Perché MPS che compra Mediobanca è la notizia economica dell’anno
In pochi pensavano fosse possibile, invece si sono allineati gli interessi del governo e di due importanti famiglie industriali italiane

MPS che compra Mediobanca è un’operazione societaria che fino a qualche anno fa sarebbe stata considerata pura fantasia. E anche quando a gennaio la storica banca senese, un tempo conosciuta come Monte dei Paschi di Siena, aveva annunciato l’intenzione di comprare la più prestigiosa banca d’investimento italiana, i dubbi degli esperti e dei commentatori furono molti. Eppure lunedì MPS ha ottenuto più del 60 per cento di Mediobanca, arrivando così al successo dell’operazione: sarà ricordata come una delle più grosse degli ultimi anni, sicuramente la più importante notizia economica italiana di quest’anno.
Una delle ragioni è che MPS non solo è stata per anni sull’orlo del fallimento, ma ora è riuscita ad acquisire una banca molto più grande, che è sempre stata perlopiù in salute. Un’altra ragione è legata ai maggiori artefici dell’acquisizione, cioè le famiglie italiane Del Vecchio e Caltagirone, che l’hanno voluta seguendo loro logiche di potere. Infine perché un ruolo assai rilevante ce l’ha avuto pure il governo. Ma per capire quanto l’operazione sia stata straordinaria, bisogna partire dai protagonisti.
MPS è la più antica banca italiana, oggi reduce da un dissesto durato più di dieci anni. Dal 2023 è tornata a essere profittevole dopo un dispendioso e travagliato intervento di salvataggio da parte dello Stato, che ne è diventato primo azionista nel 2017. Da allora, su continua sollecitazione delle autorità europee, i governi che si sono succeduti hanno cercato di trovare un compratore privato, senza riuscirci.

Piazza Salimbeni sede centrale di MPS, a Siena (Riccardo Sanesi/LaPresse)
Il governo attuale ha comunque iniziato a liberarsi della sua partecipazione in un altro modo, cioè vendendo azioni in varie tranche a diversi azionisti, dunque senza impegnarsi nella ricerca di un unico acquirente, ben più complicata. Tra i soggetti che le hanno comprate ci sono appunto i Del Vecchio, principali azionisti della multinazionale degli occhiali EssilorLuxottica, e i Caltagirone, il cui capostipite è il noto immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone, editore tra le altre cose del Messaggero e del Mattino. Entrambe le famiglie, tramite le loro società, entrarono nel capitale di MPS lo scorso novembre, diventando rispettivamente il secondo e il terzo azionista dopo il governo.
Allora la lettura condivisa da esperti e media fu che i Del Vecchio e i Caltagirone erano stati coinvolti dallo stesso governo per garantire stabilità e presenza italiana nella delicata fase di uscita dello Stato dall’azionariato di MPS. Sui giornali vennero definiti il «nocciolo duro» che avrebbe assicurato l’italianità della storica banca senese.
Il governo puntava anche a fare in modo che intorno a MPS si creasse quello che viene chiamato il “terzo polo” bancario, cioè una terza grande banca in grado di intaccare l’attuale duopolio del mercato, composto da Intesa Sanpaolo e Unicredit, le prime due banche italiane per dimensione e valore. Il terzo polo dovrebbe crearsi proprio con l’acquisto di Mediobanca, e il governo lo auspicava così tanto che si mise in mezzo a un’altra operazione tra banche che avrebbe potuto compromettere il suo piano: quella tra Unicredit e Banco BPM, fallita quest’estate.
Col coinvolgimento dei Del Vecchio e di Caltagirone il governo si è quindi assicurato tre cose: la graduale dismissione della sua partecipazione di MPS, che porterà con sé diversi miliardi; il “terzo polo”; e che non sia stata toccata Banco BPM, banca storicamente vicina alla Lega. Al contempo ha garantito agli stessi Del Vecchio e Caltagirone di riuscire finalmente ad arrivare al controllo di Mediobanca.

A destra Francesco Gaetano Caltagirone, accanto al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, mentre questo stringe la mano al sindaco di Roma Roberto Gualtieri (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
Già da qui si capisce che dietro l’operazione non ci sono classiche logiche industriali, quelle che muovono solitamente il “risiko bancario”, come viene chiamato l’insieme acquisizioni con cui le banche si comprano a vicenda per diventare più grosse e solide. I Del Vecchio e i Caltagirone non volevano controllare Mediobanca perché la fusione tra i due istituti avesse senso di per sé, ma perché Mediobanca aveva una cosa che a loro interessa.
Mediobanca non è una classica banca commerciale, opera perlopiù come banca di investimento, specializzata cioè nella gestione dei patrimoni e nelle grandi operazioni societarie tra aziende. Negli ultimi anni l’attuale amministratore Alberto Nagel ha cercato di allontanarla da logiche politiche e clientelari per creare un istituto più profittevole e paragonabile ai grandi concorrenti europei. Mediobanca è anche il primo azionista del grande gruppo assicurativo Generali, considerato uno dei “fiori all’occhiello” della finanza italiana. È una partecipazione non solo prestigiosa, perché le dà il compito di indirizzare la gestione di una delle più importanti società italiane, ma anche assai profittevole, cosa che fa gola a molti investitori.

