abbia minori probabilità di sviluppare un certo disturbo psichiatrico.

Tralasciando le molte incertezze scientifiche, restano infine altre questioni problematiche. Una riguarda i possibili effetti psicologici che potrebbero derivare dal trattare i figli come «oggetti di consumo con parti intercambiabili», ha scritto Vox. Nel caso della selezione del sesso, per esempio, le aspettative dei genitori potrebbero condizionare lo sviluppo in modi difficili da prevedere. «Cosa succederebbe se scegliessi una bambina e poi crescesse e scoprisse di essere trans? Potrebbe provare un’ulteriore sensazione di deluderti non conformandosi alle aspettative di genere che avevi nei suoi confronti».

C’è anche la questione delle disuguaglianze economiche: i servizi proposti dalle aziende di ottimizzazione genetica sono molto costosi. Orchid, per esempio, chiede 2.500 dollari (circa 2.120 euro) per lo screening di un singolo embrione. Ammesso che un giorno la selezione genetica delle migliori caratteristiche diventasse possibile come in Gattaca, probabilmente il costo le renderebbe inaccessibili a molte persone. E questo finirebbe per ampliare il divario tra ricchi e poveri man mano che i primi diventano sempre più longevi, forti e intelligenti dei secondi.

Anche se la tecnologia diventasse più accessibile nel tempo, la società potrebbe alla lunga indurre i genitori, subdolamente o coercitivamente, a conformarsi alle pratiche descritte come la scelta migliore per i loro figli. Rifiutarle smetterebbe di fatto di essere un’opzione praticabile, perché metterebbe i figli in condizioni di inaccettabile svantaggio professionale e sociale.

In ogni caso, sarebbe peraltro molto difficile massimizzare il benessere dei figli, perché prima di scegliere la migliore combinazione possibile di geni servirebbe prima di tutto capire quale sia. Ogni corredo genetico può presentare sia tratti vantaggiosi che svantaggiosi: «come scegliereste tra un embrione con un rischio leggermente elevato di schizofrenia, un altro con un rischio moderatamente elevato di cancro e un terzo con un rischio elevato di Alzheimer?», ha scritto Vox. Servirebbe un bel po’ di «matematica morale» per classificare la gravità di ciascuna condizione.

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