Che storia ha il centro sociale Leoncavallo

Iniziata cinquant'anni fa, passata per tre sedi e arrivata a un nuovo sgombero: in mezzo ci sono passate generazioni di milanesi e non

Il centro sociale Leoncavallo, Milano, 24 gennaio 2025 (ANSA / MATTEO BAZZI)
Il centro sociale Leoncavallo, Milano, 24 gennaio 2025 (ANSA / MATTEO BAZZI)
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Mancano poco meno di due mesi al cinquantesimo anniversario del Leoncavallo, che è il più storico e importante centro sociale ancora attivo a Milano e forse il più conosciuto d’Italia, per la sua lunga storia di militanza politica e di aggregazione sociale che lo ha reso un posto frequentato e amato da diverse generazioni. Negli ampi locali della sede di via Watteau, un paio di chilometri a nord della Stazione Centrale, migliaia e migliaia di persone negli ultimi trent’anni hanno partecipato a feste, corsi, incontri, assemblee, concerti e iniziative culturali di ogni genere. Hanno conosciuto altre persone e fatto politica, dopo che per vent’anni le stesse cose erano successe un chilometro a est, nella sede storica nella via che diede il nome al centro sociale.

Lo spazio di via Watteau era unico a Milano per dimensioni e per la sua relativa centralità, e il Leoncavallo era rimasto tra i luoghi di aggregazione popolare più attivi e partecipati della città, specialmente da quando nel 2021 aveva chiuso Macao, un altro grande centro sociale nella zona est. Non è ancora chiaro come proseguirà la storia del Leoncavallo, che è stato sgomberato questa mattina, dopo centotrentatré tentativi andati a vuoto e una lunga trattativa col comune, che giovedì ha detto sostanzialmente di essere stato scavalcato dal ministero dell’Interno. Da tempo si parla di un possibile trasferimento in un edificio a sud del quartiere meridionale di Corvetto.

Il Leoncavallo nacque il 18 ottobre del 1975 quando alcuni collettivi provenienti da diverse esperienze politiche legate al Sessantotto e gruppi della sinistra extraparlamentare occuparono una fabbrica dismessa di prodotti farmaceutici di 3600 metri quadrati in via Leoncavallo 22, in un quartiere di storiche e importanti tradizioni operaie, considerato un prolungamento cittadino della cosiddetta “Stalingrado d’Italia”, cioè Sesto San Giovanni, dove si trovavano le più importanti fabbriche del milanese.

Non fu l’unico centro sociale a nascere a Milano e altrove in quegli anni e soprattutto nelle periferie, dove mancavano asili, mense, consultori e altri servizi ancora, che questi nuovi spazi sociali intendevano organizzare dal basso, radicandosi nei quartieri. Le prime attività che nacquero dopo la pulizia e il restauro della struttura di via Leoncavallo furono una stamperia per il materiale di controinformazione, l’allestimento di un teatro per alcune compagnie teatrali, Radio Specchio Rosso (attiva fino ai primi anni Ottanta), la Casa delle Donne dove furono organizzati gruppi di autocoscienza femminista, una scuola di falegnameria e una scuola popolare per permettere ai lavoratori delle fabbriche di prendere la licenza media.

Come ha ricordato Roberto Cimino, che faceva parte del comitato che nel 1975 decise di occupare gli spazi di via Leoncavallo 22, in quei primi anni «vennero spesso a suonare Nanni Svampa, Lino Patruno, la PFM e gli Area (…), addirittura venne a suonare Franco Battiato, al tempo sconosciuto, e la serata fu un vero fiasco».

Del Leoncavallo si iniziò a parlare anche fuori da Milano nel 1978, quando due studenti, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, conosciuti come Fausto e Iaio, vennero uccisi con otto colpi di pistola vicino al centro sociale. Due giorni prima di quel 18 marzo del 1978 le Brigate Rosse avevano rapito Aldo Moro: erano i cosiddetti “anni di piombo”, gli anni delle bombe, dei sequestri, dei ferimenti, degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine e tra estremisti di destra e di sinistra.

Ascolta il podcast: L’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci raccontato da Stefano Nazzi

Tinelli e Iannucci avevano 19 anni. Il secondo morì sul colpo, il primo mentre veniva portato in ospedale. Vi furono anni di inchieste giudiziarie e di inchieste indipendenti. La pista più concreta di tutte portò alla destra eversiva attiva a Roma e con dei legami a Cremona, e ad alcuni nomi di esponenti neofascisti. Nessuno venne mai condannato per la loro morte.

