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  • Lunedì 8 settembre 2025

Come si sgombera, concretamente, il Leoncavallo

La sede del centro sociale milanese è piena di cose, compreso un archivio storico, ma mancano il tempo e lo spazio per traslocare

(Claudio Furlan/Lapresse)
(Claudio Furlan/Lapresse)
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Dal 21 agosto, quando è iniziato lo sgombero, dentro alla cartiera di via Watteau che per più di trent’anni era stata sede del centro sociale milanese Leoncavallo non può più entrare nessuno. Dentro però ci sono ancora tutte le cose raccolte in cinquant’anni di storia: mobili, oggetti e utensili per la cucina, tantissimi libri, casse, amplificatori, e un’intera stanza piena di documenti, fotografie, giornali, striscioni e manifesti che raccontano la storia dei centri sociali italiani e non solo.

Ora che le porte della cartiera sono state sigillate, i membri del Leoncavallo possono entrare per svuotarla solo alla presenza dei rappresentanti della famiglia Cabassi – proprietaria dell’edificio – firmando all’entrata e all’uscita, e solo fino al 21 settembre, quando scadranno i 30 giorni dall’inizio dello sgombero. I proprietari hanno concesso qualche giorno in più per il trasloco, ma quello che non sarà spostato entro la fine di settembre resterà all’interno della cartiera e verrà probabilmente buttato.

Il 21 agosto nessuno era preparato a dover lasciare la sede del Leoncavallo. Lo sgombero è avvenuto a sorpresa alle 7:30 del mattino, quando dentro non c’era nessuno. L’ufficiale giudiziario era atteso, per il 133esimo tentativo di sfratto, all’inizio di settembre, e neanche il sindaco era stato avvisato: l’intervento infatti era stato gestito dalla questura, sotto il controllo del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che insieme ad altri esponenti del governo ha rivendicato l’operazione.

Lo sgombero e le modalità con cui è stato fatto sono stati molto criticati dalle persone che vivono Milano, da altri centri sociali e da numerosi personaggi pubblici e politici, anche per l’importanza che il centro sociale aveva dal punto di vista storico e culturale. Sabato circa ventimila persone hanno partecipato alla grossa manifestazione di protesta contro lo sgombero.

Per il momento dalla sede di via Watteau sono state portate via alcune cose, come casse e amplificatori che servivano per la manifestazione di sabato, ma c’è ancora molto altro. «Gli arredi, i mobili, e tutto ciò che è in buone condizioni e potrà essere recuperato verrà venduto o regalato – a seconda del valore – ad altri centri sociali interessati o ad associazioni che ne hanno bisogno», dice Marina Boer, presidente delle Mamme antifasciste del Leoncavallo, l’associazione che rappresenta il centro sociale.

Al momento infatti il Leoncavallo non ha un magazzino esterno o un posto dove portare tutte le cose accumulate in via Watteau: per questo viene portato via e spostato solo quello che può essere effettivamente ricollocato da qualche altra parte.

Le porte del Leoncavallo vengono sigillate (Ansa/Andrea Fasani)

Dentro al Leoncavallo però ci sono anche cose che al momento non possono essere spostate, e di cui pochi sono a conoscenza: sono i materiali raccolti negli anni sullo stesso Leoncavallo, sui centri sociali di Milano e non, sulla storia dei movimenti antagonisti italiani e anche su alcuni movimenti stranieri, e che compongono un archivio storico di grande valore. «Una stanza intera, più un pezzetto di un’altra, al piano terra della ex cartiera sono piene di questi materiali», spiega Boer. Sono manifesti, volantini, fotografie, striscioni, ma anche molti vecchi numeri di giornali di movimenti o di partito, come Potere Operaio. «Si è conservato tutto straordinariamente bene».

All’archivio si è interessato il ministero della Cultura, ed è in corso il procedimento per metterlo sotto la tutela della soprintendenza, che di solito però richiede parecchio tempo. «Per il momento non spostiamo niente, dobbiamo prima avere il permesso dalla soprintendenza per capire come gestirlo, non possiamo semplicemente mettere tutto negli scatoloni e poi caricarli in macchina», dice Boer.

Nel caso di un archivio, l’obiettivo della tutela è accertarsi che tutto il materiale venga conservato adeguatamente e che venga valorizzato, quindi che possa essere reso accessibile al pubblico, e poi che venga digitalizzato. Il materiale in realtà era già consultabile da chi ne faceva richiesta, per esempio da studenti che ne avevano bisogno per la tesi di laurea, ma ora senza una sede dove spostarlo sarà tutto più complicato.

– Leggi anche: Le opere d’arte dentro il Leoncavallo

Un altro grosso interrogativo è cosa ne sarà delle opere di street art contenute in Dauntaun, lo spazio sotterraneo che all’inizio degli anni Duemila fu un punto di riferimento per la scena artistica e musicale underground milanese, e che un paio d’anni fa è stato messo sotto tutela dalla soprintendenza. La tutela ope legis prevede che i graffiti non possano subire alterazioni o essere rimossi senza che prima venga chiesto il parere della soprintendenza. «Per il momento quelle opere rimarranno lì, congelate, chissà per quanto. Mesi, forse anni, finché la soprintendenza non si esprimerà», aggiunge Boer.

– Leggi anche: Che storia ha il centro sociale Leoncavallo

Il processo per trovare una nuova sede al Leoncavallo era in corso da tempo, da ben prima che la ex cartiera venisse sgomberata. Mesi fa l’associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo aveva cominciato a parlare con il comune per trovare una sistemazione alternativa. All’inizio di agosto il comune aveva approvato le linee guida per il bando per l’assegnazione di un capannone in zona Porto di Mare, a sud di Corvetto, che si pensa possa diventare la nuova sede del centro sociale. Se, quando verrà pubblicato, il Leoncavallo dovesse vincere il bando, potrà spostarsi lì, ma ci sono parecchie questioni da risolvere, a partire dalle centinaia di migliaia di euro che servirebbero per la ristrutturazione, per l’allacciamento alla rete fognaria e per le bonifiche dall’amianto, di cui è ricoperto il capannone.

Il capannone di proprietà del comune in via S. Dionigi dove potrebbe trasferirsi il Leoncavallo dopo lo sgombero (Ansa/Matteo Corner)

Il centro sociale ha fatto partire una raccolta fondi, ma sarà molto difficile riuscire a raccogliere una somma così alta. Come dice Boer: «non avendo una sede non possiamo neanche organizzare eventi per raccogliere fondi, e gli altri centri sociali di Milano sono troppo piccoli, nel caso, per ospitarli».