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  • Mercoledì 17 settembre 2025

La vedova di Alexei Navalny dice di avere le prove che il marito sia morto per avvelenamento

Sulla base di due test di laboratorio indipendenti: ha anche ricostruito gli ultimi giorni in carcere del dissidente russo, e accusato di nuovo Putin

Un ragazzo posa una foto di Alexei Navalny fuori dall'ambasciata russa a Bucarest, in Romania, il 16 febbraio del 2025 (AP Photo/Andreea Alexandru)
Un ragazzo posa una foto di Alexei Navalny fuori dall'ambasciata russa a Bucarest, in Romania, il 16 febbraio del 2025 (AP Photo/Andreea Alexandru)
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Yulia Navalnaya, la vedova di Alexei Navalny, dice di avere le prove che il marito sia morto per avvelenamento. Navalny fu a lungo il principale oppositore del presidente russo Vladimir Putin, e nel febbraio del 2024 morì in circostanze poco chiare mentre si trovava in un carcere di massima sicurezza in Siberia. In un video condiviso su YouTube Navalnaya spiega che dopo la morte del marito era riuscita a ottenere alcuni campioni biologici del suo corpo: dice che due test di laboratorio svolti in maniera indipendente in due paesi mostrano che sarebbe stato avvelenato.

«Alexei è stato ucciso, per la precisione avvelenato», dice Navalnaya, senza però mostrare alcuna prova a sostegno delle sue conclusioni. Nel video accusa di nuovo Putin di essere responsabile per la morte del marito, e chiede che i laboratori che hanno condotto le analisi rendano pubblici i risultati.

Navalny aveva 47 anni, e oltre che per la sua attività politica era noto come giornalista d’inchiesta e attivista anticorruzione. Era in carcere da tre anni per accuse che la stragrande maggioranza dei commentatori e degli esperti di libertà di espressione aveva sempre considerato pretestuose, e due mesi prima di morire era stato trasferito in una colonia penale remota al di sopra del Circolo polare artico, quella di Kharp, nota per le condizioni rigide a cui sono sottoposti i detenuti.

Secondo un comunicato diffuso dal servizio penitenziario russo il giorno della morte, il 16 febbraio, Navalny «si era sentito male dopo una passeggiata e aveva perso conoscenza quasi immediatamente», una versione ampiamente ritenuta poco credibile. Nel video Navalnaya ricostruisce anche gli ultimi giorni del marito in carcere attraverso le testimonianze di cinque dipendenti della colonia penale di Kharp, citati per nome e cognome.

Il personale della colonia dice che il 14 febbraio Navalny era stato spostato in una cella di isolamento e, stando alle testimonianze di tre addetti di quel blocco, la mattina della morte si era lamentato di un dolore alla gamba destra che aveva già segnalato al suo arrivo. Il responsabile medico dell’istituto, Alexei Lisyuk, sostiene che Navalny non avesse fatto alcuna richiesta.

Attorno alle 12:10, dopo il pranzo, Navalny era stato condotto in un piccolo cortile dedicato all’attività fisica, che in base alle foto condivise da una sua collaboratrice sempre mercoledì di fatto è un’altra cella, ma senza il tetto e con la neve a terra. Secondo la testimonianza di un agente di sicurezza, a quel punto si era sentito male: gli agenti lo avevano trovato rannicchiato a terra e poi riportato nella sua cella, dove aveva lamentato bruciori allo stomaco e al petto, e aveva cominciato a vomitare. Il personale della prigione citato da Navalnaya ha parlato di convulsioni, tosse e fatica nella respirazione, eppure Navalny venne lasciato nella cella da solo. Le foto della sua minuscola cella poco dopo la morte mostrano appunto chiazze di vomito e sangue.

Secondo le testimonianze appena dopo le 13 Navalny fu trascinato fuori dalla cella e portato nel reparto medico, dove arrivò privo di sensi. Alle 13:25 fu chiamata un’ambulanza, che arrivò nel giro di dieci minuti: nonostante i tentativi di rianimazione, un elettrocardiogramma delle 14:17 diceva che non c’era alcuna attività cardiaca. I tentativi di rianimazione furono sospesi sei minuti più tardi. Alcuni giorni dopo i collaboratori di Navalny dissero che il certificato medico indicava che era morto per «cause naturali».

Navalnaya precisa che nel certificato non c’è menzione delle convulsioni descritte dai testimoni, che sono compatibili con un avvelenamento; indica però escoriazioni sui gomiti e sulle ginocchia subite tra 30 e 40 minuti prima della morte, e anche un sanguinamento dalla testa, che secondo lei poteva essersi provocato durante le convulsioni. Navalnaya nota anche che, sebbene il marito fosse sorvegliato costantemente, sembra non esserci alcuna immagine delle 63 telecamere di sicurezza che erano installate nel blocco delle celle di isolamento dove è morto. Secondo Navalnaya, in quei video potrebbero esserci elementi che contraddicono la versione ufficiale della morte.

Navalny era già stato avvelenato nel 2020 con il novichok, un agente nervino che in precedenza era stato usato contro altri oppositori del regime di Putin. Fu curato in Germania, ma scelse comunque di tornare in Russia, dove continuò a essere uno dei principali obiettivi del regime.

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