Ai funerali dei due ragazzi parteciparono migliaia di persone, e tra queste c’era anche un gruppo di donne del quartiere riunite dietro a uno striscione con scritto «Le mamme di tutti i compagni piangono i loro figli». Queste donne, con le madri di Tinelli e Iannucci, decisero di partecipare all’occupazione del centro sociale assieme ai più giovani, per opporsi alle violenze politiche di strada di quegli anni e combattere la diffusione dell’eroina, diventata un’emergenza sociale sempre più grave nelle periferie milanesi. Diedero così vita all’associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo, poi formalizzata nel 1992 e l’unica ufficialmente registrata con sede nel centro sociale.

Nel frattempo, con l’omicidio Moro, era iniziata la stagione della grande repressione contro i movimenti e le organizzazioni della sinistra extraparlamentare e anche il Leoncavallo, nato da un’occupazione unitaria di varie realtà, fu interessato dalle divisioni tra le diverse componenti perdendo, tra il 1978 e il 1980, quasi tutto il vecchio gruppo di occupazione.

Manifestazione di solidarietà davanti alla sede originaria del Leoncavallo, Milano, 17 ottobre 1993 (Wikipedia)

In quei primi anni Ottanta a Milano, fra gli altri centri sociali, c’era anche il Virus, un punto di riferimento della cultura punk che da qualche anno si era diffusa in città. Il 15 maggio del 1984 il Virus venne sgomberato, e parte dei suoi occupanti trovò nel Leoncavallo un luogo dove proseguire l’esperienza.

La comunità che abitava il Leoncavallo divenne da lì in poi sempre più eterogenea: “vecchi” militanti, collettivi delle  “controculture giovanili”, e collettivi autonomi. Quelli furono anche gli anni della battaglia contro il nucleare (il referendum si svolse l’8 e il 9 novembre del 1987) e dei movimenti studenteschi che riguadagnarono centralità.

Oltre alle attività già esistenti nacquero corsi di fotografia, gruppi musicali e teatrali, laboratori di pittura, un’officina, una palestra, la sala video, un centro di documentazione, e l’Helter Skelter, che per alcuni anni organizzò concerti e altre iniziative culturali ospitando gruppi, performer e artisti di livello internazionale, trasformando il centro sociale in un punto di riferimento della musica indipendente. Tra gli anni Ottanta e Novanta suonarono al Leoncavallo alcune tra le band di musica alternativa più importanti del mondo, dai Fugazi ai Sonic Youth ai Public Enemy, e più o meno tutte quelle italiane di quel periodo.

Dal 1980 il gruppo immobiliare proprietario dello stabile dove si trovava il Leoncavallo cercò di riottenerne l’utilizzo: vinse un ricorso al TAR e uno al Consiglio di Stato, scegliendo infine, nel 1989, di vendere l’area alla famiglia Cabassi, storici immobiliaristi milanesi, che quell’anno ottenne dall’amministrazione comunale socialista di Paolo Pillitteri la decisione dello sgombero, a cui gli occupanti opposero un’inaspettata resistenza.

Ne seguirono violenti scontri, l’inizio della demolizione del centro, una rioccupazione e la sua ricostruzione. Nel 1994, con la giunta di Marco Formentini, lo sgombero ebbe invece successo: al centro sociale fu assegnata provvisoriamente un’altra sede in via Salomone, nella periferia sudest della città, sgomberata all’improvviso il 9 agosto dello stesso anno. Un mese dopo gli animatori del Leoncavallo occuparono l’ex cartiera di via Watteau, in zona Greco, sempre di proprietà della famiglia Cabassi, che è rimasta la sede del centro sociale fino al 21 agosto del 2025.

Nella nuova sede il Leoncavallo ha proseguito con molte attività che già esistevano e con altre di nuove: un laboratorio di serigrafia, una ciclofficina, uno spazio per sviluppatori indipendenti di videogiochi, una scuola popolare di italiano, un laboratorio teatrale e fiere gastronomiche, tra le altre cose. Ogni anno il Leoncavallo organizza la “Festa della semina” e la “Festa del raccolto”, dedicate alla sensibilizzazione per la legalizzazione della marijuana. Mensilmente vengono organizzate feste di musica techno, dub, reggae, concerti jazz, presentazioni di libri o proiezioni di film, e in generale è un posto in cui le persone possono passare la serata anche senza spendere nulla, in un contesto come quello di Milano in cui la maggior parte delle altre forme di intrattenimento è sempre più costosa e in molti casi esclude le fasce più povere della cittadinanza.

I sotterranei della sede sono infine occupati da DaunTaun, dove nel 2003 si è tenuto il primo evento pubblico di street art in Italia, con contributi che si sono poi susseguiti negli anni e che oggi sono sottoposti a tutela della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la Città Metropolitana di Milano.