L’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel, a giugno del 2024 (Claudio Furlan/Lapresse)
Del Vecchio e Caltagirone da anni puntano al controllo del gruppo Generali, sia tramite quote nella stessa Generali che in Mediobanca. E sta proprio qui il senso dell’operazione di MPS, di cui pure sono soci: comprare Mediobanca e quindi indirettamente anche la sua partecipazione in Generali.
A fine gennaio MPS annunciò un’Offerta Pubblica di Scambio – cioè una delle modalità con cui si compra una banca – per acquisire Mediobanca. E che dietro ci fossero tutti gli incastri raccontati fin qui è stato evidente fin da subito: nella sua offerta di acquisto MPS aveva proposto un piano industriale di aggregazione ritenuto da molti esperti poco credibile, e l’operazione sembrò a molti un azzardo che avrebbe rischiato di creare un danno a entrambi gli istituti. Le due banche sono diversissime, una fa la banca commerciale e una la banca di investimento, e non ci sono quelle che in gergo si chiamano le “possibilità di sinergie”, cioè di creare processi più efficienti dall’unione delle attività, come potrebbe derivare da un banale risparmio dei costi. In più Mediobanca vale quasi il doppio di MPS, quindi sembrava difficile per quest’ultima concretizzare l’operazione.
La stessa dirigenza di Mediobanca disse che l’operazione non avrebbe fatto gli interessi di nessuno se non quelli di alcuni azionisti di MPS: non sono stati menzionati, ma si sapeva che erano Del Vecchio e Caltagirone. Il consiglio di amministrazione di Mediobanca cercò di attuare un piano alternativo per liberarsi delle quote in Generali, e quindi di far perdere l’interesse di MPS: comprare Banca Generali, posseduta dal gruppo Generali, usando come pagamento la sua stessa quota nel gruppo Generali. L’operazione però fallì.
L’assenza di un credibile piano industriale rende ancora più notevole che l’operazione sia riuscita, proprio per come funzionano le Offerte Pubbliche di Scambio. Quando MPS ha annunciato la sua offerta ha chiesto di fatto agli azionisti di Mediobanca di venderle le loro azioni: questi in cambio non avrebbero ricevuto denaro, ma le stesse azioni di MPS, e in particolare 2,533 azioni di MPS per ogni azione di Mediobanca che avessero deciso di scambiare. L’operazione si sarebbe ritenuta riuscita all’ottenimento del 67 per cento delle azioni, soglia abbassata negli ultimi giorni al 35 per fare in modo che si considerasse più facilmente riuscita.
Qui c’è un passaggio tecnico fondamentale per capire la questione: per avere sufficienti azioni da dare in cambio, MPS ha deliberato un aumento di capitale pari a poco più di 13 miliardi, cioè quello che serviva per comprare il 100 per cento di Mediobanca. Come avviene in gran parte di questi casi, ha previsto che l’aumento di capitale sarebbe avvenuto con la riuscita dell’operazione e non in denaro, quindi non con un classico conferimento di soldi nei conti di MPS da parte dei soci. Il conferimento sarebbe avvenuto “in natura”: significa che gli azionisti di Mediobanca che avessero aderito all’offerta avrebbero ottenuto le nuove azioni conferendo le loro stesse azioni di Mediobanca, e quindi contribuendo a ingrandire il bilancio di MPS non con soldi ma con un pezzo di un’altra società.
Non è niente di inusuale, quasi tutte le Offerte Pubbliche di Scambio avvengono così: si crede al fatto che conviene aderire all’offerta perché l’unione delle due banche “crea valore”, come si dice in gergo, ossia più possibilità di guadagno per gli azionisti. Nel caso di Mediobanca e MPS gli azionisti hanno aderito nonostante non ci fosse un piano industriale ritenuto credibile, e nonostante MPS fosse più piccola della banca che stava per comprare.
Questo è avvenuto in parte perché da soli gli stessi Del Vecchio e Caltagirone avevano circa il 30 per cento di Mediobanca, ma ha avuto un ruolo anche il rilancio che ha fatto negli ultimi giorni MPS per assicurarsi la riuscita dell’acquisizione.
Solo qualche giorno prima della scadenza di lunedì 8 settembre, e quando sembrava che ancora il raggiungimento della soglia fosse lontano, MPS ha detto che non solo avrebbe dato a chi aderiva all’offerta 2,533 azioni di MPS ma anche 90 centesimi ad azione, un premio in denaro che è stato decisivo per smuovere alcuni azionisti, come i fondi pensione o quelli speculativi. Alla fine l’Offerta Pubblica di Scambio si è chiusa al 62 per cento, una soglia sopra la maggioranza del 50 per cento per garantirsi il controllo, ma non sufficiente per ottenere i due terzi, necessari all’assemblea degli azionisti per le decisioni straordinarie.
L’offerta di MPS non è stata ancora completata: tra il 16 e il 22 settembre si riapriranno i termini, ed è possibile che in quei giorni altri azionisti di Mediobanca decidano di scambiare le azioni. MPS spera che venga così raggiunta la quota di adesioni del 67 per cento, cioè dei due terzi.
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